Per la Corte d’Appello di Torino l’infezione virale covid-19 non è infortunio bensì malattia ai fini applicativi dell’assicurazione privata: aspetti medico-legali

02 Ottobre 2023

La decisione della Corte d'Appello di Torino è interessante anche dal punto di vista medico-legale poiché chiarisce che l'infezione da Covid-19, ai fini assicurativi, è classificabile come malattia e non come infortunio.

Introduzione

La decisione della Corte di Appello di Torino n. 653 del 29 giugno 2023 è sembrato di un certo interesse, anche dal punto di vista medico-legale.

L'appellante Società Cattolica di Assicurazione Spa chiedeva l'integrale riforma della impugnata sentenza emessa dal Tribunale di Vercelli (n. 383/22); mentre la parte appellata ne voleva la conferma, con pagamento di indennizzo “a seguito della morte … per infortunio dovuto a contrazione del virus Covid-19 (SARS COV 2) sul luogo di lavoro”.

Dialettica medico legale

Lo scrivente (Professore Ordinario di Medicina Legale e delle Assicurazioni della Università di Milano, in quiescenza) si sente qui indirettamente chiamato in causa posto che gli appellati osservano, fra l'altro, che “la medicina legale ha ricompreso tra le ipotesi di infortunio anche l'infezione virale”. Ma va subito evidenziato, al riguardo, che a determinate condizioni, in linea con la normativa (tra cui l'art. 42 del D.L. 18/2020) la Medicina Legale ricomprende detta ipotesi nella sola gestione INAIL; e che solo una parte (forse minoritaria) della dottrina ha sostenuto l'indennizzabilità quale infortunio, nell'assicurazione privata, della infezione virale Covid 19.

Giova ricordare che in epoca anteriore ai “fatti Covid-19” (e anteriore al D.L. n.18 del 17 marzo 2020 - art. 42 comma 2- convertito  nella legge n. 27 del 24 aprile 2020; e alla Circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020 secondo cui “in questi casi … la causa virulenta  (è) equiparata a quella violenta”) nessuno Specialista in Medicina Legale avrebbe mai ritenuto che contrarre una infezione (sia essa virale, batterica o parassitaria) potesse configurare infortunio ai sensi di polizza (a prescindere, ovviamente, dalle specifiche estensioni di garanzia). E, a memoria, lo scrivente non ricorda un solo caso (incontrato personalmente o narrato da Collega) in cui uno specialista medico legale lo abbia sostenuto.

Peraltro, a prescindere dalla nota anamnestica  richiamata, merita essere rimarcato che la problematica di cui trattasi presenta anche dei precisi contenuti medico-legali che, a quanto sembra, non sono stati completamente affrontati dal Giudice di Torino il quale (del tutto comprensibilmente) ha esaurientemente argomentato sul piano del solo diritto contro la tesi degli appellati e del Tribunale di Vercelli. Va da sé che lo scrivente non può e non deve qui entrare nella materia giuridica; e tuttavia da profano cittadino (quisquam de populo) non può non apprezzare motivazioni, del seguente tenore, del Giudice torinese:

  • Non consta che la polizza in questione sia classificabile alla stregua di un'assicurazione sociale pubblica e dunque possa essere assoggettata al medesimo regime delle assicurazioni sociali; d'altro canto, può ritenersi incontestabile che la Società Cattolica di Assicurazione Spa sia una società privata e non un ente previdenziale.
  • La definizione dell'oggetto del contratto in esame rientrava nell'ambito della libera autonomia contrattuale delle parti (art. 1322 cc) che hanno scelto a quali tipi di rischio si intendesse conferire copertura, per cui non pare corretto mutuare ex post da una normativa emergenziale sopravvenuta, riguardante il diverso settore della tutela previdenziale INAIL da infortuno sul lavoro a favore dei lavoratori dipendenti, soggetti a contribuzione previdenziale, un'estensione dell'oggetto di una garanzia assicurativa che non sia stata dalle parti prevista e voluta dalle parti in contratto (l'intenzione di contraenti va ricostruita con riferimento alla conclusione del contratto e non sulla base di eventi successivi indipendenti dalla volontà delle parti: Cass. Civ. II n. 16351 del 20.05.22).
  • E' qui evidente che volontà, intenzione dei contraenti, al momento della stipulazione, era ben distinguere i rischi malattia ed infortunio, ed era scegliere la copertura caso-morte solo per il secondo e non anche per la malattia.
  • La rilevanza della distinzione dei due tipi di rischi garantiti è chiara e riscontrata anche dalla disciplina contrattuale delle (differenti fra loro) tempistiche e modalità della denuncia di sinistro, con previsione (per il caso-infortunio) che la denuncia sia accompagnata dalla indicazione del luogo giorno ed ora dell'evento e delle cause che lo hanno determinato.

Prima l’esame dell’evento

Ed è proprio da questo punto, dall’evento, che voglio muovere le argomentazioni medico-legali.

La più sopra accennata dottrina medico legale riconosce nella infezione virale Covid 19 i tre fondamentai requisiti che qualificano la causa nella assicurazione privata, che per contratto deve essere fortuita, violenta ed esterna. Il vivace confronto medico legale si verifica sul valore di “causa violenta” attribuito al virus, pacifico essendo che questo sia stato introdotto nell’organismo umano fortuitamente e dall’esterno.

Sulla spinosa questione della “causa violenta”, rilevante e tuttavia trattata incompletamente dal Giudice torinese, si tornerà appresso; mentre va subito osservato che l’interpretazione medico-legale “a favore dell’infortunio” è da ritenere confondente in quanto richiama l’attenzione dell’interprete soltanto sui tre requisiti e lo allontana dal concetto di “evento”. Questo costituisce il primo anello della catena causale di cui l’assicurato deve dare prova. Superata la pregiudiziale sull’evento, la verifica deve poi cadere sulla causalità nei suoi tre requisiti.

Perché possa qualificarsi infortunio, l’evento non deve essere un atto comune della vita; e va subito detto che, diversamente, il preciso, concentrato momento in cui il virus entra nell’organismo lo si riconosce mentre la persona, appunto, è impegnata in un atto comune della vita: nulla di anomalo nella gestualità di stringere la mano a taluno, di “subirne” l’espirio o altro. E non a caso, giustamente, l’assicuratore esige che la denuncia descriva ora, giorno, mese, anno, modalità di accadimento dell’evento, circostanze che la società di assicurazioni ha diritto di verificare, credere, ritenere plausibili, contestabili o non rigettabili.

Per il caso di agenti infettanti come causa di infortunio, si rischierebbe di assistere alla produzione di denunce riconducibili a letteratura fantastica.

In alcuni prodotti assicurativi, risulta indennizzabile l’evento “sforzo” con relative, specificate conseguenze. Ma secondo la prevalente interpretazione medico legale, questo va distinto dall’ “atto di forza”, non ritenuto evento-infortunio, proprio perché considerato atto comune della vita (il distinguo fra le due fattispecie ha non poco affaticato gli Autori medico legali in dottrina).

Se l’infezione, qualsivoglia, è penetrata attraverso una ferita, è comprovato l’evento che ha cagionato la ferita stessa e perciò ne sono indennizzabili le conseguenze lesive; lo stesso dicasi per il caso di puntura di insetto o morso di animale: l’assicuratore “se ne fa una ragione” ed ammette in deroga l’indennizzo in questi casi (con tutte le possibili modifiche nei vari e diversi contratti).

Dunque, si direbbe che, fatte salve specifiche previsioni di polizza, in generale le infezioni non sono qualificabili come infortunio nell’interpretazione medicolegale, in quanto si realizzano in occasione di eventi che costituiscono atti comuni della vita.

L’evento costitutivo dell’infortunio, come detto, deve essere provato in termini circostanziati, per cui l’assicurato non può pretendere che l’assicuratore consideri assolto tale obbligo a fronte di sue “vaghe presunzioni” come puntualmente si verificherebbe laddove ci fosse in gioco un atto comune della vita. Giustamente scrive il Giudice torinese della impossibilità -appunto in caso di evento comune della vita- di individuare il momento eziologico e il luogo preciso di esordio. E nel caso deciso, la impossibilità “è talmente evidente che la stessa sentenza impugnata al fine di accertare la tempestività della denuncia di sinistro … ha dovuto fare riferimento temporale, non già al momento storico del contagio, ignoto, bensì al decesso”.

La causa violenta

Ciò detto, si viene ora alla interpretazione medico-legale confondente che, come evidenziato più sopra, concentra l'attenzione dell'interprete soltanto sui tre requisiti di causa esterna, accidentale e violenta: argomentazione medico-legale che in talune sporadiche sentenze è stata recepita passivamente anche dal Giudice di merito, da cui ammissione della equivalenza infezione-virale-Covid19=infortunio indennizzabile nell'assicurazione privata.

Nello specifico punto, così si esprime il Giudice di Torino: “La polizza non fornisce ulteriori delucidazioni circa la nozione di causa fortuita, violenta ed esterna, per cui, assodato che non sono controversi in causa i requisiti del fortuito e dell'esteriorità, occorre soffermarsi sulla nozione di causa violenta. Costituisce fatto notorio … che il Sars Cov 2 sia un virus appartenente al ceppo del Corona Virus che dà luogo ad alterazioni della salute … Non è dunque possibile, in primo luogo, annoverare tale virus nell'ambito delle cause violente di carattere meccanico traumatico”.

E qui è necessario interrompere lo sviluppo logico dell'argomentazione svolta dal Giudice per aprire una parentesi.

Fra i molti che non abbiano un approccio medico-legale alla materia, si registra comunemente la tendenza a riconoscere la violenza di infortunio in un evento di “carattere meccanico traumatico”, e certamente le cause violente meccanico-traumatiche sono le più frequenti. Esse rientrano fra le lesività determinate da energia fisica in cui si distinguono i sottogruppi da energia meccanica, barica, termica, elettrica e radiante; per completezza vanno menzionate anche le lesività da energia chimica (ad esempio per esposizione ad agente corrosivo).

A questo punto ci si dovrebbe inevitabilmente porre una domanda: con quale criterio quantitativo si può stabilire che l'energia riversatasi sull'infortunato, in ciascuna delle numerose lesività più sopra classificate, sarà da ritenere violenta e tale, pertanto, da configurare il necessario, irrinunciabile criterio definitorio della causa violenta? Quando è molto intensa? Quanto molto?

Balza all'evidenza, a questo punto, che sarebbe impossibile stabilire, quale criterio dirimente, una soglia di intensità (secondo le diverse unità di misura dell'energia in gioco) al di sotto della quale si dovrà escludere la “causa violenta”.

La “violenza” non può dunque essere identificata in una più o meno rilevante intensità di energia applicata; ed è questa la ragione per cui, da sempre, la Medicina Legale ha scelto di identificare la violenza nella concentrazione cronologica. Conta solo che l'energia si sia intrinsecata in un tempo cronologicamente ristretto; e, diversamente, laddove si trattasse di energia applicata con modalità diluita nel tempo, si configurerebbe ciò che non è infortuno, e piuttosto malattia come definita nell'assicurazione privata (ed anche nella gestione INAIL).

Tornando all'ipotesi infezione Covid 19=infortunio nell'assicurazione privata, chi sostiene questa tesi valorizza il fatto che il Corona Virus penetra dall'esterno accidentalmente nel corpo umano in un solo tempuscolo, cioè in concentrazione cronologica: e da ciò fa derivare la indennizzabilità delle conseguenze prodotte nell'organismo, fino al decesso.

Così sostengono anche gli appellati nella causa in esame decisa dalla Corte D'Appello di Torino e nel merito risulta che il Giudice ha replicato come di seguito esposto: “La verifica della sussistenza della violenza, avuto riguardo ai requisiti della efficienza causale, esteriorità, rapidità e concentrazione cronologica indicati dalla dottrina medico-legale richiamata dalla parte appellata … deve essere effettuata con riferimento al momento genetico del contagio, non già con riferimento al successivo momento funzionale (o meglio disfunzionale: ndr) dato dalla lesione e/o dall'evoluzione della patologia che ne consegue”.

Ma la parte appellata non vede la violenza nella conseguente, successiva fase patologica disfunzionale: la ravvisa piuttosto nella penetrazione del Corona Virus nel corpo umano, in concentrazione cronologica, in un tempuscolo. Osserva, ancora, il Giudice torinese, che:

Nella giurisprudenza di merito indicata dalla parte appellata a sostegno della propria posizione, si afferma, infatti, che ciò che contraddistingue l'infortunio dalla malattia è la circostanza che nell'infortunio la causa scatenante abbia la caratteristica della rapidità e della concentrazione, mentre nella malattia si evolve nel tempo e che il meccanismo di contrazione dell'infezione da Corona Virus sia del primo tipo, avuto riguardo all'impatto immediato e devastante dell'agente virale sull'organismo umano (cfr. ad es. Tribunale Sez. IV Bergamo 16.03.2023 n. 561);

 o che la causa è violenta quando “agisce con rapidità ed intensità, in un brevissimo arco temporale o comunque in minima misura temporale, mentre non sono indispensabili i requisiti della straordinarietà o accidentalità o imprevedibilità del fatto lesivo (Trib. Trento Sez. lavoro 13.08.2022 n. 102 cit.);

ovvero, in particolare, nella sentenza impugnata del Tribunale di Vercelli, ove si dice che la linea di demarcazione fra infortunio e malattia viene così individuata nel fatto che la causa ha nel primo le caratteristiche della rapidità e concentrazione mentre nella seconda la caratteristica della non rapidità nell'evolversi indicando come termine di paragone, come malattia i danni derivanti dalla lavorazione dell'amianto che possano manifestarsi ad anni di distanza dal contatto.

Siffatte argomentazioni confondono proprio la caratteristica virulenta nel momento funzionale della malattia e della rapidità dell'evoluzione dei sintomi o della loro aggressività sull'organismo umano … con l'eziologia della patologia, a cui invece occorre avere riguardo nello stabilire se si tratti di causa violenta oppure no, dovendo essere integrato anche il requisito dell'esteriorità. Né francamente si comprende per quale ragione logica la contaminazione da amianto, che avviene anch'essa per le vie respiratorie, tramite inalazione di fibre presenti nell'ambiente, dall'esterno, debba considerarsi una malattia, e un virus contratto per le medesime vie respiratori, invece, un infortunio. Il momento e il luogo preciso del contagio da Covid costituiscono tuttavia in linea generale, un fatto ignoto e così lo è stato anche per lo sventurato … non essendo dato sapere in quale momento preciso egli abbia inalato il virus, la lesione non è immediata e la sintomatologia è preceduta da un tempo di incubazione variabile pure a seconda del ceppo del virus, per cui difetta, a giudizio di questa Corte, il requisito della violenza pur se intesa come concentrazione cronologica nel momento genetico”.

Nel merito, i distinguo del Giudice torinese, sotto il profilo medico-legale non sono condivisibili. La penetrazione del Corona Virus ha le caratteristiche della “concentrazione cronologica del momento genetico” che non è inficiata dalla “incubazione variabile”, considerato che già in questa fase l'agente sta dispiegando i suoi effetti negativi. La penetrazione di una singola, infinitesimale, particella di amianto si verifica in un tempuscolo ma assume il suo rilievo solo in caso di reiterazione del fenomeno, in tempo lungo, diluito, tale da configurare, appunto, malattia e non infortunio. Meglio, a nostro avviso, aveva detto la sentenza di II grado ove aveva evidenziato che la verifica della sussistenza della violenza “deve essere effettuata con riferimento al momento genetico del contagio, non già con riferimento al successivo momento funzionale dato dalla lesione e/o dall'evoluzione della patologia che ne consegue”.

Atti comuni della vita

Proprio nel rispetto di tale principio, è evidente che il momento genetico del contagio da Corona Virus, in sé e per sé ha le caratteristiche della violenza intesa come concentrazione cronologica; ma la questione, approfondita anche con approccio medico-legale, porta ad escludere l’indennizzabilità della infezione in discorso –a titolo di infortunio- nell’assicurazione privata.

Infatti, all’origine del concentrato momento genetico del contagio dovrebbe stare (ma così non è) un evento che non costituisca atto comune della vita.

L’atto comune passa per metamorfosi in infortunio indennizzabile solo se accidentalmente, dall’esterno ed in un tempuscolo concentrato, esso subisca l’azione di una energia fisica o chimica. Così passeggiare in una via cittadina è atto comune della vita che si trasforma in infortunio laddove si abbatta sul pedone l’energia cinetico-meccanica di un’auto investitrice; maneggiare una pentola sui fornelli di una cucina diviene infortunio per applicazione di energia termica (ustione) ad una mano;  così l’energia elettrica per chi sia impegnato in un’attività di bricolage,  eccetera.

Ma i momenti del contagio da virus avvengono puntualmente nell’ambito di atti comuni della vita, senza che nessuna energia ab estrinseco (indipendentemente dalla quantità-intensità) abbia investito la persona: solo vicinanza con altra persona infetta.

Possibili ricadute negative nel quotidiano

Il distinguo, che qui si pone anche sotto il profilo medico legale, risulta avere poi non poca importanza a prevenzione di possibili, esorbitanti richieste indennitarie a fronte di patologie le più svariate che mai, in passato, erano state classificate se non come malattie (lo stesso Giudice torinese dubita “che, prima del 2020 a qualcuno fosse mai venuto in mente di affermare che una forma influenzale potesse consentire di azionare una polizza privata con la polizza infortuni”).

Basti qui ricordare che possono penetrare nell’organismo, dall’esterno, accidentalmente, in termini cronologicamente concentrati (cioè con violenza) svariati tipi di virus, batteri, funghi e parassiti. Quelli influenzali epidemici; quelli esantematici, con possibile coinvolgimento encefalo-mielitico come nel morbillo; quelli delle epatiti; quelli responsabili di forme di meningo-encefalite; quelli causativi di pleuro-pericarditi e miocarditi; i virus HIV dell’AIDS; vari Corona Virus; agenti batterici quali pneumococchi, meningococchi, corine-batteri, mico- batteri, legionelle, coli, salmonelle, eccetera. Funghi responsabili di candidiasi, aspergillosi, mucormicosi, eccetera; e persino vermi e varie specie di protozoi responsabili di malaria, leishmaniosi, eccetera.

Quali ricadute poi potrebbe avere una giurisprudenza a favore dell’indennizzabilità in discorso, che si imponesse come prevalente? L’assicuratore potrebbe rigettare richieste di indennizzo in ambito polizze limitate al solo caso-malattia, adducendo che si tratta di infortunio … Di che meravigliarsi? Già nel quotidiano rifiuta il cumulo indennizzo + risarcimento (nello stesso sinistro) forte di decisioni della S.C. allineate sulla compensatio lucri cum damno.

Conclusioni

Da sempre, in tema di assicurazione privata contro gli infortuni, la dottrina medicina legale ha ben motivatamente stabilito che la violenza (requisito definitorio che deve possedere la causa unitamente ad accidentalità ed esteriorità) deve essere intesa come “concentrazione cronologica”: e non vi è spazio per una interpretazione diversa.

Per la qualifica di infortunio ai sensi di polizza, peraltro, non è sufficiente la sussistenza dei tre requisiti di cui sopra ed è necessario che prima ancora si verifichi la natura dell’evento che ne è all’origine, il quale non deve essere atto comune della vita.

All’origine del contagio da Corona Virus sono da riconoscere atti comuni della vita.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario