Licenziamento disciplinare: il giudice del lavoro può fondare il proprio accertamento su intercettazioni acquisite nell’ambito di indagini preliminari?
24 Gennaio 2024
Il giudice del lavoro può accertare la legittimità del licenziamento disciplinare del dipendente solo sulla base delle intercettazioni acquisite nell'ambito di un'indagine penale nella quale è coinvolto il medesimo lavoratore, anche qualora tali intercettazioni non siano state trascritte nella forma della perizia? È consolidato l'orientamento giurisprudenziale in base al quale le intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate nell'ambito di un procedimento penale nel quale è indagato il lavoratore, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare nei confronti del medesimo, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall'art. 270 c.p.p., riferibili al solo procedimento penale, in cui si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova. Ciò premesso, il giudice del lavoro, a seguito dell'impugnazione della sanzione datoriale espulsiva, nell'accertamento della sussistenza e dell'idoneità giustificativa degli specifici fatti costituenti il substrato materiale della giusta causa del licenziamento, può fondare il suo convincimento anche solo sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari (scilicet sulle intercettazioni), anche ove sia mancato, in sede penale, il vaglio critico del dibattimento. Il lavoratore, infatti, può sempre contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti nel corso delle indagini. Inoltre, non può sostenersi che, non essendo state trascritte, le intercettazioni sarebbero prive di ogni efficacia probatoria, tenuto conto che la prova è costituita dalle bobine e dai verbali, mentre la trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale. |