Eccezione di compensazione e opposizione all'esecuzione

11 Dicembre 2023

La Corte di cassazione è stata investita della questione relativa all'ammissibilità dell'eccezione di compensazione formulata nell'ambito di un'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c., quando i crediti delle parti contrapposte abbiano titolo nella medesima sentenza di condanna.

Massima

In sede di opposizione all'esecuzione non è consentito, in nessun caso, eccepire la compensazione, né propria né impropria, quando le reciproche pretese delle parti derivano dal medesimo titolo esecutivo giudiziale, nel quale siano state tenute distinte, attraverso l'emissione di separate condanne reciproche, perché considerate comunque non suscettibili di reciproca elisione in sede di cognizione; in tale caso, è invece possibile e necessario proporre l'impugnazione della sentenza costituente titolo esecutivo, per ottenere, in sede di cognizione, il riconoscimento della compensazione cosiddetta tecnica, ovvero, mancandone i presupposti, l'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite, con definitiva condanna, quindi, di una sola delle parti al pagamento della differenza dovuta in favore dell'altra.

Il caso

La cessionaria di un credito portato da una sentenza di condanna esecutiva intimava precetto di pagamento, avverso il quale veniva proposta opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c.

A base della propria opposizione, l'intimato sosteneva che il titolo esecutivo recava una duplice condanna reciproca: da un lato, quella dello stesso intimato a pagare alla controparte (che aveva poi ceduto il credito alla società che aveva notificato il precetto) la somma di € 9.000,00 e, dall'altro lato, quella della seconda a pagare al primo la maggiore somma di € 79.000,00, sicché, per effetto della compensazione dei contrapposti crediti, nulla era dovuto.

L'opposizione veniva accolta dal Tribunale di Roma, con sentenza confermata all'esito del giudizio di appello.

Avverso la pronuncia di secondo grado era proposto ricorso per cassazione.

La questione

La Corte di cassazione è stata investita della questione relativa all'ammissibilità dell'eccezione di compensazione formulata nell'ambito di un'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c., quando i crediti delle parti contrapposte abbiano titolo nella medesima sentenza di condanna.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata, rilevando che: 1) se la sentenza che definisce il giudizio di cognizione reca distinte e reciproche condanne al pagamento di somme a carico e a favore di entrambe le parti, i presupposti per disporre la compensazione dei rispettivi crediti ricorrevano già al momento della pronuncia; 2) se, tuttavia, il giudice non ha disposto alcuna compensazione, significa che ha ravvisato l'insussistenza delle condizioni perché potesse operare; 3) la parte che intende contestare una tale decisione deve impugnare la sentenza che, non avendo fatto applicazione della compensazione, ha disposto una duplice condanna, mentre non può fare valere la questione in sede esecutiva.

Osservazioni

L'ordinanza che si annota fornisce importanti precisazioni in merito alla possibilità di dedurre, quale motivo di opposizione all'esecuzione cosiddetta pre-esecutiva, ossia promossa ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., la compensazione del credito che l'intimato affermi di vantare nei confronti di chi gli ha notificato il precetto.

L'opposizione pre-esecutiva è quella che, contestandosi il diritto del creditore di procedere a esecuzione forzata, viene svolta prima che quest'ultima abbia avuto inizio, ossia a seguito della notifica dell'atto di precetto (che preannuncia l'intenzione di avviare l'azione esecutiva), ma prima del pignoramento.

Tra i motivi di opposizione che possono legittimamente essere dedotti avvalendosi di questo rimedio vi sono quelli che riguardano l'insussistenza o l'estinzione del diritto di credito portato dal titolo esecutivo; peraltro, quando si tratti di titoli di formazione giudiziale, le ragioni che il debitore può addurre per neutralizzare la pretesa fatta valere dal creditore sono solo quelle che hanno per oggetto fatti modificativi o estintivi del rapporto sostanziale verificatisi successivamente alla formazione del titolo, dal momento che, qualora si trattasse di vicende accadute prima, avrebbero dovuto essere fatte valere nell'ambito del giudizio o del procedimento in cui il titolo esecutivo si è formato, essendo invece inibito opporle in sede esecutiva.

Questa regola costituisce una declinazione del principio in base al quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

Con particolare riguardo alla compensazione, che si ha allorché due soggetti sono contemporaneamente creditore e debitore l'uno dell'altro, essendo reciprocamente obbligati, sicché l'estinzione delle rispettive obbligazioni si verifica quando e nella misura in cui le stesse vengono a coesistere, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che la stessa non operi come fattispecie estintiva se il controcredito vantato dal debitore sia sorto prima della formazione del titolo esecutivo, ovvero se l'eccezione avrebbe potuto essere proposta nel corso del giudizio (anche se, in quel momento, difettavano i requisiti di liquidità ed esigibilità, ma ricorrendo le condizioni per il giudice di disporre la compensazione giudiziale ai sensi dell'art. 1243, comma 2, c.c.).

Della compensazione si conoscono diverse classificazioni: oltre a quella – di matrice codicistica – che distingue la compensazione legale (che ricorre quando entrambi i crediti siano omogenei, liquidi ed esigibili) da quella legale (in cui il debito opposto in compensazione non è liquido, cioè di ammontare già determinato o determinabile attraverso l'applicazione di un criterio matematico, ma di pronta e facile liquidazione, risultando necessaria e sufficiente la pronuncia del giudice) e da quella volontaria (che si determina per volontà delle parti, anche in assenza dei requisiti prescritti per l'operatività della compensazione legale o giudiziale), la giurisprudenza ha elaborato le categorie della compensazione propria e impropria.

Si è in presenza della prima quando le reciproche pretese trovino la loro fonte in rapporti giuridici diversi, mentre si ha la seconda quando due soggetti siano obbligati l'uno nei confronti dell'altro nell'ambito di un rapporto unitario, sicché i rispettivi crediti vengono a porsi quali reciproche partite di dare e avere in seno allo stesso; l'ammissibilità del dispiegarsi pure in questo caso del meccanismo della compensazione viene giustificata sulla base del fatto che l'art. 1246 c.c. prevede che essa si verifica quali che siano i titoli da cui nascono i contrapposti crediti e debiti, senza restringerne espressamente l'applicabilità all'ipotesi di pluralità di rapporti.

Poiché, nella fattispecie oggetto dell'ordinanza che si annota, entrambi i crediti derivavano dalla medesima sentenza, recante condanna del creditore che aveva notificato l'atto di precetto a pagare una somma superiore a quella che il destinatario dell'intimazione era stato – a propria volta – condannato a corrispondergli, la Corte d'appello di Roma aveva ravvisato la ricorrenza di un'ipotesi di compensazione impropria, ritenendo che l'opposizione all'esecuzione fosse meritevole di accoglimento in quanto questo tipo di compensazione può operare senza limiti.

I giudici di legittimità, invece, sono andati di contrario avviso, evidenziando innanzitutto come la compensazione impropria sia predicabile quando i crediti reciproci non solo scaturiscano dal medesimo rapporto contrattuale, ma siano altresì legati da un rapporto di corrispettività, che ne escluda l'autonomia: in questo senso, è determinante la sinallagmaticità delle obbligazioni, da cui discende la natura meramente contabile dell'accertamento che dev'essere compiuto per addivenire all'elisione (totale o parziale) delle pretese facenti capo alle parti contrapposte.

Fatta questa precisazione, la Corte di cassazione ha sottolineato come, in realtà, fosse un altro l'aspetto decisivo da prendere in considerazione ai fini dell'accoglimento dell'opposizione proposta dal debitore intimato.

In primo luogo, andava tenuto presente che la compensazione non può essere invocata, al fine di bloccare l'azione esecutiva, quando il credito opposto dal debitore sia stato accertato con sentenza provvisoriamente esecutiva, ma non ancora passata in giudicato (come affermato da Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2016, n. 23225, che ha precisato come il requisito della liquidità del credito manchi non solo quando esso non sia certo nel suo ammontare, ma pure quando ne sia contestata l'esistenza, sicché l'operatività della compensazione presuppone una liquidità non solo di carattere sostanziale, ma anche processuale, data dall'incontrovertibilità del titolo, ossia dalla sua insuscettibilità di essere impugnato).

Il debitore esecutato è dunque legittimato a opporre al creditore un controcredito in compensazione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., purché lo stesso sia certo, perché incontestato o definitivamente accertato in via giudiziale, oppure, trattandosi di controcredito ancora illiquido, quando sia di importo certamente superiore al credito azionato in via esecutiva: in tali casi, infatti, l'illiquidità del controcredito opposto in compensazione non impedisce al giudice dell'opposizione di accertarne l'entità, avendo il solo effetto, nelle more del giudizio di opposizione, di precludere al giudice dell'esecuzione la sospensione di quest'ultima (così, per esempio, Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2019, n. 30323).

In secondo luogo e in via assorbente, il fatto che il credito opposto in compensazione originasse dalla medesima sentenza da cui scaturiva quello azionato con il precetto, trattandosi di statuizioni di condanna contenute entrambe nel dispositivo della pronuncia, attestava in modo inequivocabile come i presupposti della compensazione sussistessero già durante la pendenza di quel giudizio: più precisamente, l'esistenza di entrambi i crediti era stata oggetto di cognizione e di accertamento da parte del giudice, il quale, anziché eliderli fino alla rispettiva concorrenza, determinando contabilmente il saldo finale delle contrapposte partite di dare e avere, aveva ritenuto di pronunciare due condanne reciproche, autonome e distinte.

Ciò significava, dunque, che era stata esclusa (se non altro implicitamente) l'ammissibilità e l'operatività della compensazione, i cui requisiti, per come fatti valere nell'ambito dell'opposizione pre-esecutiva, si erano già manifestati; di conseguenza, si sarebbe dovuta gravare la sentenza che non aveva applicato il meccanismo compensativo, impugnando la statuizione dalla quale emergeva la ritenuta opportunità di mantenere separate le due condanne e, in buona sostanza, di non dare corso alla loro reciproca (anche solo in parte qua) elisione.

In quest'ottica, l'omessa determinazione, da parte del giudice della cognizione, del saldo contabile finale delle contrapposte partite integrava una decisione di insussistenza dei presupposti della compensazione, che doveva essere impugnata, onde evitare la formazione del giudicato sul punto.

È questa, dunque, la ragione per cui la compensazione, pur ricorrendone apparentemente i presupposti, non poteva essere addotta quale motivo di opposizione ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c.: come sottolineato in precedenza, lo strumento impugnatorio non può essere utilizzato per sollevare questioni che avrebbero dovuto trovare ingresso ed essere esaminate nell'ambito del procedimento di cognizione in cui si è formato il titolo esecutivo di natura giudiziale, sicché l'avere il debitore intimato omesso di farlo, rinunciando a contestare la mancata elisione reciproca dei rispettivi crediti da parte del giudice che aveva emesso le condanne, ha comportato, per effetto e in conseguenza della definitività della sentenza che le aveva disposte, l'impossibilità di contestare l'esistenza dell'altrui credito al fine di paralizzare l'azione esecutiva.

Ferma restando, ovviamente, l'ammissibilità di un'iniziativa esecutiva a parti invertite, che, allo stesso modo, non avrebbe potuto essere inibita o bloccata (nemmeno parzialmente) adducendo l'esistenza del controcredito di cui era stato intimato il pagamento con l'atto di precetto opposto.

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