Giudizio di accertamento negativo del credito contenuto in una diffida accertativa
04 Dicembre 2023
Massima Quando non risulta alcuna manifestazione dei lavoratori – pur titolari di pretese creditorie riconosciute in titoli esecutivi stragiudiziali quali le diffide convalidate – di agire coattivamente nei confronti della società datrice di lavoro, quest'ultima, in assenza di diversi rimedi impugnatori, deve ritenersi legittimata ad esperire l'azione di accertamento negativo del credito, in quanto l'unica “utile” a rimuovere lo stato di incertezza oggettiva sull'esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti. Il caso Sussiste l'interesse ad agire della società datrice di lavoro per veder accertata l'insussistenza del credito contenuto in una diffida accertativa quando i lavoratori, i cui crediti sono stati accertati in sede amministrata, non hanno manifestato alcun atto volto a minacciare una esecuzione nei confronti del debitore. La Corte d'appello di Bologna rigettava l'appello proposto da una società datrice di lavoro avverso la sentenza di primo grado, la quale dichiarava l'inammissibilità del suo ricorso per accertamento negativo dei crediti retributivi, oggetto delle diffide emesse ai sensi dell'art. 12 d.lgs. n. 124/2004 dall'I.T.L. di Bologna, in favore di alcuni lavoratori, per carenza d'interesse della società ricorrente, in assenza di iniziative esecutive dei lavoratori beneficiari delle diffide. La Corte d'Appello, in particolare, a sostegno del rigetto dell'appello della società, distingueva tra diffida non ancora o invece già validata dall'I.T.L.: nel primo caso, priva di efficacia di titolo esecutivo e ben contestabile con azione di accertamento negativo; nel secondo, come nel caso di specie, titolo esecutivo contestabile esclusivamente con opposizione esecutiva a norma degli artt. 615,617 e 618-bis c.p.c., a seconda del suo oggetto (“an” ovvero “quomodo”). Di conseguenza ribadiva il difetto d'interesse della società ad un'azione di accertamento in quanto inidonea allo scopo, ritenendo peraltro sussistente la legittimazione passiva dell'I.T.L., terzo chiamato in giudizio dal Tribunale, potendo ben avere il ricorso giurisdizionale avverso la diffida accertativa ad oggetto la legittimità in sé del provvedimento adottato e validato dall'organo ispettivo. La società soccombente proponeva ricorso per Cassazione rilevando che sussisteva il proprio interesse all'accertamento negativo dei debiti retributivi nei confronti dei lavoratori in favore dei quali l'I.T.L. felsineo aveva emesso le diffide convalidate in quanto non “limitabile” all'opposizione all'esecuzione. In altre parole la società ricorrente afferma che non può restare in uno stato d'incertezza indefinito in ordine ad una possibile azione esecutiva dei titolari dei suddetti titoli esecutivi, in quanto diversamente verrebbe violata la garanzia del proprio diritto di azione. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La questione Sussiste l'interesse ad agire per sentir accertata l'insussistenza di un credito anche quando il titolare dello stesso non abbia minacciato l'esecuzione. La questione in esame è la seguente: quali sono i rimedi giurisdizionali del debitore quando il credito, confezionato in un titolo esecutivo, non è stato portato ancora ad esecuzione e quest'ultima non è stata nemmeno minacciata? Le soluzioni giuridiche E' sempre possibile una azione giudiziaria finalizzata all'accertamento negativo del credito quando il titolo esecutivo, confezionato unilateralmente da una delle parti, nel caso di specie l'Ispettorato del lavoro, ancora non è stato portato ad esecuzione né è stata minacciata. La decisione che si annota è pervenuta alla conclusione, pienamente condivisibile, di ritenere sussistente il “diritto” del debitore a veder accertata l'insussistenza del proprio debito quando quest'ultimo è stato confezionato in sede amministrativa. Nel caso di specie, in particolare, sia il Tribunale che la Corte d'Appello ha ritenuto sussistente il difetto d'interesse della società ricorrente ad una azione di accertamento in quanto ritenuta “inidonea allo scopo” dato che la diffida accertativa “convalidata” era un titolo esecutivo che poteva essere contestato esclusivamente con una opposizione all'esecuzione ex artt.615, 617,618 bis c.p.c. . In altre parole, secondo i giudici di merito, il debitore, per agire in giudizio, doveva attendere l'intimazione a precetto (art.480 c.p.c.) del creditore in quanto soltanto con tale atto può istaurarsi una opposizione esecutiva ancorché non iniziata (art.615, primo comma, c.p.c.). La Cassazione, nella sentenza in commento, ha ritenuto fondato il ricorso per Cassazione rilevando, innanzitutto, che l'opposizione all'esecuzione va configurata quale accertamento negativo della pretesa esecutiva del creditore procedente, da condurre sulla base dei motivi di opposizione proposti (non modificabili dall'opponente nel corso del giudizio); l'esistenza del titolo esecutivo con i requisiti prescritti dall'art. 474 c.p.c. costituisce, peraltro, presupposto indefettibile per dichiarare il diritto a procedere all'esecuzione: con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione ha il potere-dovere, con accertamento che esaurisce la sua efficacia soltanto nel processo esecutivo in quanto funzionale all'emissione di un atto esecutivo e non alla risoluzione di una controversia nell'ambito di un ordinario giudizio di cognizione, di verificare l'idoneità del titolo e di controllare la correttezza della quantificazione del credito operata dal creditore nel precetto, mentre in sede di opposizione l'accertamento dell'idoneità del titolo ha natura preliminare per la decisione dei motivi proposti anche se questi non investano direttamente tale questione. In altre parole, afferma la Suprema Corte, l'opposizione all'esecuzione investe esclusivamente la sussistenza della pretesa esecutiva del creditore procedimento ossia una verifica successiva all' “an” di formazione del titolo. Di conseguenza, nel caso di specie, i giudici della Suprema Corte hanno rilevato che non risultava alcuna manifestazione dei lavoratori – pur titolari di pretese creditorie riconosciute in titoli esecutivi stragiudiziali quali le diffide convalidate in oggetto – di agire coattivamente nei confronti della società e, quindi, quest'ultima, in assenza di diversi rimedi impugnatori derivanti da una minacciata o iniziata esecuzione, deve allora essere ritenuta legittimata ad esperire l'unica azione che inveri, in suo favore, l'effettività della tutela giurisdizionale, consistente nell'azione di accertamento negativo promossa già in primo grado. E ciò in quanto titolare dell'interesse, attuale e concreto (sia pure non implicante necessariamente l'attuale verificarsi della lesione di un diritto o di una contestazione), ad ottenere un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l'intervento del giudice, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti. Sussiste, quindi, secondo la Suprema Corte, con la decisione in commento, l'interesse ad agire per veder accertata, in un giudizio di cognizione ordinaria, l'accertamento dell'inesistenza o della minore entità dei crediti stragiudizialmente accertati con le diffide convalidate (attraverso una verifica giudiziale in ordine all'effettiva consistenza del proprio patrimonio, senza doverne attendere l'eventuale aggressione, foriera di evidenti conseguenze pregiudizievoli). Osservazioni La decisione che si annota ribadisce che sussiste un interesse ad agire funzionale all'accertamento dell'inesistenza o della minore entità dei crediti stragiudizialmente accertati con le diffide convalidate. La decisione che si annota impone di esaminare, seppur per cenni, la disposizione contenuta all'art.12 del Dlgs.124/2004 e l'art.100 del c.p.c. . Come è noto, la diffida accertativa per crediti patrimoniali è disciplinata dall'art. 12 del d.lgs. n. 124/2004 in attuazione della delega contenuta nell'art. 8 della Legge n. 30/2003, "volta a definire un sistema organico e coerente di tutele del lavoro" con il precipuo scopo di realizzare una "semplificazione delle procedure per la soddisfazione dei crediti di lavoro". In base al dettato normativo di cui al citato articolo 12 "il personale ispettivo delle Direzioni Territoriali del Lavoro, qualora nel corso dell'attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui derivino crediti di natura patrimoniale in favore dei prestatori di lavoro, diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti svolti". La peculiarità dell'istituto si manifesta sin dalla prima lettura della norma che introduce nell'ordinamento, per la prima volta, un titolo esecutivo di formazione amministrativa per la soddisfazione di un diritto soggettivo privato. La giurisprudenza di merito che ha affrontato il tema dell'efficacia dell'accertamento contenuto nella diffida accertativa ha affermato (cfr. Tribunale L'Aquila, sent.n.63 del 2016) che, ai fini dell'accertamento negativo del credito patrimoniale riconosciuto dalla Direzione territoriale del lavoro e dell'annullamento della relativa diffida, occorre esperire un ricorso dinanzi al Comitato Regionale per i rapporti di lavoro, come previsto dall'art. 12 del d.lgs. n. 124/2004, e non un'opposizione avverso il decreto di convalida, effettuato dalla DTL, dinanzi al giudice ordinario, in quanto trattasi di un verbale di accertamento, e non di un'ordinanza-ingiunzione, unico atto contro cui è possibile proporre opposizione, siccome che produce effetti sulla situazione soggettiva del privato, facendo così sorgere in capo ad esso un interesse, ex art. 100 c.p.c., a rivolgersi all'autorità giudiziaria. Sempre alla giurisprudenza di merito espressasi in materia è dovuto il rilievo per cui, a seguito della diffida quale titolo esecutivo, il destinatario del provvedimento amministrativo di diffida deve comunque ritenersi legittimato a proporre opposizione per motivi inerenti al merito della pretesa creditoria (cfr. Trib. Pistoia, sez. lav., 13 novembre 2019). La formazione della diffida accertativa deriva, afferma il giudice toscano, da un procedimento a cui sono estranei sia l'esercizio del potere di accertamento delle situazioni giuridiche soggettive da parte di magistrati istituiti e regolati dalle norme dell'ordinamento giudiziario (art.102 Cost.) – come avviene, invece, per i titoli esecutivi di formazione giudiziale - sia il rispetto delle garanzie del contraddittorio, in specie nella formazione della prova, nonchè dell'impugnabilità delle decisioni incidenti su diritti soggettivi, in particolare tramite ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione (art.111, comma 7, Cost.), pure tipiche del giudizio civile. Da quanto osservato discende che la formazione del titolo esecutivo paragiudiziale deve ritenersi in ogni caso inidonea ad impedire l'esperimento dell'azione di accertamento negativo, sia proposta prima della notifica stessa della diffida accertativa o del precetto intimato sulla base di questa, sia proposta mediante un'opposizione all'esecuzione, ex art.615 c.p.c., per motivi inerenti al merito della pretesa creditoria, una volta che il lavoratore abbia notificato il precetto oppure dato inizio al processo di esecuzione. Se tale rilievo è esatto, per necessaria conseguenza va riconosciuta, tuttavia, al lavoratore stesso ovvero anche alla società riconosciuta debitrice - la possibilità, specie, ma non esclusivamente, in costanza del procedimento di formazione della diffida, di adire l'autorità giudiziaria per la tutela dei medesimi diritti e la costituzione, quindi, di titolo esecutivo giudiziale, capace di acquistare autorità di giudicato. Quanto all'interesse ad agire occorre rilevare che quest'ultimo è una condizione dell'azione consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice. In base ai principi generali in materia di condizioni dell'azione, desumibili dall'art. 24, comma 1, Cost. e dall'art. 100, l'interesse processuale presuppone, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio e l'idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale. In mancanza dell'uno o dell'altro requisito, l'azione è inammissibile. Sarebbe, infatti, del tutto inutile, si afferma in giurisprudenza, ai fini giuridici, prendere in esame una domanda giudiziale se nella fattispecie prospettata non si rinvenga affermata una lesione della posizione giuridica vantata nei confronti della controparte, ovvero se il provvedimento chiesto al giudice sia inadeguato o inidoneo a rimuovere la lesione. La giurisprudenza di legittimità ha più volte sancito che l'accertamento dell'interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all'utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine di merito concernente l'esistenza dell'interesse sostanziale tutelato (vedasi, tra le tante, Cass. civ., 10 marzo 2002, n. 3060) . La Cassazione ha, ancora, affermato che l'interesse ad agire presuppone una situazione di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico o sulla portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da esso. Orbene, alla luce della ricostruzione normativa surriferita e della giurisprudenza anzidetta, deve ritenersi che la sentenza della Suprema Corte in commento appare particolarmente condivisibile per le seguenti ragioni: a) l'accertamento negativo del credito contenuto in una diffida accertativa costituisce il primo rimedio giurisdizionale “utile” per il debitore al fine di vedere accertata la reale ed effettiva esistenza del credito (formato in via amministrativa “inaudita altera parte”); b) l'opposizione all'esecuzione ex art.615 c.p.c. potrà essere proposta per fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo formato in sede amministrativa (ad esempio, duplicità di titoli esecutivi azionati dal lavoratore per il medesimo credito; prescrizione del diritto a riscuotere, ecc.); c) l'interesse del debitore a veder accertata, con autorità di cosa giudicata, la propria effettiva posizione debitoria nei confronti di alcuni lavoratori (sorta, “in prima battuta”, in sede amministrativa) costituisce attuazione primaria del diritto di difesa (art.24 Cost.) ed evita che il debitore (per provvedimento dell'autorità amministrativa) possa rimanere tale “per sempre” in assenza della volontà dei creditori di soddisfare le proprie pretese creditorie. |