Condominio e locazione

Cause condominiali (competenza per materia)

25 Settembre 2023

Il Legislatore ha individuato tre criteri di collegamento tra le controversie e gli uffici giudiziari, a seconda se fondati: a) sulla natura della causa, che dà vita alla competenza per materia, b) sul valore della controversia, che comporta l'attribuzione della competenza per valore, e c) su dati elementi di raccordo spaziale tra la causa e il giudice, in forza dei quali opera la competenza per territorio. Attualmente, con l'entrata in vigore del giudice unico di primo grado...
Inquadramento

Preliminarmente, appare opportuno delineare brevemente l'excursus, perché trattasi di una materia che è stata oggetto, nell'ultimo periodo, di una sorta di “ping-pong normativo” tra giudice togato ed onorario: nell'impianto del codice di rito del 1942, le controversie relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi condominiali rientravano nella competenza per materia del Pretore; poi, la l. n. 399/1984 ha distinto tra “modalità d'uso dei servizi condominiali”, devolute alla competenza del Conciliatore, e “misura dei servizi” medesimi, attribuiti alla competenza del Pretore; siffatta scissione è stata eliminata dalla riforma del 1990/1995, abolendo quell'ingiustificata separazione delle cause in oggetto; e ciò, in un primo tempo, devolvendo tutte le relative controversie al Pretore e, in un secondo tempo, attribuendo definitivamente le stesse alla competenza esclusiva del Giudice di Pace, senza limite di valore.

La predetta ripartizione di competenze, stante l'equivocità dei criteri adottati, dava àdito a rilevanti incertezze in sede di applicazione pratica e, di fatto, costringeva la parte a proporre più cause, riguardo a questioni sostanzialmente connesse, dinanzi a giudici diversi.

Ad esempio, l'impugnazione della delibera, con cui l'assemblea aveva disciplinato l'esercizio del cortile comune, prima della riforma del codice di rito, si frazionava in due giudizi distinti, qualora la regolamentazione dell'esercizio del cortile avesse riguardato sia le modalità d'uso che la misura dell'uso stesso, e ciò anche se il motivo di impugnazione attenesse magari ad un vizio di convocazione dell'assemblea e si presentasse, quindi, identico in entrambe le cause; peraltro, le due distinte domande, proposte davanti al Pretore e al Conciliatore, dovevano procedere separatamente, senza applicare le regole sulla modificazione della competenza per ragione di connessione (artt. 31 ss. c.p.c.), non potendo operare in caso di competenza per materia.

Si è, peraltro, sempre in attesa che la materia condominiale, in forza del d.l. n. 117/2016, venga trasferita in toto al Giudice di Pace con decorrenza dal 31 ottobre 2025 (termine così spostato in avanti ad opera del d.l. n. 162/2019, convertito in l. n. 8/2020).

La misura e la modalità d'uso dei servizi condominiali

Dunque, per quanto concerne la competenza del giudice onorario - per quel che rileva in questa sede - il disposto del comma 3 dell'art. 7 c.p.c. recita: «È competente, qualunque ne sia il valore: …. 2) per le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case; … ».

Salva la predetta trasposizione di compiti e la raggiunta unitarietà della cognizione, è opportuno richiamare i risultati interpretativi acquisiti nella materia de qua, in quanto, da un lato, consentono di circoscrivere la nuova competenza funzionale del Giudice di Pace su questo tema e, dall'altro, facilitano l'individuazione della residuale competenza per valore.

Infatti, alla luce della (infelice) novella del 1984, era sorto il problema di specificare e differenziare il concetto di “misura”, inteso come limite quantitativo, parziale o temporale del diritto, da quello di “modalità d'uso” dei servizi condominiali, inteso come modo di esercitare il godimento sui beni comuni.

Preliminarmente, occorre fare due puntualizzazioni.

Innanzitutto, è irrilevante che la relativa controversia verta tra condomini e amministratore, oppure tra l'uno e l'altro condomino (v., di recente, Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2012, n. 2483; per un'ipotesi di occupazione con tavolini dell'area comune antistante l'edificio, v. Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1995, n. 7295, precisando che detta competenza si estende anche a quelle cause che interessano soggetti diversi dai partecipanti alla comunità condominiale, legittimati, per altro titolo, all'uso delle parti o dei servizi comuni, come i conduttori).

In secondo luogo, il riferimento ai “servizi” deve interpretarsi in senso ampio (Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1992, n. 5800; Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1991, n. 4441), poiché, per cause relative alle modalità d'uso o misura dei “servizi condominiali”, come, ad esempio, ascensore, riscaldamento, acqua, luce, ecc., devono intendersi anche quelle relative all'uso delle “cose comuni”, come, ad esempio, scale, lastrici solari, cortili, strade, ecc.

Si possono in tal modo ipotizzare - tanto per fare qualche esempio - le questioni circa: le modalità di parcheggio negli spazi condominiali (Trib. Firenze 19 maggio 1998); la chiusura dell'area di parcheggio con transenne mobili; l'orario di chiusura del portone dell'edificio (Trib. Brescia 11 gennaio 2001); il diritto di usare il posto-auto per parcheggiare due vetture anziché una (Trib. Trani 21 novembre 1990); l'orario di funzionamento del servizio di riscaldamento (Pret. Treviso 20 luglio 1985); le ore di utilizzazione del cortile con il rispetto delle norme regolamentari (Trib. Taranto 10 giugno 1991); l'ampiezza di targhe ed il grado di luminosità di insegne apposte sulla facciata dell'edificio; le facoltà di utilizzazione del muro comune (Trib. Udine 16 luglio 2001, nella specie, si trattava di impianti di condizionamento); le modalità di circolazione sui viali condominiali (ad esempio, collocandovi apposite cunette per rallentare la marcia); l'orario di funzionamento dell'impianto di illuminazione; le modalità di occupazione temporanea di un cortile da parte di un condomino in occasione di lavori nella propria unità immobiliare.

Orbene, la giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 28 settembre 1994, n. 7888) ha avuto modo di delineare tali concetti, affermando, in linea generale, che devono intendersi per cause relative alle “modalità d'uso” dei servizi condominiali, quelle riguardanti i limiti qualitativi di esercizio delle facoltà contenute nel diritto di comunione e, quindi, quelle relative al modo più conveniente e opportuno in cui tali facoltà devono essere esercitate, mentre, per cause relative alla “misura” di utilizzo dei servizi medesimi, si intendono quelle concernenti una riduzione o limitazione quantitativa del diritto dei singoli condomini.

In evidenza

In altri termini, il criterio distintivo, in linea di principio, va ricercato tra il quomodo - modalità - del godimento del servizio condominiale, e cioè il modo in cui deve essere esercitato tale godimento dei beni immobili comuni, rispetto al quantum - misura - dell'esercizio del godimento stesso, ossia i limiti quantitativi, spaziali e temporali del relativo diritto.

In questa prospettiva, si è reputata (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1988, n. 51) “modalità d'uso” l'occupazione con beni mobili - nella specie, con sedie - della terrazza comune da parte di un condomino: in particolare, si è ritenuta rientrante nella (allora) competenza del Conciliatore, la domanda diretta all'accertamento dell'illegittimità di tale occupazione, sulla base del rilievo che non veniva in considerazione una controversia in ordine all'esistenza del diritto del condomino di fare uso di tale terrazza, né risultava oggetto di contestazione la misura entro la quale poteva esercitarsi tale facoltà, incentrandosi il tema della lite esclusivamente sulla legittimità della particolare modalità di utilizzo della cosa comune adottata dal singolo.

È stata, altresì, ritenuta (Cass.civ., sez. II,19 maggio 1992, n. 5979) relativa alle “modalità” di godimento della cosa comune la controversia instaurata da un condomino che chiedeva la rimozione di un cancello posto da un altro condomino, con l'autorizzazione dell'assemblea, a chiusura del pianerottolo dell'ultimo piano della scala comune dell'edificio, dopo aver dotato di chiavi tutti gli altri condomini (nella stessa ottica, si pone Cass. civ., sez. II,24 febbraio 2006, n. 4256, che fa rientrare, nella competenza funzionale del giudice onorario, la lite che riguardi l'installazione di un'apertura automatica del portone di ingresso dello stabile mediante citofoni installati nelle singole unità immobiliari, nonché l'adozione dell'uso della chiave per l'utilizzo dell'ascensore); come anche quella controversia promossa da un condomino nei confronti di altro partecipante, per contestargli la facoltà di usare come posteggio di motocicli determinate parti comuni, in quanto la predetta competenza - ora del Giudice di Pace - riguardava le questioni inerenti ai limiti qualitativi di una non contestata facoltà di uso dei beni condominiali (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1983, n. 1067); come pure la controversia sulla questione relativa all'accertamento della facoltà dei partecipanti ad un condominio di utilizzare la porta esistente su uno dei locali comuni aprendola, oltre che dall'interno, anche dall'esterno (Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 1997, n. 13109).

È stato, inoltre, affermato che l'utilizzazione a parcheggio nei viali adiacenti agli edifici di un complesso condominiale configura un uso della cosa comune (ulteriore rispetto all'ordinaria destinazione degli stessi ad accesso ai vari fabbricati), per cui la disciplina di tale utilizzazione (con limitazione, nella specie, ad una sola vettura per unità abitativa), disposta dall'amministratore nell'àmbito delle attribuzioni che gli competono a norma dell'art. 1130 c.c. o, a maggior ragione, dall'assemblea, non riguarda la “misura” del godimento riconosciuto ai singoli condomini sulla cosa comune, ma raffigura una “modalità d'uso” della cosa stessa (Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1997, n. 772); parimenti la controversia instaurata dal condomino che lamenta l'utilizzazione, da parte di altri condomini, del cortile comune per parcheggio di autovetture, in contrasto con la clausola del regolamento che ne vieta l'occupazione con beni mobili (Cass.civ., sez. II, 22 maggio 1997, n. 4575; Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2008, n. 3937, la quale ha riconosciuto la competenza del Giudice di Pace nell'azione proposta da un condomino al fine di contestare la legittimità dell'individuazione assembleare del posto auto ad esso assegnato senza tenere conto dell'eccessiva difficoltà di accesso ed uscita dallo stesso).

Quanto, invece, alla (allora) competenza ratione materiae del Pretore, la stessa è stata individuata (Cass. civ., sez. II, 12 maggio 1987, n. 4362) con riferimento alle controversie inerenti alla definizione dei limiti quantitativi e spazio-temporali del godimento del bene, identificando il concetto di “misura” nei casi in cui occorra solo regolare l'utilizzazione in senso materiale dei servizi condominiali; in altri termini, non deve essere in contestazione l'esistenza e l'ampiezza dei diritti dei singoli sulla cosa comune, ma si deve chiedere, su iniziativa del partecipante o anche dell'amministratore, un provvedimento che valga a sostituire la mancanza di accordo tra i comproprietari sugli indicati aspetti del concreto esercizio dei diritti medesimi.

In quest'ottica, si è sostenuta (Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1990, n. 7650) la competenza del Pretore sulla controversia instaurata in relazione ad un provvedimento dell'amministratore che aveva limitato ad ore e giorni determinati l'utilizzazione del cortile comune, che il regolamento consentiva a tutti incondizionatamente.

Al contempo, si è avuto modo di puntualizzare che le controversie che vedono messo in discussione il diritto del condomino ad un determinato uso della cosa comune, non rientrano nella competenza del Giudice di Pace ex art. 7 c.p.c., ma sono soggette agli ordinari criteri della competenza per valore, atteso che, in esse, non si controverte sui limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, relativi al modo più conveniente ed opportuno con cui detta facoltà debba esercitarsi, venendo piuttosto in gioco un vero e proprio conflitto tra proprietà individuale e proprietà condominiale (Cass. civ., sez. VI, 26 novembre 2021, n. 36967: nella specie, si trattava circa la realizzazione di un cancello scorrevole nell'androne condominiale ed in adiacenza a tre appartamenti di proprietà di altro condomino, al fine di delimitare la proprietà comune da quella privata).

L'impugnazione della delibera assembleare

A questo punto, ci è chiesti se i principi di cui sopra si applicano anche qualora sia impugnata una delibera assembleare che regolamenti l'uso dei servizi condominiali.

Riguardo alla predetta competenza ratione materiae - modalità o misura d'uso dei servizi e delle cose comuni - si deve sottolineare che l'elemento determinante e individualizzante della domanda svolta con l'impugnazione di una delibera assembleare da parte di un condomino sia costituito, ai fini della determinazione della predetta competenza, dalla natura della pretesa azionata e non dalle relative domande di annullamento della deliberazione (per la preferenza del criterio contenutistico, v., di recente, Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2011, n. 7074).

Deve, quindi, intendersi di competenza del Giudice di Pace la controversia instaurata da un condomino, con l'impugnazione della delibera attinente alla regolamentazione dell'uso degli spazi comuni del complesso condominiale e dei relativi accessi (fattispecie analizzata da Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1985, n. 2312, in relazione all'allora cognizione pretorile; tra le pronunce di merito, v. Giud. Pace Foligno 6 marzo 1997, il quale si è dichiarato competente sull'impugnativa di una delibera che aveva vietato ad alcuni condomini il parcheggio di autocaravan nelle aree condominiali adibite a parcheggio autoveicoli, in quanto trattavasi di controversia relativa alla modalità d'uso del bene condominiale).

Queste considerazioni valgono anche quando la deliberazione venga impugnata solamente per un vizio formale del procedimento - costituzione dell'assemblea o formazione della volontà condominiale - per cui la cognizione della regolarità del provvedimento impugnato spetta al giudice competente per materia a decidere sui rapporti sostanziali, modalità o misura d'uso dei servizi condominiali, oggetto della deliberazione adottata (Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1990, n. 7650; Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1988, n. 7041; contra, Triola, il quale sostiene, invece, che il condomino che impugna una delibera per un vizio formale del procedimento di emanazione mira ad ottenere un solo risultato, e cioè l'annullamento della deliberazione, senza mettere in discussione la legittimità dal punto di vista sostanziale delle decisioni adottate, sicché, trattandosi di causa di valore indeterminabile, la competenza spetterebbe al tribunale).

Aderendo, quindi, all'indirizzo giurisprudenziale consolidato, rientra nella competenza del Giudice di Pace la controversia in cui si sostenga l'illegittimità di una delibera autorizzante l'uso dell'ascensore per il trasporto di carrozzine per bambini, essendo lo stesso collaudato solo per il trasporto di persone, anche se si alleghi, quale unico vizio inficiante la validità della decisione, la genericità dell'ordine del giorno; e ancora, l'impugnazione di una delibera che ha regolamentato le modalità d'uso di un parcheggio deve essere proposta davanti al Giudice di Pace, seppure, a suo fondamento, venga dedotta soltanto la mancata convocazione di un condomino alla riunione (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 1994, n. 8431, sulla legittimità di una delibera che aveva vietato l'uso dell'ascensore per il trasporto di animali domestici, nella quale si è affermata la competenza del Conciliatore e, quindi, ora del Giudice di Pace).

Di contro, va affermata la competenza del Tribunale in ordine all'impugnazione della delibera nella parte in cui si stabilisca di mantenere il distacco dell'apertura della porta di ingresso dello stabile dai singoli citofoni anche durante le ore di chiusura del portierato, in quanto solo apparentemente tale decisione concerne le modalità e la misura d'uso dei beni comuni, ma di fatto si risolve in una limitazione delle dotazioni dei singoli appartamenti privati ed ai diritti del singolo condomino, rimanendo a tale stregua impedita ogni possibilità di scendere ad aprire a qualsiasi invitato o fornitore, nonché di ricevere soccorso in caso di impedimento a scendere le scale (Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2005, n. 4030).

Le immissioni moleste nell'edificio urbano

Sempre riguardo alla realtà condominiale, va rilevato che, in forza del disposto dell'art. 7, comma 3, c.p.c., il Giudice di Pace «é competente, qualunque ne sia il valore: … 3) per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità».

Nell'àmbito di tale competenza funzionale, deve ritenersi inclusa qualsiasi controversia avente ad oggetto tali immissioni, sia di natura reale ex art. 844 c.c., sia di natura personale ai sensi dell'art. 2043 c.c., qualunque ne sia il valore, purché la questione risulti riconducibile a quel rapporto di vicinato (Trib. Milano 29 marzo 1999).

Va ricompresa, quindi, sia la domanda rivolta all'inibitoria delle immissioni, sia quella di risarcimento del danno subíto dall'immobile in conseguenza di uno degli indicati accadimenti (qualora, però, la doglianza non sia condotta nell'alveo esclusivo dell'art. 844 c.c., ma si lamenti la violazione di un'apposita disposizione del regolamento di condominio, ad avviso di Cass. civ., sez. VI, 28 settembre 2017, n. 22730, si esula dalla competenza del magistrato onorario).

Qualora ad agire sia il proprietario, il danno può concretarsi nel diminuito valore del bene, mentre ove ad agire sia il conduttore può farsi riferimento al diminuito valore del godimento, sia quantitativo (argomentando ex art. 1584 c.c.) sia qualitativo, utilizzandosi in tal caso il criterio equitativo, come nell'ipotesi di menomazione del diritto al riposo, alla quiete familiare, all'ordinario svolgimento delle proprie occupazioni, ecc.

In altri termini, la competenza per materia del Giudice di Pace va ravvisata sia che si richieda la cessazione totale delle lamentate immissioni, sia che si solleciti l'adozione di specifici accorgimenti tecnici volti a contenere le propagazioni, sia che si invochi il risarcimento dei danni subiti (senza limiti di valore) per equivalente pecuniario o in forma specifica, sia, infine, che si invochi l'accertamento negativo o positivo di una servitù avente ad oggetto l'attività di immissione (domanda di negatoria e confessoria servitutis).

A siffatta interpretazione estensiva inducono due ragioni:

a) l'elemento testuale, desumibile dal n. 3) dell'ultimo comma dell'art. 7 citato, rappresentato dalla considerazione che il Legislatore ha espresso la regola di competenza riferendosi con evidente volontà di generalizzare ai “rapporti .... in materia di immissioni”;

b) il fatto che l'azione di inibitoria, laddove è prevista dall'art. 844 c.c., si sostanzia in una species del più ampio genus dell'azione negatoria ex art. 949 c.c., mentre, laddove (al di fuori della logica dei rapporti di diritto reale) si riconduce all'art. 2043 c.c., finisce per connotarsi come una species del genus dell'azione del risarcimento del danno cui sia riconosciuta tutela in forma specifica ex art. 2058 c.c., «onde restringere la competenza al solo profilo inibitorio è irrazionale, perché significa in entrambi i casi limitare la competenza ad un solo aspetto di un'azione di carattere unitario» (così Pret. Monza 8 luglio 1997).

Esula, invece, secondo altri (Scotti), dal rapporto di vicinato e si pone come domanda accessoria quella di risarcimento del danno alla persona, in particolare da stress, che resta, pertanto, aliena alla competenza del Giudice di Pace, con la conseguente applicazione del nuovo art. 40, commi 6 e 7, c.p.c.; ne deriva, ad esempio, che, qualora ad una domanda di accertamento dell'illegittimità di immissioni in un appartamento adibito ad abitazione, di competenza esclusiva del Giudice di Pace, si aggiunga una pretesa risarcitoria superiore a € 5.000,00, entrambe le domande dovranno essere proposte davanti al Tribunale, senza che possa essere eccepita l'incompetenza per materia in relazione alla causa principale; come anche se le medesime domande siano state proposte separatamente davanti al magistrato togato e a quello onorario, quest'ultimo dovrà rilevare d'ufficio la predetta connessione e declinare la propria competenza.

Trattasi, comunque, di una competenza per materia del tutto nuova: essa è stata voluta da quanti propugnavano nel nuovo magistrato onorario un organo da preporre a difesa delle regole della convivenza e della tolleranza - una sorta di paladino della giustizia - e da quanti avevano osservato che, proprio in ordine a siffatte questioni, l'elevato costo dei processi aveva privato il cittadino della tutela giudiziaria.

A questo punto, occorre perimetrare compiutamente i precisi limiti di individuazione della competenza del Giudice di Pace.

Dal punto di vista soggettivo, tale competenza concerne i rapporti tra proprietari (condomini e non condomini), tra proprietari e detentori (intesi questi ultimi nel senso più lato del termine, così, ad esempio, i conduttori, i comodatari e tutti coloro che hanno la disponibilità a qualunque titolo dell'immobile), e, infine, tra detentori di immobili (si pensi a due inquilini di due diversi appartamenti di uno stesso stabile).

Dal punto di vista oggettivo, in primo luogo, deve trattarsi di immobili adibiti a civile abitazione, nel senso che ne restano escluse le utilizzazioni di immobili adibiti ad uso agricolo (art. 2135 c.c.), commerciale e industriale (art. 2195 c.c.), nonché le aziende.

Tale limitazione - ossia la sottrazione al Giudice di Pace del complesso delle cause formanti il contenzioso del c.d. vicinato industriale - risulta abbastanza rilevante, ove solo si pensi al generalizzato fenomeno delle immissioni industriali e ai problemi oggi posti all'attenzione dal traffico urbano; la ratio della stessa potrebbe rinvenirsi sia nella considerazione che tali controversie coinvolgono quasi sempre grandi interessi economici, sia nella reputata inopportunità di affidare al giudice onorario il contemperamento, in applicazione dell'art. 844, comma 2, c.c., delle esigenze della produzione industriale con quelle della proprietà privata (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090, in ordine al criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni correlato alla peculiarità dei rapporti condominiali).

In secondo luogo, la predetta destinazione abitativa deve riguardare sia l'immobile da cui le immissioni ritenute eccedenti la normale tollerabilità provengono, sia l'immobile in cui si verificano: in altri termini, la nuova competenza del Giudice di Pace attiene al solo caso in cui entrambi i fondi, immittente ed immesso, siano adibiti a civile abitazione, e non quando l'immissione provenga da un fondo diverso.

Usando l'espressione “immobili adibiti a civile abitazione” (Giud. Pace Genova 15 gennaio 2010), sembra, poi, che il Legislatore lasci intendere che debba aversi riguardo, non già alla natura intrinseca dell'immobile ed a prescindere dalla sua classificazione catastale, ma al fatto oggettivo che esso sia adibito a tale uso di civile abitazione, e che la predetta destinazione - data dal proprietario che vi abita o dal detentore - a qualunque titolo sia effettiva e reale, circostanza questa che, ad esempio, potrebbe attirare nell'àmbito della competenza del Giudice di Pace le controversie proponibili relativamente all'uso di baracche, roulottes, edifici vari ad opera di sfrattati o di extracomunitari.

Ci si è anche chiesti (Terzago) cosa succede nel caso in cui, all'interno di un immobile adibito a civile abitazione, si svolga un'attività rumorosa per diporto (come, ad esempio, lavori di sarto, di falegnameria, o altro, per un uso proprio); stante che il legislatore ha posto l'accento (“adibito”) sulla destinazione dell'immobile, l'attività nello stesso svolta assume in tale caso unicamente il ruolo dell'immissione tollerabile (o non), tuttavia tale destinazione deve essere posta in relazione alla volontà del soggetto; quindi, se un immobile di civile abitazione viene destinato (con o senza modifiche) ad un uso diverso, la controversia viene ad essere sottratta alla competenza del Giudice di Pace, come anche nell'ipotesi opposta in cui a dolersi sia il proprietario o il detentore di un immobile adibito ad un'attività diversa dall'abitazione per le immissioni provenienti da un'unità immobiliare di civile abitazione; nel caso, infine, di uso promiscuo (civile abitazione per una parte, ed attività artigianale o professionale dall'altra), dovendosi considerare l'attività, rumorosa o meno, che proviene dall'immobile, ed essendo la stessa svolta con carattere imprenditoriale, sembra preferibile anche qui escludere la competenza del magistrato onorario.

Secondo una pronuncia di merito (Pret. Monza 8 luglio 1997), ciò che conta, ai fini della radicazione della competenza del Giudice di Pace, è che l'immissione venga posta in essere nell'esplicazione di un'attività comunque funzionale al godimento di un immobile come civile abitazione; così, se le immissioni vengono poste in essere dall'impresa che compie la manutenzione della facciata dello stabile, ricorre la competenza in oggetto ove il vicino agisca contro il condominio e l'impresa, perché l'immissione è determinata da attività di manutenzione di immobile adibito a civile abitazione; stessa conclusione per il caso di immissione che si verifica attraverso lo scarico dell'automobile o il rumore del suo motore nel cortile (Giud. Pace Como 13 marzo 1999), o nel box, in quanto proveniente da una pertinenza di un immobile adibito a civile abitazione; invece, non ricorre tale competenza qualora l'immissione provenga dall'esercizio in casa di un'attività professionale, come quella del pianista che impartisce lezioni nel proprio appartamento, posto che non si ricollega alla destinazione di civile abitazione dell'immobile, mentre rientra nella cognizione funzionale del magistrato onorario il diverso caso in cui taluno si eserciti al piano a casa sua per mero diletto, anche se svolga professionalmente l'attività di pianista, ma altrove.

Per il resto, quanto alla più precisa individuazione del significato di “civile abitazione”, è stato ritenuto che il Legislatore abbia avuto presente le nozioni chiaritesi nell'applicazione della legge sull'equo canone, ai cui fini era, appunto, rilevante l'esatta distinzione tra immobili locati ad uso abitativo e quelli locati per un uso diverso; al riguardo, tanto per fare alcuni esempi, la giurisprudenza aveva affermato che non erano destinati ad uso abitativo la cava di pietra (Cass. civ., sez. III, 12 aprile 1990, n. 3131), l'azienda (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1989, n. 2138), il garage adibito a ricovero di taxi, gli studi professionali, la garconniere.

In quest'ottica, dovrebbe esulare dalla sfera di competenza del Giudice di Pace non solo il caso in cui le immissioni moleste provengano da uno stabilimento industriale, ma anche l'ipotesi nella quale le propagazioni denunciate derivino, non già da un vero e proprio insediamento produttivo, ma anche da un edificio condominiale in cui venga svolta un'attività commerciale, artigianale o turistica, essendo rilevante appunto la concreta destinazione che viene data all'immobile in oggetto.

Quindi, pure per tali generi di attività, dovrebbero valere le motivazioni addotte per giustificare l'esclusione della competenza del magistrato non togato in ordine al valore spesso elevato della controversia, al coinvolgimento di tematiche connesse all'impatto ambientale di un'attività produttiva, spesso implicante temi socio-politici di rilievo, ed alla necessità di valutazione comparativa degli interessi in gioco con l'esigenza di considerazione anche dell'interesse produttivo.

In conclusione, si può affermare (Proto Pisani) che la nuova competenza per materia attribuita al Giudice di Pace copre un'area, per un verso, più ampia e, per altro verso, più ristretta, di quella delle immissioni previste dall'art. 844 c.c.; più ampia, sotto il profilo soggettivo - e tale estensione, quindi, non richiede il ricorso all'analogia - in quanto concerne non solo i rapporti tra proprietari, ma anche i rapporti tra proprietari e detentori, o tra detentori; più ristretta, perché la lettera dell'art. 7 c.p.c. si riferisce unicamente alle immissioni tra fruitori di immobili adibiti a civile abitazione, escludendo, dunque, il settore agricolo ed industriale, la cui competenza è rimasta immutata in capo al Tribunale.

Ad ogni buon conto, mette punto rammentare che, per quanto concerne tutte le summenzionate controversie che sono appannaggio esclusivo della competenza per materia del Giudice di Pace, il d.lgs. n. 149/2022 ha modificato l'art. 316 c.p.c. (“Forma della domanda”), il quale attualmente recita: “1. Davanti al giudice di pace la domanda si propone nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, in quanto compatibili e non derogate dalle disposizioni del presente titolo.

La c.d. riforma Cartabia ha, quindi, innovato il procedimento davanti al suddetto magistrato onorario, nel senso che lo stesso, dal 1° marzo 2023, introdotto con ricorso (e non più con citazione), è modellato sulla base del “procedimento semplificato di cognizione”, delineato ora negli agli artt. 281-decies ss. c.p.c. - prendendo, in buona sostanza, il posto del “procedimento sommario di cognizione” di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c. (introdotto dalla legge n. 69/2009) - al quale sono state apportate ulteriori “semplificazioni” procedurali, giustificate dalla (almeno tendenziale) minore complessità delle liti affidate al giudice non togato e dall'esigenza di rendere accessibile lo strumento anche ad un utenza non specializzata..

Casistica

CASISTICA

Utilizzo del parcheggio comune

La controversia sulla legittimità dell'uso a parcheggio di un'area condominiale appartiene alla competenza del Tribunale e non a quella del Giudice di Pace, risultando oggetto di contestazione il diritto ad un certo uso del bene comune e non soltanto le relative modalità di esercizio (Cass. civ., sez. VI, 10 agosto 2015, n. 16650).

Clausola del regolamento condominiale

La controversia che riguardi i limiti di esercizio del diritto del condomino sulla sua proprietà esclusiva, derivanti da una clausola del regolamento condominiale, non rientra tra le cause relative alla misura e alle modalità d'uso dei servizi di condominio, di competenza del Giudice di Pace, che attengono alle riduzioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle parti comuni e ai limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione in proporzione alle rispettive quote (Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2014, n. 23297).

Chiave di accesso al lastrico solare

Qualora venga impugnata una delibera assembleare, il riparto di competenza deve avvenire in base al principio contenutistico, ossia con riguardo al tema specifico del deliberato assembleare di cui l'attore si duole; ne consegue che è devoluta alla competenza per materia del Giudice di Pace - in quanto attinente alle modalità di uso dei servizi condominiali, ai sensi dell'art. 7, comma 3, n. 2), c.p.c. - la controversia relativa alle modalità di custodia della chiave di accesso al lastrico solare, a nulla rilevando che l'attore abbia dedotto come fondamentale motivo di censura la mancata inclusione di tale oggetto nell'ordine del giorno dell'assemblea condominiale (Cass. civ., sez. VI, 28 marzo 2011, n. 7074).

Superamento della normale tollerabilità

L'art. 7, comma 3, n. 3), c.p.c. attribuisce alla competenza per materia del Giudice di Pace tutte le controversie che attengono a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione nelle quali si lamentino immissioni che oltrepassino la soglia della normale tollerabilità e ciò non solo quando la domanda è diretta ad ottenere l'inibitoria di cui all'art. 844 c.c., ma anche ove l'azione sia proposta, in via accessoria o esclusiva, per conseguire il risarcimento del danno sofferto a causa delle immissioni (Cass. civ., sez. VI, 10 aprile 2015, n. 7330).

Eliminazione del cancello dal pianerottolo

La domanda volta all'eliminazione di una cancellata, installata da un condomino su un pianerottolo comune. appartiene alla competenza del Tribunale, trattandosi di controversia a tutela dell'essenza del diritto all'uso di un bene comune e della libertà di esercizio di tale uso e, pertanto, non annoverabile tra quelle relative “alla misura e modalità di uso dei servizi di condominio di case”, devolute alla competenza del Giudice di Pace dall'art. 7, comma 3, n. 2), c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, 22 novembre 2021, n. 35818).

Guida all'approfondimento

Scalettaris, Controversie in materia condominiale e giudice di pace: qualche appunto, in Arch. loc. e cond., 2017, 173;

Celeste, La competenza all inclusive del giudice di pace in materia condominiale, in Immob. & proprietà, 2016, 657;

Tamburro, La competenza del giudice di pace in materia condominiale, in Arch. loc. e cond., 2012, 258;

Mancini, Competenza per materia del giudice di pace in tema modalità d'uso e misura dei servizi di condominio, in Giudice di pace, 2010, 144;

Cirla, La tutela del singolo condomino di fronte alle immissioni di rumore, in Immob. & proprietà, 2005, 251;

Celeste - Iacoboni, Il giudice di pace: le cause civili e i processi penali, Milano, 2007;

Salciarini, Immissioni e “normale tollerabilità condominiale”, in Arch. loc. e cond., 2001, 399 ss.

De Tilla, Sulla competenza del giudice di pace in materia condominiale, in Arch. loc. e cond., 1996, 702;

Terzago, La competenza del giudice di pace in materia condominiale, in Arch. loc. e cond., 1996, 843;

Scotti, I rapporti di vicinato e le cause condominiali, Milano, 1994;

Proto Pisani, L'istituzione del giudice di pace, in Foro it., 1991, V, 586;

Tramontini, “Modalità d'uso dei servizi condominiali” e “misura dei servizi del condominio di case” nella l. n. 399/1984, in Arch. loc. e cond., 1986, 521;

Scire', In tema di impugnativa di delibera condominiale e di competenza per materia nel caso in cui l'oggetto della delibera verta sulle modalità di uso della cosa comune, in Processi civili, 1978, 387.

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