Danno da perdita del rapporto parentale: a chi spetta provare il danno ai fini del risarcimento?
02 Febbraio 2024
L'Azienda ospedaliera non ci sta e ricorre in Cassazione sostenendo che il danno sarebbe stato riconosciuto come se fosse in re ipsa ossia senza che gli eredi abbiano fornito alcuna prova del legame affettivo che li univa al loro congiunto. La doglianza, però, è infondata. Quale deve essere la prova, da parte dei congiunti, del danno conseguenza della perdita del parente? Il Collegio ricorda che «l'uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del "quantum debeatur"); in tal caso, grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo» (Cass. n. 9010/2022). Ne discende che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto di dover presumere l'esistenza di pregiudizi rilevanti, ricavabili dal rapporto di parentela, e va ricordato che si trattava per l'appunto di coniuge, figli e fratelli e dunque «di quella categoria di parenti assistiti dalla presunzione iuris tantum di aver patito una conseguenza pregiudizievole a causa del decesso del congiunto, e che competeva dunque alla azienda dimostrare che, a dispetto di quel rapporto di parentela, il decesso del paziente non ha causato nei congiunti che hanno agito in giudizio alcun pregiudizio risarcibile». (Fonte: Diritto e Giustizia) |