Contrattazione collettiva integrativa nel pubblico privatizzato: non è possibile riconoscere trattamenti economici non previsti dalla contrattazione nazionale
29 Novembre 2023
Il caso Dipendenti pubblici agiscono in giudizio per il riconoscimento di assegno ad personam previsto dal contratto integrativo ma non dal contratto collettivo Un gruppo di dirigenti medici ricorre in giudizio al fine di ottenere l'accertamento del diritto al pagamento dell'assegno ad personam loro attribuito al momento del trasferimento dalle preesistenti e soppresse ASL secondo quanto previsto sia dal contratto collettivo integrativo sia dal Regolamento aziendale per la graduazione e l'affidamento delle funzioni dirigenziali, con richiesta di condanna dell'Azienda Sanitaria al regolare pagamento dell'assegno. I ricorrenti agiscono inoltre per l'accertamento della non ripetibilità delle somme già percepite. L'Azienda Sanitaria convenuta aveva difatti sospeso il pagamento dell'assegno in quanto non previsto dalla disciplina collettiva nazionale e, per tale ragione, illegittimo per violazione dell'art. 40 comma 3 quinquies del d.lgs. n. 165/2001, norma imperativa. La Corte d'Appello di Potenza riforma la sentenza di primo grado respingendo le istanze dei lavoratori. I lavoratori propongono ricorso in Cassazione sulla base dei seguenti cinque motivi:
L'Azienda Sanitaria propone controricorso. IL PM propone l'accoglimento del secondo motivo di ricorso per cassazione. La Corte respinge il ricorso. La questione Può, nel settore pubblico, un contratto collettivo integrativo prevedere il riconoscimento di un trattamento economico quale un assegno ad personam in contrasto con le disposizioni del contratto collettivo nazionale che non lo prevede? Le soluzioni giuridiche La pubblica amministrazione non può sottoscrivere contratti integrativi che prevedono l'erogazione di emolumenti ulteriori rispetto a quanto previsto dal CCNL pena nullità per violazione di norma imperativa In primo luogo occorre rammentare, come ben motiva la Corte, che l'art. 40, comma 3-quinquies, del d.lgs. n. 165/2001, prevede i limiti alla sottoscrizione di contratti collettivi integrativi da parte delle pubbliche amministrazioni: le amministrazioni non possono sottoscrivere intese integrative in contrasto con i vincoli e con i limiti di cui ai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate al secondo livello o che implicano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale dell'amministrazione. In caso di violazione dei limiti di competenza e dei vincoli di cui alla contrattazione collettiva nazionale o di cui alle norme di legge, le clausole sono nulle. Seguendo la lettera della legge (nonché il richiamato precedente conforme Cass. civ., sez. lav., ord. 6 luglio 2022, n. 21316), la Corte dichiara l'infondatezza del primo motivo di ricorso sottolineando che, ai fini del riconoscimento dell'illegittimità dell'assegno personale oggetto di causa, non è affatto necessario che l'applicazione dello stesso determini il superamento dei vincoli di bilancio. È sufficiente, infatti, la discrasia fra il contratto integrativo che lo sancisce e il contratto collettivo nazionale che non lo contempla; nel medesimo senso, l'eventuale rispetto dei vincoli economici non sarebbe ugualmente sufficiente a qualificarne la legittimità. Dunque, alla nullità della clausola di cui al contratto integrativo consegue l'obbligo per la pubblica amministrazione di sospendere la corresponsione dell'emolumento ivi disciplinato e di ripetere gli importi già versati; la nullità parziale della clausola collettiva determina a sua volta la nullità della corrispondente clausola nel contratto individuale di lavoro. La Corte qualifica come inammissibile il secondo motivo di ricorso per come formulato. Tuttavia, sulla scorta della richiesta di accoglimento del motivo da parte del Procuratore generale, la Corte analizza a fondo le questioni sottese. Benché l'invocato (e nel frattempo abrogato) art. 1, comma 136, l. n. 311/2004 disponga che l'annullamento d'ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali deve tenere indenni i privati dall'eventuale conseguente danno patrimoniale, nel caso concreto la norma, non è applicabile. La Cassazione rammenta che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 8/2023, ha escluso l'incostituzionalità dell'azione di ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c. anche laddove esercitata al fine di recuperare retribuzioni non dovute ma percepite in buona fede. La buona fede assume rilievo per quanto concerne le modalità di recupero delle somme e obbliga il creditore a recuperare le somme con riguardo alle condizioni personali del debitore, concedendo rateizzazione. Nella fattispecie de qua, tuttavia, i ricorrenti nulla hanno allegato in merito né alle personali esigenze economiche né ad eventuali violazioni del principio di buona fede e di affidamento incolpevole. Anche gli ulteriori motivi di ricorso vengono dichiarati inammissibili. Osservazioni Con la pronuncia in commento la Cassazione ribadisce il pacifico principio per cui il contratto collettivo nazionale non può essere derogato da contratto collettivo integrativo che viola i vincoli e i limiti di competenza posti dal ccnl e dalle norme di legge. La motivazione della sentenza è del tutto conforme a recenti precedenti quali, ad esempio, la Cass., sez. lav., 13 settembre 2023, n. 29339, avente ad oggetto il riconoscimento di indennità di disagio speciale di trasferimento, disciplinata dall'accordo sindacale che ha istituito la nuova Provincia in capo alla quale sono stati trasferiti i lavoratori, ma non dal contratto collettivo nazionale. Anche in questo caso, in punto di motivazione, la Cassazione ha sottolineato che ai datori di lavoro pubblici non è consentito attribuire emolumenti ulteriori in mancanza di specifica delega conferita dal contratto di livello superiore. neppure a mezzo di sottoscrizione di contratti integrativi. E ancora, con l'ordinanza n. 11645/2021 (Cass., sez. lav., ord. 4 maggio 2021, n. 11645), la Suprema Corte ha sentenziato che la Pubblica Amministrazione, in qualità di datrice di lavoro, deve ripetere le somme corrisposte in virtù di emolumenti attribuiti a mezzo di atto negoziale di diritto privato, se questo non è previsto dalla contrattazione collettiva: non è possibile, infatti, alcuna deroga alla volontà delle parti contrattuali collettive, neppur se più favorevole per i dipendenti pubblici. Nello stesso senso, la Corte si è pronunciata anche con l'ordinanza del 10 marzo 2021 (Cass., sez. lav., ord. 10 marzo 2021, n. 6715) a mezzo della quale ha ribadito la nullità dell'atto che attribuisce a un dipendente pubblico un compenso ulteriore rispetto a quanto stabilito dalla legge e dal contratto collettivo nazionale: dalla nullità dell'atto di attribuzione dell'emolumento, deriva l'obbligo di recupero delle somme da parte del datore di lavoro pubblico, cosicché nessun altro dipendente può invocare il medesimo trattamento di favore (nel caso specifico, un dipendente assunto a contratto da un istituto di cultura richiedeva venisse applicato l'adeguamento retributivo ottenuto da altro contrattista, in un periodo precedente, senza tuttavia allegare alcunché in merito alla propria attuale presunta inadeguatezza retributiva). |