Prova delle cessioni intracomunitarie

Giovambattista Palumbo
18 Dicembre 2023

La Corte di cassazione, con l'ordinanza del 06 novembre 2023, n. 30889, è tornata ancora ad esprimersi in tema di profili probatori delle cessioni intracomunitarie. Nel caso di specie, la società contribuente aveva impugnato due avvisi di accertamento IVA, relativi ai periodi di imposta 2013 e 2014, attinenti ad operazioni intracomunitarie di vendita verso soggetti UE, che, a seguito di verifica, la società contribuente non era riuscita a dimostrare come tali.

Massima

In caso di vendita con clausola «franco fabbrica», il cedente ha diritto all'esenzione IVA ove fornisca la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione. In particolare, tale prova non deve essere data a mezzo di elementi predeterminati, ma può essere raggiunta anche tramite una prova alternativa ricavata da «fatti secondari», da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza.

Il caso 

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso, con sentenza poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale aveva rigettato l'appello dell'Ufficio.

Rilevava in particolare il giudice di secondo grado che la merce era stata venduta franco fabbrica e consegnata ex works allo spedizioniere incaricato dall'acquirente stesso.

Riteneva quindi lo stesso giudice di appello che fosse stato effettivamente trasferito all'acquirente il potere di disporre del bene come proprietario e che fosse stata data comunque prova del fatto che la merce era stata trasferita nel territorio dello Stato membro.

La prova della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione, affermava la CTR, era stata infatti fornita sulla base di diversi ed idonei elementi di prova (fatture accompagnatorie, pagamenti tracciabili, elenchi Intrastat, dichiarazioni dei clienti).

L'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 138 Dir. 2006/112/CE, 41, comma 1, lett. a), d.l. 30 agosto 1993, n. 331 e 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto che le cessioni di beni in oggetto fossero esenti IVA, in quanto cessioni intracomunitarie.

Rilevava in particolare la ricorrente Amministrazione che il presupposto per la non imponibilità IVA delle cessioni intracomunitarie è dato dalla prova del trasporto dei beni al di fuori del territorio dello Stato; onere della prova che è a carico del contribuente e che nella specie non era stato, a suo avviso, fornito.

L'Amministrazione finanziaria, pur osservando che il Diritto dell'Unione non pone limiti al contenuto della prova che deve essere data dal contribuente, riteneva infatti che gli elementi di prova addotti a fondamento della natura intracomunitaria della cessione (fatture accompagnatorie, pagamenti tracciabili, effettuati con bonifici e assegni; elenchi Instrat, dichiarazioni dei clienti intracomunitari di aver effettivamente provveduto all'uscita della merce dall'Italia) non fossero idonei ad assolvere l'onere della prova, rilevando che, sotto questo profilo, applicandosi il Regolamento di esecuzione (UE) n. 2018/1912, occorrono almeno due di tre elementi, costituiti:

- dal documento o lettera CMR sottoscritta;

- dalla polizza di carico;

- o dalla fattura di trasporto emessa dallo spedizioniere.

La questione 

Secondo una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, l'esenzione di una cessione di un bene intracomunitaria diviene applicabile solo quando vi sia prova che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all'acquirente.

Tale prova si raggiunge al momento in cui il venditore provi che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, detto bene abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (cfr., Corte di Giustizia UE, 26 luglio 2017, Toridas, C-386/16, punto 30; Corte di Giustizia UE, 9 febbraio 2017, Euro Tyre BC, C-21/16, punto 25; Corte di Giustizia UE, 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C‑273/11, punto 31; Corte di Giustizia UE, 16 dicembre 2010, Euro Tyre Holding, C‑430/09, punto 29).

Il diritto dell'Unione mira, pertanto, ad accertare l'esistenza dei requisiti sostanziali in base ai quali l'acquirente abbia acquisito il potere di disporre del bene come proprietario, rispetto ai quali la Direttiva IVA 2006/112/CE non predetermina  quale sia il contenuto o la natura dei mezzi di prova che il cedente deve offrire al fine di dimostrare l'esistenza dei requisiti sostanziali per beneficiare dell'esenzione IVA.

Spetta, pertanto agli Stati membri fissare le condizioni alle quali le cessioni intracomunitarie sono da essi esentate, dovendo comunque, nell'esercizio dei loro poteri, gli stessi Stati rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell'ordinamento giuridico dell'Unione (Corte di Giustizia UE, C-21/16, cit., punto 33; Corte di Giustizia UE, C-273-11, cit., punto 36; Corte di Giustizia UE, 9 ottobre 2014, Traum, C‑492/13, punto 27), pena un inammissibile gold plating (ossia una regolamentazione oltre i requisiti minimi imposti dalla legislazione UE).

La soluzione giuridica

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che la Corte di cassazione ha già stabilito che, in caso di vendita con clausola «franco fabbrica», il cedente abbia diritto all'esenzione IVA ove fornisca la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione (Cass., sez. trib., 12 febbraio 2019, n. 4045).

In particolare, si è ritenuto che questa prova non debba essere data a mezzo di elementi di prova predeterminati, ma possa essere raggiunta anche tramite una prova alternativa ricavata da «fatti secondari», da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza (Cass., Sez. trib., 30 dicembre 2015, n. 26062; conf. Cass., sez. trib., 1° giugno 2023, n. 15552; Cass., sez. trib., 2 novembre 2022, n. 32330; Cass., sez. trib., 3 marzo 2021, n. 5761; Cass., sez. VI, 13 gennaio 2021, n. 308; Cass., sez. trib., 12 febbraio 2019, n. 4045, cit.; Cass., sez. trib., 30 gennaio 2019, n. 2578; Cass., sez. VI, 7 novembre 2016, n. 22539; Cass., sez. trib., 5 agosto 2016, n. 16433).

D'altro canto, le operazioni intracomunitarie non possono essere equiparate ad operazioni non imponibili ai fini IVA per abbandono del territorio doganale, come nel caso del «visto uscire» (Cass., sez. trib., 26 maggio 2023, n. 14853; Cass., sez. trib., 27 dicembre 2018, n. 33483), caso per il quale si ritengono inidonei documenti che siano di fonte privata, quali le fatture o la documentazione bancaria attestante il pagamento (Cass., sez. trib., 18 febbraio 2015, n. 3193; Cass., sez. trib, 12 ottobre 2018, n. 25454: Cass., sez. trib., 21 febbraio 2018, n. 4161).

Nella specie si trattava infatti di operazioni che attenevano al trasporto intracomunitario di beni (art. 7, comma 1, lett. f) d.P.R. n. 633/1972), in cui luogo di partenza e luogo di arrivo della merce si trovano in due Stati membri diversi, e quindi comunque all'interno del territorio doganale dell'Unione.

Per tali motivi la sentenza impugnata aveva correttamente ritenuto sufficienti allo scopo la produzione di fatture accompagnatorie, equiparate ai documenti di trasporto, i pagamenti relativi alle prestazioni in oggetto, effettuati con mezzi tracciabili, le dichiarazioni dei terzi clienti e gli elenchi Intrastat, ritenuti tutti elementi idonei ad accertare l'effettiva uscita dal territorio dello Stato della merce e l'attribuzione all'acquirente del potere di disporre dei beni come proprietario.

Osservazioni

Costituiscono cessioni intracomunitarie non imponibili "le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall'acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta".

Il beneficio dell'esenzione dall'imposta per le cessioni intracomunitarie trova espressione nella Dir. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, la quale, all'art. 138, dispone che "Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati fuori dal loro territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall'acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni".

È ormai consolidato il principio secondo il quale l'onere della prova circa l'esistenza dei requisiti costitutivi del detto beneficio fiscale — onerosità della cessione, soggettività passiva del cedente e del cessionario, nonché movimentazione del bene con partenza dall'Italia ed arrivo in altro Stato membro — grava sul cedente, il quale è tenuto a fornire elementi oggettivi che permettano di qualificare come "intracomunitaria" una cessione onerosa di beni tra due soggettivi passivi IVA, dimostrando specificamente “l'effettività dell'esportazione della merce nel territorio dello Stato nel quale risiede il cessionario”, o, in mancanza, fornendo “adeguata prova della propria buona fede, ossia di aver adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere, per non essere coinvolto in un'evasione fiscale avendo riguardo alle circostanze del caso concreto” (Cass., n. 4045/2019).

E ciò proprio in ragione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., secondo il quale l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga (cfr., Cass. n. 13457/2012; Cass. n. 20575/11 e Cass. n. 21956/10).

Quanto poi al tema delle modalità con le quali il cedente possa offrire la prova che i beni ceduti siano entrati nel territorio delle Stato membro a cui appartiene il cessionario, la Cassazione, evocando anche Risoluzioni emanate dall'Agenzia delle Entrate (Risoluzione 28 novembre 2007, n. 345/E e Risoluzione 15 dicembre 2008, n. 477/E), ha chiarito che, mentre può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario, deve invece affermarsi il dovere del predetto cedente di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare, con la diligenza dell'operatore commerciale professionale, le caratteristiche di affidabilità della controparte, dovendo questi procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci, se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l'effettività dell'esportazione e circa la sua buona fede.

La stessa Agenzia delle Entrate, con Ris. 25 marzo 2013 n. 19/E, ha precisato inoltre che i documenti utili al fine di ritenere provato il trasferimento fuori dal paese in cui si trova il cedente devono comprovare "...che vi è stata la c.d. movimentazione fisica della merce, che deve aver raggiunto un altro Stato membro...", aggiungendo che gli stessi “...sono idonei a fornire prova della cessione intracomunitaria se conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle predette cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat”.

E ciò, peraltro, nella consapevolezza che la concreta individuazione delle condotte che il cedente deve tenere perché lo si possa giudicare in buona fede nell'esecuzione di una cessione intracomunitaria attiene a valutazioni riservate al giudice di merito, in quanto inevitabilmente legate alle specifiche caratteristiche di ciascuna vicenda.

In sostanza, in ragione dell'obiettivo proprio dell'Unione europea di evitare una doppia imposizione per la stessa operazione, la prova dell'effettivo trasferimento della merce non deve essere pertanto raggiunta mediante modalità formalistiche, ma secondo una ragionevole valutazione delle prove.

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