La terza sezione civile della Cassazione (ordinanza interlocutoria n. 32287/23 del 21 novembre) ha ritenuto di rimettere gli atti al Primo Presidente, ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c., affinché valuti l'opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite. La questione è quella inerente agli effetti della mancata notifica a mezzo PEC a causa della “casella piena” del destinatario.
Il fatto. Notifica della sentenza e «casella piena»: opera il termine breve per l'impugnazione?
Un ricorso per cassazione veniva proposto nel rispetto del cosiddetto “termine lungo” per l'impugnazione. Tuttavia, la parte controricorrente ne eccepiva la tardività sul presupposto dello spirare del “termine breve” per l'impugnazione. Infatti, la controricorrente asseriva di aver notificato la sentenza (proprio per far decorrere il “termine breve”); notificazione avvenuta a mezzo PEC, sebbene il messaggio non fosse stato consegnato per “casella piena” del destinatario. Nello specifico il messaggio era “… è stato rilevato un errore 5.2.2 - InfoCert S.p.A. - casella piena. Il messaggio è stato rifiutato dal sistema”.
Essendo la mancata consegna del messaggio imputabile a negligenza del destinatario, titolare della casella PEC, la notifica della sentenza doveva intendersi perfezionata, con decorrenza del termine breve per l'impugnazione e conseguente tardività del ricorso.
Nella giurisprudenza della Corte di legittimità si registrano orientamenti non univoci
In tema di notifica a mezzo PEC , restituita dal sistema con messaggio di mancata consegna per “casella piena”, secondo gli Ermellini nella giurisprudenza di legittimità si registrano orientamenti non proprio univoci.
Un primo orientamento: la casella piena equivale a consegna
Secondo un primo orientamento, la notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario " piena ", da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi.
Un secondo orientamento: conta anche il domicilio fisico (ma solo se indicato)
Invece, secondo un diverso orientamento interpretativo, in caso di notificazione a mezzo PEC del ricorso per cassazione non andata a buon fine, ancorché per causa imputabile al destinatario (per " casella piena "), ove concorra una specifica elezione di domicilio fisico - eventualmente in associazione al domicilio digitale - il notificante ha il più composito onere di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario fisico eletto in un tempo adeguatamente contenuto, non potendosi, invece, ritenere la notifica perfezionata in ogni caso con il primo invio telematico.
La valorizzazione dell'onere di ripresa del procedimento notificatorio
Quest'ultimo orientamento valorizza il generale principio dell'onere di ripresa del procedimento notificatorio, occorrendo dunque che – in un tempo ragionevolmente contenuto (di regola, la metà del termine concretamente applicabile) – il notificante proceda ad ulteriore notifica, nelle forme tradizionali, presso il domicilio fisico eventualmente eletto (e sempre che tanto sia avvenuto): ciò perché deve escludersi che il regime normativo concernente l'identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati.
Orientamento che presuppone, comunque, l'avvenuta elezione di domicilio fisico. In assenza di elezione di domicilio, è stata in alcuni casi valorizzata la necessità di procedere alla notifica presso la Cancelleria.
Secondo la Suprema Corte nessuno di questi orientamenti è del tutto convincente
Tali orientamenti non sono del tutto convincenti. A tale proposito, osservano gli Ermellini: se da un lato, le esigenze sottese all'indirizzo più rigoroso meritino apprezzamento - perché il rischio di escludere ogni valenza alla notifica PEC non consegnata al destinatario per “casella piena” può effettivamente disincentivare gli operatori dalla necessaria cura del proprio indirizzo PEC e degli specifici adempimenti connessi alla peculiarità del mezzo telematico ormai in via generalizzata imposto come modalità di interazione tra i soggetti tenuti a dotarsene, al contrario promuovendo comportamenti strumentali e improntati, in senso lato, almeno a grave negligenza e con sostanziale neutralizzazione o vanificazione dell'operatività dell'innovazione tecnologica introdotta -; dall'altro lato, occorre pure evidenziare che l'opposta opzione ermeneutica si fonda su una specifica caratteristica della fattispecie: ossia, quella della necessaria compresenza di un domicilio digitale della parte (sostanzialmente immanente, ex art. 16-sexies d.l. n. 179/2012) e di un domicilio elettivo fisico, o tradizionale.
Tuttavia, se in tale evenienza la configurabilità dell'onere di ripresa del procedimento notificatorio può comunque giustificarsi, in forza della perdurante rilevanza da attribuire ad una simile facoltà processuale del difensore della parte destinataria della notifica (non elisa dalla disciplina sulla indefettibilità del domicilio digitale), tale opzione rivela però una non risolvibile aporia, sul piano logico, ove elezione di domicilio fisico non vi sia stata: in tal caso, infatti, si è affermato che nessuna altra condotta sia esigibile da parte del notificante.
Tutte queste considerazioni, secondo gli Ermellini, non risolvono però il problema di fondo, ossia se e quando la notifica telematica del messaggio PEC, non consegnato per “casella piena”, si perfezioni.
Le numerose discipline di dettaglio
La sentenza qui segnalata svolge quindi una articolata serie di argomentazioni a sostegno di una tesi e dell'altra, scrutinando non solo gli orientamenti interpretativi ma anche singole disposizioni di legge in materia (ad esempio: l'art. 149-bis, comma 3, c.p.c., relativo alle notifiche telematiche dell'ufficiale giudiziario; l'art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994, che specificamente cristallizza il momento di perfezionamento della notifica effettuata dall'avvocato in quello della generazione del messaggio di “avvenuta” consegna; l'art. 15, comma 3, della l.fall, come modificato dall'art. 17, lett. a), del d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012; l'art. 40, commi 6, 7 ed 8, d.lgs. n. 14/2019 (CCII), in vigore dal 15.7.2022).
Tuttavia, nonostante tale ampia e dettagliata disamina, gli Ermellini non giungono ad una soluzione davvero appagante.
Infatti, secondo i Giudici di legittimità, è evidente che, sul tema, nell'attualità, sia pure in esito al crescente approfondimento della materia indotto dall'evoluzione del sistema normativo, la giurisprudenza della stessa Corte non possa dirsi univoca e che, comunque, la tematica delle condizioni di validità e delle conseguenze della notifica telematica non completata per casella piena del destinatario integra una questione di massima di particolare importanza, involgendo i presupposti stessi del funzionamento delle modalità di notificazione coi nuovi e generalizzati strumenti tecnologici in ogni ambito processuale: ciò che ne individua quale sede naturale per la disamina le Sezioni Unite.
In definitiva, gli atti sono stati rimessi al Primo Presidente, ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c., affinché valuti l'opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite.