Riforma fiscale: importanti novità per lo Statuto dei contribuenti

Saverio Capolupo
30 Ottobre 2023

Dando attuazione alla legge delega la bozza di decreto legislativo introduce importanti innovazioni sulla disciplina dello statuto dei diritti del contribuente. Come principi Generali non si richiamano più i singoli principi della Costituzione bensì i principi costituzionali, dell’Unione Europea, della CEDU. Si è tenuto conto della giurisprudenza sovranazionale con l’intento di migliorare la certezza del diritto e di prevenire inutili controversie interpretative, contribuendo alla riduzione dei tempi di attuazione del diritto alla giustizia tributaria. Oltre all’obbligatorietà del contraddittorio, a pena di nullità, rilevanti modifiche sono state introdotte in tela di motivazione,  autotutela e interpello.

Il rafforzamento dei principi generali

Dalla bozza di decreto delegato riguardante lo statuto dei contribuenti è possibile rilevare importanti novità che tengono ovviamente conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, della Corte Europea dei diritti dell'uomo e della Corte di cassazione.

È noto che uno dei principali nodi da sciogliere riguarda la forza giuridica dei principi enunciati dallo statuto all'art. 1, peraltro puntualmente violati dal legislatore senza alcuna conseguenza trattandosi di canoni contenuti in una legge ordinaria ancorché richiamassero   alcuni principi fondamentali della Costituzione.

Per superare tale aspetto tra i principi e criteri direttivi generali è stato previsto quello di garantire l'adeguamento del diritto tributario nazionale ai principi dell'ordinamento tributario e agli standard di protezione dei diritti stabiliti dalla richiamata giurisprudenza dalla quale è possibile desumere una maggiore rilevanza del principio della certezza del diritto e dell'affidamento diritto.

In sostanza, non si richiamano più i singoli principi della Costituzione bensì “i principi costituzionali, dell'Unione Europea, della CEDU.

In secondo luogo, sono state apportate numerose e significative modifiche.

Sempre sul piano generale le innovazioni superano definitivamente i contrasti emersi dal confronto della giurisprudenza domestica con quelli delle Corti sovranazionali  al fine di garantire la piena attuazione del principio di certezza del diritto e del legittimo affidamento per cui emerge una effettiva considerazione anche per la dimensione internazionale dei diritti fondamentali del contribuente, consentendo a livello interpretativo di dare immediata rilevanza di quanto statuito dagli organi giurisdizionali internazionali, compresa la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Le modifiche apportate, pertanto, riconoscono la superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dallo Statuto e, quindi, la loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l'interprete; in altri termini, come avverte la relazione di accompagnamento “il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212/2000, deve essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai principi statutari”.

La nuova formulazione dell'art. 1, pertanto evidenzia l'intento di far convergere l'ordinamento tributario verso una dimensione coerente con i principi che lo caratterizzano come sistema da cui consegue l'intento di migliorare la certezza del diritto e di prevenire inutili controversie interpretative, contribuendo alla riduzione dei tempi di attuazione del diritto alla giustizia tributaria.

Fermo restando che il l conseguimento degli obiettivi prefissi può essere verificato solo ex post, è indubbio che l'estensione della protezione dei diritti contemplati dallo Statuto a tutti i soggetti del rapporto tributario costituisce un importante elemento di rafforzamento delle garanzie dell'attuazione del prelievo tributario in base a quanto stabilito dalla legge e nel rispetto della regola dello Stato di diritto. Per effetto di questa norma, ogni riferimento nello Statuto alla tutela del contribuente deve intendersi come comprensivo di tutti gli altri soggetti passivi e destinatari di obblighi formali collegati all'attuazione del tributo.

Un rilevante significato, poi, assume la funzione dello Statuto quale legge generale tributaria e quale nucleo minimo dei diritti civili del contribuente, per cui le disposizioni statutarie concernenti la garanzia del contradditorio e dell'accesso alla documentazione amministrativa tributaria, la tutela dell'affidamento, il divieto del bis in idem e l'autotutela attengono ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

In tal modo è stato posto anche un vincolo insuperabile alle Regioni e agli enti locali i quali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire nelle predette materie garanzie inferiori a quelle assicurate dalle disposizioni statutarie e le regioni a statuto speciale.

Inoltre, è stato imposto alle province autonome di Trento e di Bolzano di adeguare la propria legislazione alle disposizioni dello Statuto del contribuente, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

La motivazione dei provvedimenti

L'esperienza maturata in questi anni dinanzi alle Corti di giustizia tributaria evidenzia che in quasi tutte le controversie viene eccepito il difetto di motivazione. Ora, a prescindere se l'eccezione sia fondata o meno è certo che, ai fini dell'esercizio dei diritti difensivi la motivazione dei provvedimenti impositivi è fondamentale in quanto soltanto se l'Amministrazione finanziaria enuncia chiaramente in presupposti, in fatto e in diritto, posti a base della pretesa impositiva il contribuente può esercitare compiutamente i propri diritti difensivi.

D'altra parte, mentre la giurisprudenza domestica, soprattutto di merito, tende a superare quasi sempre detto motivo di censura in quanto il ricorrente impugna l'atto impositivo sollevando numerose eccezioni, va considerato che, a livello di giurisprudenza internazionale, l'orientamento è parzialmente differente. Quest'ultima considerazione giustifica la riformulazione dell'art. 7 dello Statuto al fine di armonizzare il testo normativo con gli approdi più recenti della giurisprudenza interna, euro unitaria e internazionale e l'esigenza di eliminare alcune aporie indotte dal testo precedente. 

D'altra parte, non può disconoscersi che le norme interne non sono tra di loro sempre armonizzate, circostanza che ha impedito il coordinamento con alcune novità normative, per ottenere un risultato sistematicamente coerente.

Si è cercato, in altri termini, di formulare dei principi che tengano conto della necessità di bilanciare l'esigenza di efficienza dell'attività amministrativa, da una parte, e non assoggettare a oneri sproporzionati i contribuenti, dall'altro.

L'obiettivo molto ambizioso posto che la riforma è finalizzata anche a contrastare l'evasione fiscale ma nel rispetto del requisito di democraticità, trasparenza, accountability della Pubblica Amministrazione.

Trattasi, ovviamente, di principi che, auspicabilmente, non vengano demoliti dalla giurisprudenza domestica con interpretazioni contrastanti se non addirittura stravaganti.

È indubbio che una motivazione chiara, che perimetri oggettivamente la fondatezza della pretesa erariale dovrebbe indurre ad una valutazione più appropriata  che, da un lato, non pregiudichi il ponderato riconoscimento del diritto di azione e difesa in giudizio; dall'altro, una volta  stimato che le possibilità di ottenere l'annullamento dell'atto impositivo in sede giudiziaria sono minime se non addirittura nulle, è fondato prevedere che detta chiarezza costituisca valido motivo per incentivare la definizione precontenziosa delle controversie.

Ed in tale contesto che deve essere valutata l'integrazione della norma con l'espresso riferimento ai mezzi di prova armonizzando la disciplina dettata per tutte le imposte a quella prevista in materia di IVA.

La riformulazione della norma pone fine (o almeno dovrebbe porre fine) ad un ulteriore motivo di contrasto in sede giurisprudenziale con riferimento alla motivazione per relationem.

Invero, è stato disposto che non sussiste la necessità di allegare l'atto richiamato in quanto inutile aggravio che incide negativamente sull'efficienza della azione amministrativa. Di contro, però, l'organo o l'ente che emana il provvedimento dovrà specificare che aderendo alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità ritiene accertati i fatti riportati nell'atto richiamato o ne condivide le valutazioni.

Le modifiche in tema di motivazioni introducono anche un ulteriore elemento a rafforzamento del principio della certezza del diritto. Invero, è stato chiarito che i fatti e i mezzi di prova a fondamento del provvedimento non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l'adozione di un ulteriore provvedimento, ove ne rincorrano i presupposti e non siano maturate decadenze.

La riforma, poi, dovrebbe porre fine anche ad un'ulteriore problematica molto frequente attinente al rapporto tra atti impositivi ed atti della riscossione sotto il profilo della motivazione.

È stato infatti recepito l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità per cui affermando che, quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l'ente impositore esercita la pretesa tributaria, il provvedimento censurato deve contenere gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell'imposizione.

In merito al contenuto delle cartelle esattoriali, sempre al fine di assicurare una lettura più chiara e precisa della richiesta del fisco, è stato imposto all'Amministrazione finanziaria di specificare il tasso di interesse applicato assicurando in tal modo una motivazione “piena”.

In altri termini, nell'ottica di una migliore collaborazione con il contribuente – anche alla luce dell'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente – nelle cartelle dovranno essere esplicitati anche i tassi via via applicabili per la quantificazione degli interessi richiesti.

In principi innanzi richiamati (e le relative garanzie) si estendono ai coobbligati solidali - sia paritetici, sia dipendenti - i quali ancorché non abbiano realizzato il presupposto del tributo vengono coinvolti, a vario titolo, nella responsabilità per fatto dell'obbligato principale.

Va da sé che tale estensione implica, nel contempo, anche la previsione di autonoma notifica della cartella esattoriale nei termini previsti.

L'obbligatorietà dell'autotutela

La formulazione del vigente quadro giuridico di riferimento non aveva dettato una disciplina in materia di autotutela ben definita tanto che, alla luce anche delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza, il suo esercizio in capo all'Amministrazione finanziaria dell'autotutela in campo tributario- sotto forma di annullamento d'ufficio, rinuncia alla imposizione o rimborso di somme non dovute- è stato ritenuto essenzialmente di natura discrezionale, sebbene non siano mancati orientamenti in senso opposto.

Si è creata, in sostanza, una situazione di incertezza che ha inciso negativamente sulle parti del rapporto tributario fonte spesso di inutile contenzioso. Di qui la necessità di disciplinare anche tale aspetto conseguente, probabilmente, anche al consolidato orientamento formatosi con riferimento all'analogo istituto esistente in campo amministrativo.

Gli estensori del provvedimento hanno finalmente preso atto che era necessario prendere in debita considerazione la peculiarità del rapporto tributario che afferisce a diritti soggettivi - e non a interessi legittimi - e che trova il suo fondamento nell'articolo 53 della Costituzione, sia in senso positivo (obbligo di pagare le imposte previste dalla legge), sia in senso negativo (divieto di pagare imposte non dovute in base alla legge).

La legge delega, al riguardo, ha previsto un preciso principio direttivo disponendo il potenziamento dell'esercizio del potere di autotutela estendendone l'applicazione agli errori manifesti con riguardo “alle valutazioni di diritto e di fatto operate”.

La bozza di decreto legislativo prevede ora una doppia disciplina distinguendo l'autotutela obbligatoria da quella facoltativa, fermo restando che per entrami i casi, la finalità sia quella di ripristinare un rapporto di correttezza tra il fisco ed i contribuenti e beneficiare degli effetti deflattivi che produrrebbe sul contenzioso.

L'Amministrazione deve procedere all'annullamento in tutto o in parte degli atti di imposizione ovvero alla rinuncia all'imposizione senza necessità che l'interessato inoltri apposita istanza, anche in pendenza di giudizio in caso di atti viziati da errore di persone, errore di calcolo, errore sulla individuazione del tributo, errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Ufficio. Trattasi, come è agevole dedurre, di errori manifesti.

Di contro, sono esclusi dall'obbligatorietà dell'autotutela tutti i casi in cui la questione appaia dubbia, anche per l'esistenza di contrasti giurisprudenziali.

Sempre nell'ottica di garantire certezza del diritto, è stato introdotto il divieto di esercitare l'autotutela per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria.

In sostanza non è ostativo all'autotutela né un giudicato meramente processuale, né un giudicato sostanziale basato su motivi diversi da quelli che giustificano l'autotutela.

Molto opportunamente, sono stati chiariti anche i termini della responsabilità contabile dei funzionari che finora ha costituito un comprensibile atteggiamento restrittivo in materia di autotutela avendo espressamente previsto che  la responsabilità è limitata esclusivamente alle ipotesi di comportamenti dolosi.

Per quanto concerne l'ipotesi dell'autotutela facoltativa, è stata introdotta una norma ad hoc secondo cui, fermo restando l'ipotesi dell'autotutela obbligatoria, l'amministrazione può sempre esercitare tale potere, comprensivo sia della revoca sia della sospensione, d'ufficio e in pendenza di giudizio o in presenza di atti definitivi, quando ricorrono casi di illegittimità o infondatezza dell'atto o dell'imposizione.

Anche in tal caso la responsabilità amministrativa dei soggetti tenuti ad esercitare l'autotutela è limitata al solo caso di dolo.

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