11 Giugno 2018

Per targhe e insegne si intendono i manufatti di qualunque natura, dimensioni e tipologia installati nell'edificio che costituisce la sede dell'attività a cui si riferiscono o nelle sue pertinenze, recanti simboli, marchi e denominazione dei liberi professionisti, delle ditte o delle aziende rappresentate, comunque volti a pubblicizzare esclusivamente beni, prodotti e servizi riconducibili all'esercizio di riferimento.
Inquadramento

Le targhe e le insegne – che, com'è noto, rendono visibile al pubblico la presenza di una determinata attività all'interno dell'edificio – rappresentano un importante strumento di comunicazione per i relativi titolari/esercenti, i quali, installandole in maniera visibile al maggior numero di persone possibile, possono ottenere utili effetti di pubblicità. Nella particolare situazione (giuridica e di fatto) del condominio, è frequente che negozi o uffici abbiano l'esigenza di apporne una sulla facciata esterna.

Si tratta di un'operazione che deve essere armonizzata con i principi giuridici che regolano l'intera fattispecie condominiale e che, in buona sostanza, va ad intercettare i diritti/doveri che spettano ai partecipanti nella loro contemporanea qualità di comproprietari delle parti comuni e di proprietari esclusivi delle porzioni di piano private.

Il criterio principale al quale è necessario attenersi è rinvenibile nell'art. 1102 c.c. (previsto, astrattamente, per la c.d. comunione ordinaria, ma applicabile al condominio in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c.).

È fondamentale evidenziare come tale norma preveda due distinti steps precettivi:

a) in prima battuta, afferma il principio per cui «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto» (cfr, prima parte del comma 1), con ciò sostanzialmente attribuendo a ciascun condomino un “diritto”, seppur sottoposto dalle predette condizioni;

b) in secondo luogo, precisa che «a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa» (cfr., seconda parte del comma 1), in tal modo ampliando considerevolmente le prerogative consentite ai singoli, i quali vengono ulteriormente facoltizzati ad apportare “migliorie” alle “parti comuni”, senza necessità di preventiva autorizzazione da parte degli “altri” condomini (vale a dire, dell'assemblea).

In buona sostanza, si può partire dal dato che è astrattamente possibile, per il singolo, installare proprie targhe e/o insegne, salvo individuare, con precisione, la portata di tale facoltà.

L'ambito della facoltà di installazione

Assodata l'attribuzione a ciascun condomino del relativo diritto di installazione sulle parti comuni, ciò che resta da approfondire è la portata della corrispondente facoltà.

Si potrebbe dire che, considerata la specifica natura delle targhe e delle insegne (che hanno funzione di pubblicità), la loro apposizione viene solitamente (e proprio deve essere) effettuata eminentemente sui muri perimetrali (altrimenti detti: “facciate”) in modo che siano il più possibile visibili all'esterno.

Invero, non è da escludere (come peraltro si verifica di fatto) che le targhe/insegne siano allocate su parti esclusive (si pensi, alle ipotesi di installazione all'interno delle finestre/aperture private, o sulla parte esterna dei parapetti, anch'essi certamente privati qualora afferiscano a balconiaggettanti”: cfr., su tale aspetto, ed ex multis, Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2012, n. 13509). Tuttavia, anche in questa ultima ipotesi viene coinvolto un interesse comune che è rappresentato, in via generale, dal “decoro” dello stabile, e, in particolare, dal mantenimento della sua integrità. Non è un caso, infatti, che la Suprema Corte ha recentemente precisato che tipologia di balcone, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartiene in via esclusiva al proprietario di questa, ad eccezione, però, dei rivestimenti e degli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore che si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole (Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1990).

A corollario di ciò, va puntualizzato che non è nemmeno da escludere che il singolo condomino proceda a installare la sua targa/insegna sul muro comune corrispondente all'unità immobiliare di un altro condomino (Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1973, n. 1975), senza che tale attività, però, possa arrivare ad arrecare pregiudizio alla proprietà esclusiva, poiché in quel caso la collocazione risulta certamente illegittima (Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 1998, n. 1046).

Le modalità di esercizio del diritto

La giurisprudenza di merito ha ripetutamente analizzato tale fattispecie, arrivando a precisare analiticamente le modalità con cui il diritto spettante al singolo di installare targhe/insegne può essere esercitato.

È stato, quindi, puntualizzato:

a) con riferimento alla necessità del rispetto della destinazione della “parte comune” (requisito posto espressamente dal citato art. 1102 c.c.), che non altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale, l'utilizzazione del muro perimetrale comune, da parte del singolo condomino, mediante l'apposizione di cartelli, targhe, insegne, canne fumarie e simili; invero, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1102 c.c. sempre che non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro e sempre che, nel contempo, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell'edificio e non ne alteri il decoro architettonico (Trib. Roma, 23 marzo 2011);

b) siffatta utilizzazione dei muri perimetrali dell'edificio in condominio al fine di apporre targhe ed insegne per pubblicizzare la propria attività , può avvenire senza bisogno del consenso degli altri partecipanti, purché – ovviamente – la relativa utilizzazione non impedisca agli altri condomini di fare eguale uso della cosa comune (Trib. Palermo, 12 dicembre 1991);

c) ancor più, l'utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino mediante l'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e, ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro, «costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune» (Pret. Trani, 25 luglio 1989). Si badi, tuttavia, che secondo una diversa impostazione, tale facoltà non potrebbe essere esplicata sul portone di ingresso, sul muro e nel corridoio dell'atrio condominiale, in quanto la collocazione da parte di un condomino, di insegne luminose, targhe e cartelli pubblicitari in tali luoghi risulta in contrasto con la funzione o la destinazione tipica di tali parti comuni (Trib. Brescia, 26 aprile 1994).

Detta impostazione interpretativa risulta pienamente confermata dalla giurisprudenza di legittimità, relativamente alla quale la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire che:

1) i muri perimetrali dell'edificio (c.d. “facciate”) costituiscono una comunione pro indivisoper tutta la loro estensione e ciascuno dei condomini può servirsene per quelle utilità accessorie che ineriscono al godimento della sua proprietà esclusiva, qual è l'utilità derivante dal risalto pubblicitario dell'attività professionale o commerciale svolta, utilità che normalmente si realizza mediante l'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili (Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1979, n. 4408; Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1973, n. 1975; Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1973, n. 2020);

2) l'utilizzazione, sotto tale riflesso, del muro perimetrale comune non altera la sua naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e, ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro per ritrarne analoga utilità, costituisce normale esercizio del diritto di uso della cosa comune (Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986 n. 6229);

3) qualora, poi, singolo il condomino, abbia locato ad altri il bene di sua proprietà esclusiva, tale diritto si trasferisce al conduttore, tenuto conto che per effetto della locazione questi viene a trovarsi nella stessa posizione del proprietario suo locatore e può quindi servirsi del muro perimetrale dell'immobile locatogli con uguale contenuto ed uguale modalità, Ovviamente lo stesso diritto può essere convenzionalmente escluso dal contratto di locazione tra il condominio ed il conduttore, ma, ove uno specifico ed esplicito divieto non sia formulato, il diritto deve ritenersi sussistente, in quanto al conduttore è consentito trarre dalla cosa locata tutte le utilità inerenti al suo normale godimento, escluse solamente quelle espressamente vietate dal contratto o confliggenti con diritti del locatore o di terzi, e non vi è dubbio che la collocazione di un'insegna in un esercizio commerciale contribuisce al richiamo dei consumatori a favorisce quindi il normale godimento del locatore in cui l'esercizio medesimo è posto (Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195; Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1981, n. 6108; Cass. civ., sez. II, 17 aprile 1981, n. 2331);

4) trattandosi di un diritto spettante ai singoli partecipanti in virtù di espressa disposizione di legge (art. 1102 c.c.) e, quindi, a loro attribuito in via autonoma e diretta, i condomini possono rinunciare o limitare le loro prerogative con voto unanime (c.d. regolamento contrattuale), per il fatto che i medesimi sono liberi di fissare quei limiti che credono sia al diritto esclusivo del condomino sia all'uso delle parti comuni dell'edificio; in particolare, nell'ambito della anzidetta autonomia negoziale, i condomini possono sottoporre a limitazioni l'esercizio dei poteri e delle facoltà che normalmente caratterizzano il contenuto del diritto di proprietà dei singoli sulle cose comuni, vertendosi in materia disponibile; possono, ad esempio, con il suddetto regolamento, vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni dell'edificio, oppure subordinarla al consenso dell'amministratore del condominio (cfr., ex multis, (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311; Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1974, n. 4047). In applicazione di tali principi, è stato precisato che l'amministratore di condominio ha la facoltà, in applicazione del regolamento condominiale, di inviare a un condomino una lettera contenente l'ordine di rimozione di una targa appesa nell'atrio condominiale, rientrando, detta condotta, nelle sue attribuzioni (e non comportando alcun eccesso di potere), atteso che è suo compito, facendo ragionevolmente rinvio delle disposizioni regolamentari o di legge, richiamare il singolo condomino alla relativa osservanza (Cass. civ., sez. II, 22 giugno 2011, n. 13689);

5) l'ambito del diritto di apposizione può estendersi anche all'apposizione di una vetrina sul muro perimetrale, in quanto la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l'art. 1102 c.c. non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 1499);

6) l'applicazione dei principi da ultimi indicati, tuttavia, conduce anche ad una decisione di senso contrario e alla qualificazione in termini di illegittimità dell'apposizione (sempre sul muro perimetrale) di tre bacheche, fornite di impianto di illuminazione, per l'esposizione di quadri in vendita, perché tale da impedire agli altri condomini ogni eventuale uso che in avvenire essi avessero voluto fare di detto muro, per collocarvi targhe professionali o commerciali; infatti, per accertare se l'uso più intenso della cosa comune da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio e debba perciò ritenersi non consentito ex art. 1102 c. c., non deve tenersi presente l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13107).

La competenza sulle eventuali controversie

Giusto un accenno merita il collegamento dell'argomento con la competenza a giudicare sulle relative controversie.

Infatti, sul punto, va tenuto presente che esiste una specifica disposizione di legge (cfr. § 2 del comma 3 dell'art. 7 c.p.c.) che affida «le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case» alla competenza per materia del Giudice di pace.

In riferimento a detta norma, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la controversia relativa alla rimozione di un'insegna apposta sulla facciata dell'edificio condominiale in violazione del regolamento di condominio, deve essere compresa tra quelle aventi ad oggetto le modalità e l'uso dei servizi condominiali di competenza del giudice di pace (Gdp Bari, 12 febbraio 1996).

CASISTICA

Riduzioni o limiti quantitativi del godimento

Le controversie relative alle modalità d'uso dei servizi di condominio rientrano nella competenza dei giudici di pace, si tratti di riduzioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle parti comuni o di limiti quantitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, in proporzione delle rispettive quote. Rientrano, invece, nella competenza del Tribunale le liti relative ai limiti di esercizio del diritto del condomino sulla sua proprietà e, quindi, alle limitazioni all'esercizio di tale diritto di proprietà esclusiva che siano imposte da un atto di obbligo, quale anche una clausola limitativa. (Cass. civ., sez. VI, 28 ottobre 2016, n. 21910)

Accertamento sul diritto spettante ai condomini

Le controversie relative all'accertamento delle modalità di esercizio di una servitù gravante sul passo carraio condominiale rientrano nella competenza del tribunale, anziché in quella del giudice di pace, posto che involgono un accertamento che investe un diritto reale di godimento spettante ai condomini. (Trib. Milano, 27 aprile 2016, n. 5275)

Utilizzazione dell'area condominiale

Rientra nella competenza per materia del giudice di pace la lite sulle modalità d'uso dell'area condominiale, come quando si discuta se essa sia utilizzabile per collocarvi tavolini e sedie. (Cass. civ., sez. VI, 27 ottobre 2015, n. 21910)

Constestazione del diritto o delle modalità di esercizio

La controversia sulla legittimità dell'uso a parcheggio di un'area condominiale appartiene alla competenza del tribunale e non a quella del giudice di pace, risultando oggetto di contestazione il diritto ad un certo uso del bene comune e non soltanto le relative modalità di esercizio. (Cass. civ., sez. VI, 10 agosto 2015, n. 16650)

La locazione del muro perimetrale (o del lastrico solare) per l'apposizione di targhe o insegne pubblicitarie

È dato di conoscenza comune che nell'ambito condominiale esistono beni condominiali dal più vario e potenziale utilizzo: ad esempio la facciata condominiale, idonea all'apposizione di targhe e il lastrico solare, idoneo all'installazione di insegne pubblicitarie.

Il primo quesito da porsi in questi casi è “se” ed “a quali condizioni” tali beni comuni, o parte di essi, possono essere, per tali finalità, concessi in locazione a terzi (comprendendo in tale categoria anche alcuni singoli condomini), che ne avranno, perciò, per tutta la durata del relativo contratto, il godimento esclusivo ex art. 1571 c.c.

Può anticiparsi che la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile tale soluzione, seppur individuando alcune precise condizioni il cui rispetto è necessario per la validità dell'intera operazione.

Per avere una visione d'insieme della materia, e per utile approfondimento sul tema, è opportuno richiamare le precisazioni che ha svolto la Suprema Corte relativamente alla fattispecie della locazione di parte comune. I giudici ermellini hanno affermato che qualora non sia possibile l'uso diretto della cosa comune da parte di tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla quota di ciascuno, ovvero promiscuamente, oppure con sistemi di turni temporali o frazionamenti degli spazi, l'uso indiretto della cosa comune (nella specie, mediante locazione, che è atto di ordinaria amministrazione) può essere deliberato dall'assemblea dei condomini a maggioranza (ovvero disposto dal giudice, ex art. 1105 c.c., ultimo comma, c.c.) costituendo l'indivisibilità del godimento o l'impossibilità dell'uso diretto il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto (Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2004, n. 13763; Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131; Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1994, n. 8528, Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1984, n. 6010; Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 312).

Il caso paradigmatico è quello del lastrico solare del quale non sia possibile per i condomini trarre alcuna utilità diretta, ad esempio perché non calpestabile, e che venga concesso in locazione a terzi per l'installazione di un cartellone pubblicitario.

In merito all'impossibilità dell'uso diretto (che, come visto, costituisce “condizione” perchè si abbia valida locazione a terzi di un bene comune) è utile richiamare quanto precisato dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1994, n. 8528) la quale aggiunge alle parole “non sia possibile” (l'uso promiscuo, turnario o frazionario degli spazi comuni) la locuzione “o ragionevole”, riconoscendo al giudice, che si trovi a dover decidere sulla legittimità di una delibera con la quale sia stata disposta la locazione, una certa discrezionalità nel valutare la scelta adottata dall'assemblea; il tutto considerando anche che, per quanto riguarda le targhe e le insegne, è difficile ipotizzare, ad esempio, un uso turnario.

Ulteriore distinzione introdotta dalla Corte di cassazione è quella per cui il presupposto per la validità della delibera non è l'indivisibilità del bene, ma l'impossibilità di un uso diretto (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131; Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1994, n. 8528).

In altri termini, non è necessario che la cosa non sia materialmente divisibile, ma che, sia pure in maniera approssimativa, sia impossibile il godimento della stessa da parte di tutti i condomini. È perciò l' ”indivisibilità del godimento” il presupposto per il riconoscimento all'assemblea del potere di disporre l'uso indiretto (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131, la quale aggiunge che «la deliberazione che adotta quest'ultimo uso senza che ne ricorrano le condizioni è nulla, quale che sia la maggioranza, salvo che ricorra l'unanimità»).

Altro principio che si evince dalla citata giurisprudenza è che l'atto di cui trattasi (vale a dire, la locazione di un bene condominiale a terzi o ad alcuni condomini), è un atto di ordinaria amministrazione.

Relativamente a tale orientamento, è stato anche precisato (Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1998, n. 10446) che poiché la locazione di una cosa comune non integra un'innovazione, ai sensi dell'art. 1120 c.c., non risolvendosi né in una modificazione materiale di un bene comune, né in un mutamento della sua destinazione economica (l'utilizzazione indiretta di un immobile non si differenzia da quella diretta), l'unica alternativa che si pone è quella del suo inserimento tra gli atti d'amministrazione ordinaria, per i quali la ratifica richiede una deliberazione adottata a maggioranza semplice, ovvero tra quelli d'amministrazione straordinaria per i quali, anche in seconda convocazione, è necessaria la maggioranza prescritta dall'art. 1136, secondo comma, c.c. In quest'ottica, è preferibile ricomprendere la fattispecie nell'amministrazione ordinaria essendo possibile conseguire la finalità del miglior godimento delle cose comuni (art 1106 c.c.) anche con l'accrescimento dell'utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta (locazione, affitto) (Cass. civ., sez. II 21 ottobre 1998, n. 10446).

E proprio sul presupposto che la locazione sia un atto d'amministrazione ordinaria, la Suprema Corte ha altre volte deciso che anche il singolo condomino può concludere il contratto, avente ad oggetto un bene comune, senza l'espresso assenso degli altri partecipi, dovendosi presumere, salva prova contraria, che l'atto sia compiuto nell'interesse di tutti (Cass. civ., sez. II, 2 aprile 1965, n. 575; Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1962, n. 1133).

Nella specie, quindi, deve ritenersi valida ed efficace la ratifica del contratto di locazione disposta dall'assemblea dei condomini con la deliberazione adottata a maggioranza semplice (vale da dire, rispettando i quorum a seconda della 1^ o 2^ convocazione). Nella stessa ottica si colloca l'analoga disposizione prevista antecedentemente al codice civile del 1942 (cfr. art. 18, r.d.l. 15 gennaio 1934, n. 56) che, nell'ambito della disciplina della materia condominiale, autorizzava espressamente l'amministratore del condominio a locare le cose comuni per una durata non eccedente il biennio.

Altra utile indicazione è quella che la Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131) ci fornisce con riferimento all'ultimo comma dell'art. 1105 c.c., norma che prevede l'intervento del giudice nel caso in cui non si prendano i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune. Si tratta dell'ipotesi in cui ciascun condomino può ricorrere all'Autorità Giudiziaria, la quale provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore ad acta. Tuttavia, detto richiamo desta una qualche perplessità; infatti il giudice, richiesto di un provvedimento sostitutivo ex art. 1105 c.c., si troverebbe a dover sindacare la volontà (quanto meno tacita) dell'assemblea di lasciare inutilizzato il bene condominiale, soluzione gestionale che potrebbe anche avere le sue più che legittime motivazioni.

Interessante, infine, è la puntualizzazione che la giurisprudenza di legittimità ha spiegato in merito alla scelta del conduttore. È stato affermato che il potere di ogni condomino in merito alla gestione della cosa comune, se trae origine dal diritto di concorrere all'amministrazione di tale bene (art. 1105, primo comma, c.c.), incontra però un suo limite nell'obbligo di rispettare la volontà della maggioranza (Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1995, n. 8085), essendo, per gli atti di ordinaria amministrazione, le delibere della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle quote, obbligatorie per la minoranza dissenziente. Ne consegue che, qualora l'assemblea dei condomini abbia validamente deliberato l'uso indiretto del bene comune, e abbia disposto la locazione non a favore di uno dei condomini ma di un terzo, il condomino pretermesso non può dolersi della scelta dell'assemblea, a meno che questa non sia contraria alla legge o al regolamento di condominio (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131). In particolare, è stato respinto il ricorso di un condomino che aveva richiesto un bene condominiale in locazione e che aveva visto l'assemblea preferire un estraneo al condominio, il quale, per di più, aveva offerto un canone minore.

Guida all'approfondimento

De Tilla, L'inquilino e l'osservanza del regolamento di condominio. L'affissione di un'insegna luminosa sulla facciata, in Rivista giuridica dell'edilizia, 2012, fasc. 5, parte 1, p. 1077

Pennarola, Installazione su spazi condominiali di ripetitori telefonici: aspetti urbanistici, condominiali e fiscali, in Rivista giuridica dell'edilizia, 2012, fasc. 6, parte 1, p. 1511

Santarsiere, Apposizione di insegna sulla facciata del condominio. Interpello e diniego con deliberazione non motivata dell'assemblea. Nullità, in Archivio delle locazioni e del condominio, 2012, fasc. 4, p. 430

Casu - Metallo, L'obbligo di affissione della targa notarile: limiti di efficacia del regolamento condominiale, in Studi e materiali, 2010, fasc. 4, p. 1186

Scripelliti, Antenna per telefonia cellulare e poteri della assemblea di condominio, in Giurisprudenza italiana, 2007, fasc. 2, p. 369

Ceruti, Annullabile e nulla la delibera condominiale assunta a maggioranza che concede in locazione il lastrico solare per una stazione radio base, in Rivista giuridica dell'ambiente, 2006, fasc. 6, p. 1001

De Tilla, Sulla locazione della facciata dell'edificio, in Rassegna delle locazioni e del condominio, 2005, fasc. 3, p. 319

Capponi, Sulla locazione dell'uso di una parte comune al fine di installarvi una insegna pubblicitaria, in Archivio delle locazioni e del condominio, 2003, fasc. 5, p. 611

De Tilla, Sulla locazione dell'appartamento condominiale, in Rassegna delle locazioni e del condominio, 1999, fasc. 2, p. 313

De Tilla, Locazione e destinazione condominiale dell'alloggio del portiere, in Giurisprudenza di merito, 1992, fasc. 2, parte 1, p. 346

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