Riparazione antieconomica del veicolo danneggiato in un sinistro stradale
10 Novembre 2023
Per poter rispondere al quesito è necessario ripercorrere, sul tema, quanto previsto dalla normativa civilistica nonché quanto delineato dalla Giurisprudenza della S.C. negli ultimi anni. Il nostro ordinamento, all’art. 2043 c.c., dispone che “qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. L’intero sistema della responsabilità civile è infatti finalizzato alla riparazione delle conseguenze dannose che l’illecito, commesso da un terzo responsabile, produce nella sfera giuridica del danneggiato. Tale obiettivo viene perseguito attraverso il risarcimento del danno, strumento attraverso cui si realizza la funzione riparatoria del sistema della responsabilità civile. Tale funzione mira a porre il soggetto danneggiato nelle medesime condizioni in cui si sarebbe trovato qualora non si fosse verificata la lesione del suo interesse giuridico tutelato dall’ordinamento, e ciò deve avvenire attraverso la riparazione integrale del danno. Il risarcimento altro non è, dunque, che il rimedio previsto dall’ordinamento al fine reintegrare il patrimonio del danneggiato e ricondurlo allo status in cui si sarebbe trovato se non avesse subìto il danno ingiustamente cagionato dal terzo responsabile. Il risarcimento, per raggiungere questa finalità di ripristino della situazione precedente alla lesione, deve essere integrale, effettivo e proporzionale al pregiudizio subìto. Le metodiche di liquidazione del risarcimento conosciute dal nostro ordinamento sono due: in forma specifica o per equivalente. A tal riguardo, l’art. 2058 c.c. prevede espressamente: - al primo comma, che “Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica qualora sia in tutto o in parte possibile”; - al secondo comma, che “Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa”. Da quanto disposto dall’art. 2058 c.c. consegue che il danneggiato, qualora sia possibile (pur solo in parte), può chiedere la reintegrazione in forma specifica, anche se il giudice può sempre disporre il risarcimento per equivalente qualora quello in forma specifica risulti essere eccessivamente oneroso per il danneggiante. Nella prassi giudiziale e stragiudiziale, la liquidazione del risarcimento “per equivalente” - cioè mediante l’attribuzione di un surrogato economico di quell’interesse leso (che, nella maggior parte dei casi, non può essere integralmente ripristinato “in forma specifica”) - rappresenta la più diffusa ed applicata modalità di riparazione del danno. Ciò accade, chiaramente, in virtù della generale attitudine che il danaro ha a rappresentare e “sostituire” qualsiasi valore economico, rispecchiandone l’equivalente. I due tipi di liquidazione del danno, però, al contrario di quanto avviene nella prassi, si pongono normativamente in un rapporto di regola ed eccezione, laddove il risarcimento in forma specifica rappresenta la regola e quello per equivalente l’eccezione. Sul punto la Suprema Corte ha precisato che “la disposizione dell’art. 2058 c.c. prevede che il danneggiato possa chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile (comma 1), consentendo tuttavia al giudice di disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore; ciò significa che, in relazione al danno subito da un veicolo, nel primo caso la somma dovuta è calcolata sui costi necessari per la riparazione, mentre nel secondo è riferita alla differenza fra il valore del bene integro (ossia nel suo stato ante sinistro) e quello del bene danneggiato (cfr. Cass. n. 5993/1997 e Cass. n. 27546/2017), ovvero nella "differenza fra il valore commerciale del veicolo prima dell'incidente e la somma ricavabile dalla vendita di esso, nelle condizioni in cui si è venuto a trovare dopo l'incidente, con l'aggiunta ulteriore della somma occorrente per le spese di immatricolazione e accessori del veicolo sostitutivo di quello danneggiato” (Cass. 20 aprile 2023, n. 10686). Ne consegue che, seppur la liquidazione in forma specifica - come detto - rappresenti la regola, il giudice possa derogarvi qualora questa risulti essere eccessivamente onerosa e possa, pertanto, disporre che il risarcimento avvenga in forma di equivalenza. Ma qual è il parametro di riferimento che il giudice deve prendere in considerazione per stabilire se la liquidazione in forma specifica risulti essere eccessivamente onerosa? Sulla questione è più volte intervenuta la Suprema Corte la quale, nel corso degli anni, ha parametrato il limite dell’eccessiva onerosità - che rappresenta il confine fra diritto alla reintegrazione in forma specifica e la possibilità per il Giudice di disporre che il risarcimento avvenga per equivalente pecuniario del valore perduto - al costo delle riparazioni del veicolo. La S.C., infatti, ha ritenuto che la liquidazione in forma specifica debba ritenersi eccessivamente onerosa per il danneggiante tutte le volte in cui il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato dello stesso veicolo. Invero, secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, laddove la somma occorrente per il ripristino in forma specifica del danno superi notevolmente il valore di mercato del veicolo, questa non solo risulta essere eccessivamente onerosa per il danneggiante, ma potrebbe costituire anche un’illegittima locupletazione per il danneggiato. La Suprema Corte, in particolare, ha precisato che “Ai sensi dell’art. 2058 c.c., si ha eccessiva onerosità quando il sacrificio economico necessario per il risarcimento in forma specifica, in qualsiasi dei modi prospettabili (incluse, quindi, le riparazioni effettuate direttamente dal danneggiante o la corresponsione delle somme al danneggiato per effettuare dette riparazioni), superi in misura appunto eccessiva, date le circostanze del caso, il valore da corrispondere in base al risarcimento per equivalente. Ne consegue che, in caso di domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale, costituita dalla somma di denaro necessaria per effettuare la riparazione dei danni, in effetti si è proposta una domanda di risarcimento in forma specifica. Se detta somma supera notevolmente il valore di mercato dell’auto, da una parte essa risulta eccessivamente onerosa per il debitore danneggiante e dall’altra finisce per costituire una locupletazione per il danneggiato. Ne consegue che in caso di notevole differenza tra il valore commerciale del veicolo incidentato ed il costo richiesto delle riparazioni necessarie, il giudice potrà, in luogo di quest’ultimo, condannare il danneggiante (ed in caso di azione diretta, l’assicuratore), al risarcimento del danno per equivalente” (Cass. n. 24718/2013; cfr. Cass. 20 aprile 2023, n. 10686). La Suprema Corte, inoltre, nel delicato bilanciamento fra l'esigenza di reintegrare il danneggiato nella situazione antecedente al sinistro e quella di non gravare il danneggiante di un costo eccessivo, ha di recente ritenuto che l'eventuale locupletazione per il danneggiato costituisca un elemento idoneo a orientare il giudice nella scelta della modalità liquidatoria e, al tempo stesso, un dato sintomatico della correttezza dell'applicazione dell'art. 2058, comma 2, c.c. (cfr. Cass. n. 10686/2023). Così si esprime testualmente, sul punto, la pronuncia Cass. 20 aprile 2023, n. 10686: “invero, va considerato che il danneggiato può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (ad es., perché gli risulta più agevole la guida di un mezzo cui è abituato o perché vi sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perché vuole sottrarsi ai tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non affidabile) e che una piena soddisfazione delle sue ragioni risarcitorie può comportare un costo anche notevolmente superiore a quello della sostituzione; per altro verso, al debitore non può essere imposta sempre e comunque (a qualunque costo) la reintegrazione in forma specifica, dato che l'obbligo risarcitorio deve essere comunque parametrato a elementi oggettivi e che, pur tenendo conto dell'interesse del danneggiato al ripristino del bene e della possibilità che i costi di tale ripristino si discostino anche in misura sensibile dal valore di scambio del bene, non può consentirsi che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per elidere il pregiudizio subito (ostandovi il principio -sotteso all'intero sistema della responsabilità civile- secondo cui il risarcimento deve essere integrale, ma non può eccedere la misura del danno e comportare un arricchimento per il danneggiato); come si è visto, la giurisprudenza di legittimità ha individuato il punto di equilibrio delle contrapposte esigenze facendo riferimento alla necessità che il costo delle riparazioni non superi "notevolmente" il valore di mercato del veicolo danneggiato; si tratta di un criterio che si presta a tutelare adeguatamente la posizione dell'obbligato rispetto ad eccessi liquidatori, ma non anche a tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo; esigenze che -come detto- debbono trovare tutela nella misura in cui risultino idonee a realizzare la migliore soddisfazione del danneggiato e, al tempo stesso, non ne comportino una indebita locupletazione; in tale ottica, deve dunque ritenersi che, ai fini dell'applicazione dell'art. 2058, comma 2, c.c., la verifica di eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull'entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato” (Cass. n. 10686/2023). Il giudice, pertanto, al fine di poter procedere alla liquidazione del danno in forma specifica, dovrà valutare, caso per caso, i due parametri indicati dalla S.C., ovvero: - che il costo delle riparazioni non superi notevolmente il valore di mercato del veicolo danneggiato; - che tale tipo di risarcimento non realizzi un ingiustificato arricchimento per il danneggiato. Il giudice, quindi, prima di poter procedere alla liquidazione del danno in forma specifica, dovrà contemperare gli interessi delle parti in causa - ovvero quello del danneggiato a vedersi reintegrato nella situazione antecedente al sinistro e quello del danneggiante a non vedersi gravato di un eccessivo costo - ed accertare che tale forma di risarcimento non comporti una locupletazione per il danneggiato; ciò in quanto il nostro Ordinamento prevede che in nessun caso può essere riconosciuto alla parte danneggiata più di quanto necessario per reintegrarlo del pregiudizio subìto. Ne consegue che, laddove il danneggiato abbia delle serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (vuoi per l’ottimo stato di conservazione e di manutenzione del proprio veicolo, vuoi perché abituato a guidare quel tipo di veicolo, vuoi per le dotazioni extra di quel veicolo, vuoi perché non vuole perdere tempo nella ricerca di un veicolo similare usato e che potrebbe rivelarsi poco affidabile, etc.) - magari anche ad un costo notevolmente superiore al valore di mercato del veicolo - il giudice non potrà procedere alla riparazione in forma specifica in quanto al danneggiante non può essere imposto, sempre ed a prescindere da qualsiasi costo, tale tipo di riparazione (che deve essere sempre parametrata ad elementi oggettivi). È innegabile che tale criterio offra una maggiore tutela al danneggiante a scapito delle specifiche esigenze che potrebbe avere il danneggiato a far riparare il proprio veicolo. La Suprema Corte, con la recente sentenza del 20 aprile 2023, n. 10686, al fine di contemperare le esigenze del danneggiato e quelle del danneggiante, ha precisato, però, che al fine di poter accertare l’eccessiva onerosità della riparazione in forma specifica occorra rapportare il costo della riparazione non solo al valore commerciale del veicolo ma anche a tutte quelle voci accessorie che il giudice dovrebbe liquidare in caso di risarcimento del danno per equivalente. Tali ulteriori voci accessorie, sommate al valore di mercato del veicolo, riducono notevolmente l’eventuale sproporzione tra i due valori economici da raffrontare in quanto, aumentando il limite dell’eccessiva onerosità (al di là del quale il giudice deve necessariamente procedere al risarcimento per equivalente) rendono, di conseguenza, maggiormente praticabile la liquidazione del danno in forma specifica. Invero, secondo la Suprema Corte, “laddove il danneggiato decida di procedere alla riparazione anziché alla sostituzione del mezzo danneggiato, non risulta giustificato (perché si tradurrebbe in una indebita locupletazione per il responsabile) il mancato riconoscimento di tutte le voci di danno che competerebbero in caso di rottamazione e sostituzione del veicolo; invero, a fronte di un danno accertato, l’opzione del giudice in favore del criterio liquidativo per equivalente deve necessariamente comportare il riconoscimento di tutte le voci di danno che sarebbero spettate al danneggiato se non avesse scelto di riparare il mezzo e, quindi, anche di costi che non siano stati effettivamente sostenuti, ma che sono necessariamente da considerare nell’ambito di una liquidazione per equivalente che, per essere tale, deve comprendere tutti gli importi occorrenti per elidere il danno mediante la sostituzione del veicolo danneggiato; non si tratta, a ben vedere, di liquidare danni non verificatisi, ma di utilizzare in modo coerente, in relazione al danno cristallizzatosi al momento del sinistro, la tecnica liquidatoria prescelta; tecnica che risulta comunque tale da comportare, per l’obbligato, un esborso inferiore a quello cui sarebbe stato tenuto in caso di risarcimento in forma specifica; in tal modo pervenendosi a tutelare il danneggiante rispetto ad esborsi eccessivi conseguenti a scelte del danneggiato, senza tuttavia riconoscergli una locupletazione per il fatto che il danneggiato abbia preferito riparare il mezzo (e senza "punire" quest'ultimo per il fatto di avere compiuto tale legittima scelta, come avverrebbe se gli si riconoscesse meno di quanto avrebbe ricevuto se avesse rottamato l’auto)” (sempre Cass. 20 aprile 2023, n. 10686). Alla luce di quanto sopra esposto consegue che il proprietario del veicolo danneggiato avrà diritto al risarcimento in forma specifica laddove: - non ci sia una notevole sproporzione tra il costo della riparazione e il valore di mercato del veicolo a cui aggiungere tutte le spese accessorie spettanti al danneggiato in caso di rottamazione del veicolo (spese di rottamazione, spese per nuova immatricolazione, bollo non goduto, assicurazione non goduta, spese per la ricerca di un veicolo similare usato, fermo per recupero di analogo veicolo, etc.); - tale tipo di risarcimento non comporti un’ingiustificata locupletazione in favore del danneggiato. |