Limiti all’impugnazione diretta della cartella conosciuta tramite l’estratto di ruolo
06 Dicembre 2023
Massima In tema di riscossione a mezzo ruolo, sono inammissibili – in quanto il rimedio al vulnus riscontrato richiede un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore – le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3,24 e 113 Cost., dell'art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602/1973, così come modificato dall'art. 3-bis del D.L. n. 146/2021, come convertito, il quale, disponendo che il ruolo e la cartella che si assume invalidamene notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, innalza la soglia del bisogno di tutela giurisdizionale dei contribuenti ai fini della impugnazione “diretta” del ruolo e della cartella. Il caso Nell'ambito di un giudizio tributario in materia di TARSU in cui, a causa dell'esecutività del ruolo non impugnato (conosciuto tramite la sua consultazione), il contribuente rischiava di vedersi esposto ad una procedura esecutiva con tutela solo risarcitoria (e quindi “postuma”) dei suoi diritti, la Corte di giustizia tributaria di I grado di Napoli sollevava questioni di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602/1973, così come modificato dall'art. 3-bis del D.L. n. 146/2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 215/2021 (in vigore dal 21 dicembre 2021). Secondo la Corte rimettente, la disposizione censurata – norma di immediata applicazione nel giudizio a quo alla stregua di quanto statuito da Cass. civ., Sez. UU., n. 26283/2022 (in Giurisprudenza commentata del 18 ottobre 2022, con commento di A. Natalini, Impugnazione diretta dell'estratto di ruolo: la novella del 2021 è applicabile ai processi pendenti) – tipicizza le ipotesi in cui è ammessa l'impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento, addivenendo ad un ambito applicativo alquanto riduttivo perché discriminatorio nei confronti di tutti quei contribuenti che non operano con la P.A., i quali però dall'iscrizione a ruolo del debito erariale subiscono un pregiudizio, sicché il diritto ad un equo processo tributario sarebbe riservato solo a coloro che intrattengono rapporti con la P.A., con conseguente violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.). La riforma del 2021 e la successiva interpretazione delle Sezioni unite avrebbero reso “oggettivamente più difficoltosa la possibilità di tutela innanzi al giudice tributario”: infatti – esemplifica il giudice a quo – l'intervenuta prescrizione non potrebbe più essere dedotta “in via immediata” innanzi al G.T., tranne che nelle ipotesi previste dalla novella, essendo necessario attendere la notifica di un atto successivo (magari esecutivo) per contestare la pretesa”; diversamente, laddove “si discuta di prescrizione successiva alla notifica della cartella (e non vi sia contestazione di tale notifica) la giurisdizione spetta al G.O.”. Altri profili di doglianza risiederebbero, poi, nella violazione dei parametri di cui agli artt. 24 e 113 Cost., poiché la drastica riduzione delle ipotesi di tutela “immediata” comporterebbe un vulnus al diritto di difesa del contribuente, che potrebbe solo chiedere la tutela cautelare avverso il successivo atto di pignoramento; inoltre, sarebbero sprovvisti di tutela pregiudizi diversi da quelli relativi ai rapporti con la P.A. Con separata ordinanza veniva sollevata analoga questione di costituzionalità dal Giudice di pace di Napoli, nell'ambito di un giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. avverso l'ingiunzione di pagamento per sanzioni relative al codice della strada. Tale questione, tuttavia, è stata ritenuta priva di rilevanza dalla Consulta. La questione La questione di costituzionalità sollevata dal rimettente napoletano ha ad oggetto il comma 4-bis dell'art. 12 d.P.R. n. 602/1973 (come introdotto dall'art. 3-bis D.L. n. 146/2021, convertito, con modificazioni, in L. n. 215/2021), ai sensi del quale: «l'estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell'art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. n. 50/2016, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all'art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione». All'indomani della novella legislativa del 2021 – costituente l'epilogo di una complessa evoluzione giurisprudenziale, riguardante la riscossione delle entrate pubbliche anche extratributarie (v. artt. 17 e 18 D.Lgs. n. 46/1999; art. 49 d.P.R. n. 602/1973; art. 27 L. n. 689/1981; art. 206 D.Lgs. n. 285/1992) – si è posto il problema della sua retroattività o meno rispetto ai giudizi tributari instaurati a partire dal 21 dicembre 2021 (data di entrata in vigore della legge di conversione del cd. “decreto fiscale”). Le Sezioni unite della Cassazione, investite della questione dalla Sezione tributaria (vedi Cass. civ., Sez. 5, n. ord. interl. n. 4526/2022, in Giurisprudenza commentata del 7 aprile 2022, con commento di A. Natalini, Atti impositivi “scoperti” per caso dal contribuente: i dubbi, dopo la novella del 2021, sull'impugnabilità degli estratti di ruolo), nell'affermare che la disciplina sopravvenuta si applica (anche) ai processi pendenti perché incide sulla pronuncia della sentenza, che è ancora da compiere, e non già su uno degli effetti dell'impugnazione, hanno contestualmente reputato manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale che già allora era stato posto in riferimento all'art. 3 Cost. dalla Procura generale della Cassazione, secondo cui la nuova norma avrebbe mutato gli esiti dei processi in corso, violando i principi di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di coerenza e certezza dell'ordinamento (vedi Cass. civ., Sez. UU., n. 26382/2022, § 16.1). Inoltre, il giudice nomofilattico, con riferimento ai casi di impugnazione diretta previsti dalla nuova norma – qualificati espressamente come tassativi e non esemplificativi (§ 21) –, ha fugato i dubbi di incostituzionalità prospettati dalla dottrina con riguardo agli artt. 3,24,113 e 117 Cost. (quest'ultimo nella prospettiva CEDU), evidenziando come la “selezione di pregiudizi operata dal legislatore è espressione di discrezionalità non irragionevole, in quanto identifica una coerente serie di rapporti con la pubblica amministrazione, di modo che la ponderazione che ne risulta è espressione di attenzione rivolta anche ai risvolti applicativi e di un bilanciamento effettuato in concreto” (Cass. civ., Sez. UU., n. 26382/2022, cit., § 27). La Corte tributaria napoletana è però tornata sulla questione, investendo il giudice costituzionale con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 24 e 113 Cost. Soluzione giuridica La Corte costituzionale con la sentenza in commento ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli in riferimento agli artt. 3,24 e 113 Cost., dell'art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602/1973, così come modificato dall'art. 3-bis del D.L. n. 146/2021, come convertito, il quale – disponendo che il ruolo e la cartella che si assume invalidamene notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto –, innalza la soglia del bisogno di tutela giurisdizionale dei contribuenti ai fini della impugnazione “diretta” del ruolo e della cartella. Tale esito di inammissibilità non esclude affatto l'esistenza di un riscontrato vulnus nel sistema, il quale però non può prescindere da un intervento di carattere legislativo. I giudici della Consulta non dubitano affatto che la notevole riduzione dei ricorsi cui si è giunti per effetto dell'entrata in vigore della norma di nuovo conio (nell'ultimo anno – come affermato dall'Avvocatura dello Stato – risultano instaurate soltanto 8.000 nuove controversie circa) abbia inciso «sull'ampiezza della tutela giurisdizionale» (§ 11). Difatti, è indubbio che la disposizione censurata restringe la possibilità di impugnare la cartella di pagamento che si ritenga invalidamente notificata e di cui il contribuente sia venuto a conoscenza dall'estratto di ruolo (che ne afferma la valida notifica), a causa delle gravi inefficienze del sistema italiano della riscossione, che ha condotto all'enorme proliferazione di controversie strumentali di impugnazione degli estratti di ruolo radicate dai debitori iscritti a ruolo, con un aumento esponenziale delle cause per far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d'eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima. L'abuso di quanti approfittano della vulnerabilità del sistema – «dove spesso l'agente della riscossione, addirittura, non è in grado di fornire la prova della regolare notifica della cartella» (§ 12) – e così generano un preoccupante contenzioso seriale non può comprimere in via sistematica – ammonisce il giudice delle leggi – il bisogno di tutela “anticipata” dei soggetti (fossero anche pochi) che legittimamente lo invocano (su questa situazione patologica vedi già Corte cost. n. 120/2021; sull'indefettibilità di una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate pubbliche, v. Corte cost. n. 51/2019 ed ivi per precedenti). Tuttavia, il rimedio alla situazione che si è prodotta coinvolge profili rimessi – quanto alle forme e alle modalità – alla discrezionalità del Parlamento e non spetta alla Corte costituzionale, «almeno in prima battuta» – puntualizza la sentenza in commento (facendo così presagire un possibile re-intervento, in caso di perdurante inerzia legislativa). Tale risultato può, infatti, essere ottenuto intervenendo in più direzioni, peraltro non alternative: da un lato, «estendendo, con i criteri ritenuti opportuni, la possibilità di una tutela “anticipata”» a determinate fattispecie ulteriori e analoghe a quelle previste dalla norma censurata, dall'altro, «agendo in radice, ovvero sulle patologie che ancora permangono nel sistema italiano della riscossione». Queste – precisa il giudice delle leggi – «attengono sia al passato, dove, anche per cause storiche, si è accumulata una consistente massa di crediti ormai evidentemente prescritti, sia al futuro perché il sistema dovrà essere strutturato in modo che tale fenomeno non si ripeta, evitando, in particolare, il danno di gravi falle nell'adempimento del dovere tributario» (§ 12). Di qui l'inammissibilità delle questioni sollevate, dal momento che «il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore» (§ 13). Osservazioni Con riguardo alla indefettibile esigenza di superare quella che la Consulta oggi definisce nell'annotata sentenza «la grave vulnerabilità ed inefficienza, anche con riferimento al sistema delle notifiche, che ancora affligge il sistema italiano della riscossione», il giudice delle leggi ha formulato «il pressante auspicio che il Governo dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione contenuti nella delega conferitagli dall'art. 18 della legge 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale)». Al riguardo, in particolare il cit. art. 18, al comma 1, lett. a), stabilisce che debba essere incrementata l'efficienza dei sistemi della riscossione, nazionale e locali, attraverso una semplificazione che orienti l'attività verso i principi di efficacia, economicità e imparzialità nonché verso obiettivi di risultato (cfr. l'audizione presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale del direttore dell'Agenzia delle entrate, il quale ha rappresentato che nel 2022 si è superato il tetto dei 1.100 miliardi non riscossi, 130-140 milioni di cartelle, 230 milioni di crediti da riscuotere, circa 16 milioni di cittadini iscritti a ruolo). Tra le principali misure che il governo dovrà assumere nell'esercizio della delega di cui all'art. 18 L. n. 111/2023, si segnalano: - la pianificazione annuale delle procedure di recupero da concordare con Ministero dell'economia e delle finanze; - il discarico automatico, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell'affidamento, delle quote non riscosse; - la salvaguardia del diritto di credito, mediante il tempestivo tentativo di notifica della cartella di pagamento, non oltre il nono mese successivo a quello di affidamento del carico; - la revisione della disciplina della responsabilità dell'agente della riscossione e il superamento dell'attuale separazione tra Ader e Agenzia delle entrate; - la determinazione dei criteri di individuazione delle quote automaticamente discaricate in ciascun anno da sottoporre al controllo. La riforma fiscale in cantiere dovrà prevedere, inoltre, l'incremento dell'utilizzo delle più evolute tecnologie e l'interoperabilità dei sistemi, la modifica delle condizioni di accesso ai piani di rateazione, nonché il progressivo superamento dello strumento del ruolo e della cartella di pagamento per le entrate da affidare all'agente della riscossione, al fine di anticipare l'incasso, da parte di quest'ultimo, delle somme dovute dal debitore, riducendo i tempi per l'avvio delle azioni cautelari ed esecutive, anche attraverso la semplificazione del procedimento di cui all'art. 29, comma 1, lett. h), del D.L. n. 78/2010. |