L'orientamento della giurisprudenza
Con la sentenza in commento, la Corte regolatrice, richiamando l'indirizzo ermeneutico dei giudici di Strasburgo, individua il principio di diritto attraverso il quale l'interprete è chiamato a verificare il rispetto del canone del ne bis in idem quando all'autore del medesimo fatto siano stati contestati un illecito penale e, contestualmente, un illecito amministrativo.
In tale evenienza, vi è il rischio di giungere ad una violazione del suddetto principio, soprattutto se si considera che anche le sanzioni amministrative assumono una natura sostanzialmente penale, attesa la loro intrinseca afflittività, come è stato riconosciuto già dalla nota sentenza della Corte EDU, Grande Camera, dell'8 giugno 1976, nella causa Engel e altri c. Paesi Bassi. Con tale sentenza la Corte ha individuato tre criteri attraverso i quali poter determinare quali misure hanno natura sostanzialmente penale, ovvero:
1. la qualificazione giuridica interna, secondo la quale occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l'illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o di entrambi;
2. la natura dell'illecito e la funzione del conseguente provvedimento previsto, che deve essere applicabile in modo generale e avere scopo preventivo e repressivo;
3. la gravità della sanzione, che non deve necessariamente essere privativa della libertà personale.
In particolare, con la nota sentenza Grande Stevens c. Italia è stata riconosciuta natura sostanzialmente penale alle sanzioni amministrative tributarie [Corte EDU, Seconda Sezione, Grande Stevens c. Italia, 4 marzo 2014, n. 18640, 18647, 18663, 18668 e 18698/2010. La Corte Edu ha manifestato un atteggiamento di ostilità nei confronti dei doppi binari sanzionatori: una volta accertata la convergenza dei due procedimenti sullo stesso fatto, inteso in senso storico naturalistico (secondo il criterio dell'idem factum), la qualificazione come sostanzialmente penale della sanzione amministrativa bastava a sancire il contrasto con il principio del ne bis in idem].
Tuttavia, occorre tenere conto di quanto statuito dalla sentenza A & B c. Norvegia, con cui i giudici di Strasburgo hanno sancito che non vi è violazione del principio del ne bis in idem se i due procedimenti, ovvero quello penale e quello tributario, sono connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico (criterio della “sufficiently close connection in substance and time”) [Corte EDU, Grande Camera, A. e B. c. Norvegia, 15 novembre 2016].
Secondo la Corte EDU, al fine di valutare la sussistenza di una “sufficient connection”, il doppio binario deve essere sottoposto ad una sorta di “stress test” per verificare:
a) che il cumulo sia prevedibile;
b) che i due procedimenti abbiano scopi differenti;
c) che vengano condotti in modo da evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in modo che l'accertamento dei fatti effettuato in un procedimento sia utilizzato anche nell'altro;
d) che siano avvinti anche da una connessione cronologica tale da non sottoporre il soggetto a processo per un lasso di tempo indeterminato;
e) che la sanzione irrogata all'esito del procedimento concluso per primo sia presa in considerazione anche nell'altro procedimento, in guisa da poter assicurare la proporzionalità della pena complessivamente irrogata. [F. Piergallini, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, in Sistema Penale, giugno 2020].
In particolare, la Corte ha affermato che lo svolgimento parallelo di due procedimenti non è precluso, purché essi appaiano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico in maniera sufficientemente stretta, ed esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e, comunque, prevedibili, verificando gli scopi delle diverse sanzioni e dei profili della condotta considerati, la prevedibilità della duplicità delle sanzioni e dei procedimenti, i correttivi adottati per evitare, per quanto possibile, duplicazioni nella raccolta e nella valutazione della prova e, soprattutto, la proporzionalità complessiva della pena.
Su questa posizione si è poi allineata, pur con alcune divergenze, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale, con riferimento specifico al nostro ordinamento, pur avendo riconosciuto la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa tributaria, ha escluso l'incompatibilità del sistema tributario italiano con il divieto del ne bis in idem.
In particolare, la Corte, con la sentenza 20 marzo 2018, Menci, C-524/15, ha affermato che la disciplina italiana in materia di omesso versamento IVA, riservando la perseguibilità in sede penale alle sole violazioni superiori a determinate soglie di imposta evasa ed attribuendo tra l'altro rilevanza al volontario pagamento del debito tributario e delle sanzioni amministrative, appare conformata in modo tale da garantire, sia pure “con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio”, che “il cumulo di procedimenti e di sanzioni che essa autorizza non eccede quanto è strettamente necessario ai fini della realizzazione dell'obiettivo” di assicurare l'integrale riscossione dell'IVA. In tal modo, la Corte di Giustizia, da un lato afferma che il complessivo regime sanzionatorio e procedimentale previsto dal legislatore italiano in materia di omesso versamento IVA non si pone in contrasto, in linea generale, con il ne bis in idem riconosciuto dalla Carta (pur facendo salva la diversa conclusione cui il giudice del rinvio dovesse pervenire in applicazione dei criteri enunciati in via generale dalla Corte); e, dall'altro, affida allo stesso giudice nazionale il compito di verificare che, nel caso concreto, “l'onere risultante concretamente per l'interessato dall'applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso”.
Anche la Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale, nel dichiarare l'inammissibilità della questione, ha posto l'accento sulla presenza di disposizioni normative che, nel nostro ordinamento, andrebbero a garantire la “sufficient connection” e, dunque, a legittimare il doppio binario [C. Cost., sentenza 15 luglio 2019, n. 222, successivamente ribadita dalle ordinanze n. 114 del 2020 e n. 136 del 2021].
In particolare, ad avviso della Consulta, la prevedibilità della duplicazione dei procedimenti e delle sanzioni è in re ipsa, dal momento che la legislazione italiana stabilisce chiaramente la sanzionabilità della violazione, in via amministrativa, ai sensi dell'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 e, in via penale, ai sensi dell'art. 10 bis del d.lgs. n. 74/2000, limitatamente agli omessi versamenti di importo superiore alla soglia di punibilità ivi prevista [Al riguardo merita citare quanto affermato da Cass. Pen., Sez. III, 20 gennaio 2022, n. 2245, secondo cui tra la violazione tributaria di dichiarazione infedele di cui agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, d.lgs. 471/1997, ed il corrispondente reato di cui all'art. 4 d.lgs. 74/2000, non sussiste un rapporto di specialità e non vi è violazione del divieto del ne bis in idem nei casi di litispendenza, quando cioè “una medesima persona sia perseguita o sottoposta contemporaneamente a più procedimenti per il medesimo fatto storico e per l'applicazione di sanzioni formalmente o sostanzialmente penali, oppure quando tra i procedimenti vi sia una stretta connessione sostanziale e procedurale”. Tuttavia, in tali casi, il giudice penale, in ossequio al principio di proporzionalità, nel calcolo della pena dovrà considerare la sanzione amministrativa definitivamente irrogata. In particolare, la Corte ha statuito che “in caso di sanzione (formalmente amministrativa ma) sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione EDU, irrevocabilmente applicata all'imputato successivamente condannato in sede penale per il medesimo fatto storico, il giudice deve commisurare la pena tenendo conto di quella già irrogata, utilizzando, a tal fine, il criterio di ragguaglio previsto dall'art. 135 c.p., applicando, se del caso, le circostanze attenuanti generiche e valutando le condizioni economiche del reo”].