23 Febbraio 2024

Con sentenza del 13 dicembre 2023 n. 34889 la Cassazione ha affermato la nullità della clausola di determinazione del tasso applicato ad un finanziamento calcolato sulla base di un tasso Euribor manipolato. Successivamente, alcune decisioni di merito hanno applicato tale principio in modo contrastante. 

Il Prof. Dolmetta, nel seguente contributo, ripercorre i vari aspetti della questione, analizzando dettagliatamente le pronunce di legittimità e di merito e integrando la trattazione con approfondimenti e puntuali osservazioni. Esamina, inoltre, il diverso, ma collegato tema dell’ammortamento alla francese in vista dell’udienza delle Sezioni Unite Civili fissata per il 27 febbraio 2024.

I temi evocati dalla Corte di Appello di Trieste

Nella sua concisione, il provvedimento istruttorio della Corte di Appello di Trieste 24 gennaio 2024 tocca due tra i temi di maggiore rilievo e attualità nel contesto del vivente diritto delle operazioni bancarie:

  • il primo attiene alla disciplina dell’ammortamento alla francese, con riferimento ai primi due quesiti peritali di ricalcolo degli interessi da mutuo;
  • l’altro, che investe l’ultimo dei quesiti sottoposti a CTU, ruota intorno al tasso creditorio costruito sulla base di un euribor viziato, perché frutto di un’intesa anticoncorrenziale e perciò vietata.

Può essere utile fare un breve check dello stato odierno di tali questioni.

Se la prima è in (forte e ansiosa) attesa di un intervento della Cassazione, che dia chiarimenti e segnali alla pratica (tanto giudiziaria, quanto operativa) e che si annuncia prossimo (l’udienza delle Sezioni Unite è fissata per il prossimo 27 febbraio), la seconda ha appena riscontrato un intervento assai importante della Corte: un intervento, si potrebbe anche dire, che volta la pagina.    

Ammortamento alla francese: gli interrogativi sottoposti alle Sezioni Unite

Sollecitata dal Tribunale di Salerno, il provvedimento della Prima Presidente della Cassazione (settembre 2023) - che viene richiamata dall'ordinanza della Corte triestina - ha chiesto alle Sezioni Unite di concentrarsi su due quesiti, entrambi a loro volta poi articolati su di un duplice livello.

La domanda gravita dunque sulla necessaria presenza nel contesto contrattuale dei mutui a tasso fisso:

(i) dell'indicazione che l'ammortamento è «alla francese» (e non «all'italiana» o di altro tipo ancora), come pure

(ii) dell'indicazione che il regime di interessi applicato è quello «di capitalizzazione composta» (e non già «semplice» o «mista» o altro).

Si tratta – è bene precisare - di due aspetti e problemi in sé stessi diversi, suscettibili di porsi in via separata ovvero anche cumulativa (secondo quanto accade nella fattispecie concretamente oggetto dell'esame del giudice salernitano). In effetti, il primo concerne l'indicazione del sistema di ammortamento che l'intermediario intende adottare; il secondo riguarda invece l'indicazione del c.d. regime finanziario che si viene a utilizzare: se la restituzione del capitale, in particolare, è destinata a procedere secondo progressione geometrica o invece aritmetica o mista (a seconda dei periodi di rimborso, cioè) o secondo altri percorsi ancora.

Il quesito sulla necessità di una e/o l'altra di tali indicazioni è formulato in (separato) rapporto a due diverse prescrizioni di legge: quella, comune a ogni contratto, della necessaria determinatezza dell'oggetto contrattuale e delle varie clausole che ne innervano il contenuto (art. 1346 c.c.); quella, peculiare invece ai prodotti contrattuali che siano espressivi di attività dell'impresa bancaria, della necessaria indicazione scritta delle singole voci che compongono il costo, o «prezzo», dell'operazione per il cliente (art. 117 c. 4 TUB).

(Segue): gli attuali itinerari della letteratura

Si tratta, come si vede, di quesiti in sé stessi specifici: puntuali, anche al di là della loro articolazione. Sui quali, per vero, non era mancato in precedenza il confronto anche nell'ambito della dottrina. Confronto che, naturalmente, è venuto poi ad acuirsi in questi ultimi mesi: con l'emergere di posizioni contrapposte o anche antipodiche, secondo quanto di consueto avviene, del resto, nell'ambito delle questioni relative al diritto delle operazioni bancarie. Una certa convergenza – ma solo relativa, sia chiaro – sembrerebbe peraltro venire a formarsi sul punto della necessaria applicazione dell'art. 117 c. 4 TUB. In effetti, il tipo di progressione, rata dopo rata, della restituzione del capitale preso a mutuo attiene, propriamente, all'intima natura della voce di costo rappresentata dagli interessi compensativi: l'applicazione del metodo di ammortamento francese e/o della capitalizzazione composta determina la posizione di componenti addizionali al costo dell'operazione.

Non è questo, tuttavia, il dato saliente che emerge dal dibattito attualmente in corso.

Nei fatti, molti degli interventi che si sono susseguiti (anche nel contesto del Convegno "Il mutuo bancario con ammortamento alla francese" tenuto presso la Corte di Cassazione in data 31 gennaio 2024: su questo portale si può trovare una sintesi degli argomenti trattati) si sono in gran prevalenza occupati e sviluppati non già sulle specificità dei quesiti inviati alla Sezioni Unite, bensì sulla tematica generale dell'ammortamento alla francese, sulla sua natura giuridica e matematico-finanziaria, sui suoi rapporti con la figura dell'anatocismo, sui termini di eventuale ammissibilità di tale tipo di ammortamento nel sistema vigente, sui suoi rapporti con le regole di diritto comune di maturazione ed esigibilità degli interessi. Il tema è venuto così a subire un processo di lievitazione – e, per vero, anche di enfatizzazione –, che per nulla giova alla corretta soluzione dei quesiti rimessi alle Sezioni Unite: se la prospettiva dell'art. 1346 c.c. attiene all'esigenza (strutturale del sistema) di dare al contratto confini non arbitrari, ma ben definiti, quella dell'art. 117 TUB risponde all'esigenza di fornire a ogni cliente un'informazione specifica e (potenzialmente) consapevole dei costi che va ad affrontare con il porre in essere un'operazione di credito bancario.  

La Memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dalla Procura della Repubblica lo scorso 6 febbraio in vista dell'udienza delle Sezioni Unite costituisce un esempio chiaro e immediato della situazione che si è venuta a determinare nell'ambito del dibattito in corso. Questa infatti ha ritenuto necessario, per poter «rassegnare le proprie conclusioni», esaminare prima di tutto «quali sono le possibili modalità di ammortamento di un contratto di mutuo»; e poi pure declinare le differenze tra l'ammortamento francese e quello italiano; nonché stabilire in che senso si possa e debba parlare, al riguardo, di «interesse composto»; e così via discorrendo (cfr. p. 10). Il tutto per concludere, poi, che il «concetto di maggiore onerosità non può essere invocato … in quanto la banca non applica costi ulteriori, ma eroga il prodotto finanziario a rata costante con gli oneri che la modalità di rimborso inevitabilmente comporta» (p. 21): così eludendo ogni indagine in tema di testo, contesto e funzione della norma dell'art. 117 TUB. Il punto, in effetti, è proprio quello di informare il cliente se il mutuo è o meno con ammortamento alla francese e se la restituzione de capitale segue una progressione geometrica o invece aritmetica. 

Non vale sostenere, per argomentare l'esigenza di un passaggio a monte sulla figura in quanto tale dell'ammortamento alla francese, che «le questioni che attengono alla possibile nullità del contratto sono rilevabili di ufficio» (così invece la Memoria ex art. 378 c.p.c. della Procura, p. 10): le questioni attinenti al rispetto sia del precetto dell'art. 1346 c.c., che di quello dell'art. 117 TUB, pure sono di nullità e già risultano introdotte nel contesto del giudizio su cui, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 363 bis c.p.c., è destinata a incidere la decisione delle Sezioni Unite.

Non resta, a questo punto, che augurarsi che le Sezioni Unite non si facciano in alcun modo «contaminare» da una prospettiva così deviante dall'oggetto reale del thema decidendum e, quindi, intrinsecamente fuorviante.

(Segue): l’intervento della Corte di Appello di Trieste 

Rispetto alla decisione, che si attende dalle Sezioni Unite, l’ordinanza triestina si pone nei termini dell’intervento di tipo anticipatorio. Non tanto nel senso che, stabilendo la CTU di ricalcolo degli interessi, ne «anticipa» un possibile esito (nei fatti, la consulenza tecnica potendo essere disposta, sullo specifico tema, in via di «mera prudenza»), quanto piuttosto nel senso che sembra dare per sicuro che le Sezioni Unite entreranno nel merito delle questioni: cosa, per vero, non poi così scontata. Nell’ambito del processo a quo il rinvio pregiudiziale alla Cassazione era stato disposto senza una previa audizione delle parti del giudizio: secondo la Memoria della Procura il rinvio dovrebbe, per questa ragione, essere dichiarato inammissibile.

Ciò posto, in materia è ancora da segnalare come correttamente l’ordinanza triestina disponga che la consulenza provveda a formulare due distinti piani di ricalcolo:

  • uno «applicando i soli interessi al tasso legale ex artt. 1346 e 1284 c. 1 e 3 c.c.»;
  • l’altro applicando il tasso sostitutivo di cui all’art. 117 c. 7 TUB».

Nel caso si ritenga nella specie violato il disposto dell’art. 1346 c.c., la nullità, che ne consegue, appartiene al novero delle nullità di diritto comune, senza che si renda allora utilizzabile il rimedio sostitutivo specificamente predisposto per la sola ipotesi della violazione della normativa di trasparenza (cfr. Cass. 18 giugno 2020 n. 11876).

Tasso Euribor «manipolato»: il fermento corrente nei giudici del merito

Per il tema dell'Euribor viziato l'ordinanza della Corte triestina si pone come pienamente attuativa dei dicta contenuti nel recente intervento della Cassazione (Cass., 13 dicembre 2023, n. 34889, a cui fa seguito adesso la pronuncia di Cass. 13 febbraio 2024, n. 4001; cfr. il prossimo paragrafo). Sia nel senso che ne recepisce l'idea base della nullità del contratto «a valle» del comportamento anticoncorrenziale, pur ove concluso da banca non partecipe al fatto vietato. Sia pure nel senso che circoscrive la misura della sanzione al solo periodo di effettivo svolgimento della manipolazione (rectius: che lega la valutazione dell'invalidità ai soli effetti contrattuali inerenti al periodo temporale di compimento della manipolazione). 

Il riscontro è importante. Anche perché - va subito sottolineato – la tematica ora in discorso sta in questi giorni venendo ad agitare il campo dei giudici del merito.

Sul piano decisorio, la sentenza della Corte di Appello Cagliari, sez. dist. di Sassari (App. Cagliari 18 gennaio 2024) ha pienamente aderito ai convincimenti appena sopra riferiti. Notizie di stampa riferiscono poi di provvedimenti istruttori analoghi a quello adottato dalla Corte triestina, come presi dalla Sesta Sezione del Tribunale di Milano (cfr. Il Sole 24 ore Plus 24, 17 febbraio 2024, p. 15).

Dall'altro lato, la pronuncia del Tribunale di Torino in oggetto (Trib. Torino 29 gennaio 2024) ha dichiarato – in consapevole contrasto con il provvedimento del Supremo Collegio – che intende comunque dare continuità al proprio orientamento contrario a ritenere la sanzione della nullità per il caso dell'Euribor viziato. E già sembra cominciare a serpeggiare l'opinione che, per la soluzione «definitiva» della questione, invoca l'intervento delle Sezioni Unite (pur se, per la verità, la recente, e assai motivata, sentenza Cass. SU 30 dicembre 2021 n. 41994, ha già esaminato funditus le radici della materia, con riferimento al caso delle fideiussioni ABI).      

Detto questo, va subito esplicitato pure che la vicenda, di cui all'Euribor viziato, viene propriamente a proporsi per tutti i finanziamenti (mutui, leasing, ecc.) che siano stati concessi da imprese operanti nel settore del credito (intermediari ex art. 106 TUB ovviamente compresi, quand'anche non muniti della prescritta autorizzazione).   

(Segue): il «fatto manipolativo» e l'arresto di Cass. 13 dicembre 2023 n. 34889 (con l'addizione di Cass. 13 febbraio 2024 n. 4001)

È bene, peraltro, procedere con ordine. Del resto, la vicenda è ben nota e bastano, dunque, poche battute.

La Commissione Antitrust Europea, con decisione del 4 dicembre 2013, ha accertato che:

(i) la determinazione del tasso Euribor, compiutasi nel periodo corrente tra il settembre 2005 e il maggio 2008, era in realtà frutto di attività manipolative poste in essere da una serie di banche di primo livello, riunite in un cartello;

(ii) tali attività avevano comportato un falso innalzamento del livello del tasso;

(iii) i relativi comportamenti comportavano, nel concreto, la violazione del principio di libera concorrenza sancito dall'art. 101 TFUE. Regola, questa, che – va inoltre aggiunto – trova riscontro, nel nostro diritto interno, nella disposizione di cui all'art. 2 L. 287/1990.    

Posta di fronte a una fattispecie concreta che evocava in modo diretto la detta problematica, la pronuncia di Cass. 13 dicembre 2023 n. 34889 (richiamando in via segnata i precedenti di Cass. SU 4 febbraio 2005 n. 2207, Cass. 12 dicembre 2017 n. 29810Cass. 1° febbraio 1999 n. 827) ha espresso, in particolare, gli enunciati di fondo qui in appresso riportati.

Con la normativa antitrust il legislatore ha inteso «proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche; il che può anche essere frutto di comportamenti non negoziali … Da ciò consegue che, allorché [l'art. 2 L. 287/1990] stabilisce la nullità delle intese non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all'eventuale negozio giuridico originario postosi all'origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza».   

La decisione della Commissione Antitrust Europea deve «considerarsi prova privilegiata … a supporto della domanda volta alla declaratoria di nullità dei tassi manipolati e alla rideterminazione degli interessi nel periodo coinvolto dalla manipolazione, prescindere dal fatto che all'intesa illecita avesse o meno partecipato la banca [convenuta in giudizio], giacché raggiunta dal divieto di cui all'art. 2 L. 287/1990 e qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte». 

A sua volta, la recentissima pronuncia Cass. 13 febbraio 2024 n. 4001 – pur avendo ritenuto che la mancata allegazione dei fatti da parte del ricorrente  rendeva «non … possibile accertare d'ufficio la sussistenza delle dedotte nullità» - ha comunque osservato che «il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto a una scelta effettiva tra i prodotti in concorrenza», pure aggiungendo che «il cosiddetto contratto a valle  costituisce lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti».   

(Segue): uno sguardo alla letteratura sulla sorte del contratto «a valle»

Sul tema generale delle conseguenze sui contratti «a valle» delle intese vietate perché anticoncorrenziali, la dottrina è da tempo (come pure tuttora) divisa.

Secondo una certa lettura, tali contratti sarebbero comunque validi, la condotta di violazione solo esponendo la relativa impresa a un obbligo risarcitorio nei confronti dei partner dei contratti a valle (ove, naturalmente, si sia prodotto un danno ai sensi dell'art. 1223 c.c.). A sostegno di tale tesi si osserva, principalmente, che il testo della legge antitrust prevede la nullità solo per i contratti «a monte» (argomento a contrario); che la previsione della nullità appare «eccessiva», ponendo le imprese convolte nelle intese vietate a rischio della loro sopravvivenza economica; che i contratti «a valle» non esprimono, di per sé, alcun disvalore, risultando neutri al riguardo: il contrasto con la normativa imperativa di legge cogliendosi solo nel fatto della reiterazione, da parte di tutti gli aderenti al cartello, di contratti coerenti con il programma di azione comune e anticoncorrenziale.

Sul fronte opposto (della nullità dei contratti «a valle»), si fa leva sull'esigenza di una lettura sistematica della legge antitrust, pure constatando che il sistema vigente conosce come regola anche quella della c.d. nullità virtuale e altresì sottolineando come la normativa di tutela della concorrenza appartenga all'ordine pubblico economico del sistema, rispondendo al primario valore dell'efficienza dell'agire imprenditoriale (l'argomento del «rischio di rovina» dell'intermediario si sostanzia, ove considerato ex ante, nell'incentivare proprio i comportamenti intesi a violare i precetti di legge).

Pure è da segnalare che l'intesa a monte (tra gli aderenti al cartello) produce solo effetti obbligatori: nel senso, appunto, che, di per sé, essa intenderebbe produrre l'obbligo degli aderenti di dare esecuzione ai contenuti determinati nell'intesa. Ma l'«effetto reale» della restrizione e falsificazione della concorrenza, di cui all'art. 2 L. 287/1990 risulta posto in essere solo dai contratti «a valle»: sinché si permane sul piano del mero obbligo – volendo, dell'inadempimento di questo da parte degli aderenti – l'effetto distorsivo non si produce (in sé, il patto tra aderenti al cartello è vietato perché promette una futura distorsione concorrenziale). Ciascun contratto «a valle», che venga nel concreto stipulato sulla base dell'intesa vietatala, concorre, d'altra parte, a produrre il risultato finale, come distorsivo del regolare svolgimento del mercato.   

Sul piano del diritto vivente, comunque, il problema appare di per sé stesso risolto – nella sua dimensione generale, appunto - dalla (già citata) sentenza Cass. SU 30 dicembre 2021 n. 41994, che non ha avuto esitazione nel ritenere che la nullità dei contratti «a valle» risulta imposta dalle «ragioni inerenti alle specifiche finalità della normativa antitrust».         

Con peculiare riferimento al caso dell'Euribor manipolato, a supporto della tesi della permanente e integrale validità dei contratti «a valle» si è detto che nella specie difetta – a differenza di quanto accaduto nella fattispecie delle fideiussioni ABI (esaminate dalle Sezioni Unite or ora richiamate) - una posizione collettiva comune dell'intero ceto bancario nei confronti della clientela; e, inoltre, che il tasso fissato nel patto «a valle» non risulta determinato dal solo Euribor, ma dall'indice più lo spread.

Non sembra, tuttavia, che questi rilievi vengano a cogliere nel segno. In effetti, nella prospettiva della tutela della concorrenza a contare è l'incidenza dell'intesa vietata sui termini di svolgimento del relativo mercato di riferimento (incidenza che, nel caso in questione, è stata deflagrante). Non può negarsi, d'altra parte, che la misura dell'Euribor fissata tempo per tempo sia parte costitutiva – e determinante – del tasso d'interessi pattuito nel contratto «a valle» (la relativa clausola risultando, appunto, così eterointegrata) e applicato nel rapporto relativo.     

Altri ha sostenuto, poi, che l'intesa nel concreto vietata non concerneva direttamente l'Euribor, toccandolo solo in via riflessa. Non sembra, tuttavia, che l'effetto distorsivo della concorrenza vada identificato alla stregua dei criteri delineati dall'art. 1223 c.c. per il nesso di causalità; né può essere in discussione che la detta intesa abbia prodotto un'alterazione falsificante del parametro Euribor (rispetto alla diffusa applicazione del medesimo, corrente nel contesto dei finanziamenti bancari).    

(Segue): la questione della partecipazione dell’impresa all’intesa vietata

Nella vicenda passata al vaglio della Cassazione, la banca - se aveva predisposto la clausola d’interessi come eterointegrata dall’Euribor viziato - non aveva tuttavia partecipato al cartello produttivo dell’intesa vietata.

Ad avviso della citata pronuncia del Tribunale di Torino (come pure di parte della giurisprudenza di merito formatasi prima dell’intervento del Supremo Collegio), una simile circostanza vale da sola a escludere la nullità del contratto «a valle».

La Cassazione però – si è visto sopra – ha manifestato la soluzione (: la mancata partecipazione dell’intermediario all’intesa vietata non è causa di esonero dalla nullità). Ed è davvero difficile, a mio avviso, non convenire con quest’ultima tesi.

In realtà, la nullità dei contratti a valle si verifica in ragione del fatto oggettivo che – nel testo dei contratti predisposti dalla banca - è stata prevista la clausola «parametro Euribor» e che, nel relativo periodo di riferimento, questa clausola, come «eterointegrata in modo illecito», ha poi trovato effettiva e reale applicazione (anche) nell’operatività della detta banca. È proprio questa, in effetti, la circostanza che viene a realizzare l’effetto distorsivo della concorrenza e del mercato.

D’altra parte, che la condotta di cui al cartello vietato sia stata realizzata da un gruppo di banche, non esclude affatto che le altre - che non sono state coinvolte in questi comportamenti - non abbiano poi utilizzato un tasso che non avrebbero dovuto (e potuto) applicare. Soprattutto, il problema dell’invalidità dei contratti «a valle» – quale necessario «braccio esecutivo» dell’effetto distorsivo della concorrenza – non attiene a una meccanica valoriale di comportamenti soggettivi (come dati dalla partecipazione all’intesa vietata e/o dal compimento degli atti manipolativi), quanto piuttosto all’impatto distorsivo, e oggettivo, che la praticata applicazione di questi contratti viene, nel suo complesso, a determinare sul mercato. Alla prospettiva antitrust resta del tutto estraneo, cioè, il punto di un’eventuale «male fede» dell’impresa che, nel periodo in questione, ha utilizzato l’Euribor «eterointegrato in modo illecito».

Non solo. La tesi opposta trascura il dato fondamentale che le imprese bancarie, che non hanno partecipato all’intesa vietata, dispongono (ove incolpevoli) di un’azione risarcitoria nei confronti delle imprese invece partecipi del cartello in ragione dei danni loro arrecati dalle restituzioni spettanti ai clienti. Peraltro, una simile constatazione viene pure a disvelare una diversa, e feconda, linea prospettica. Attenendo alla concorrenza del mercato, in effetti, la questione non può essere considerata e trattata come fosse un’ordinaria vicenda di diritto comune, inteso quest’ultimo come insieme espressivo delle regole concepite e tradizionalmente dettate per i c.d. atti isolati (estranei, cioè, all’esercizio di un’attività d’impresa e alla sue dinamiche connotative; e qui, perciò, estranei all’esercizio dell’impresa del credito).  

Nella traiettoria assorbente della concorrenza del mercato, non può essere in alcun modo dimenticato o sottovalutato, cioè, che anche le imprese non partecipanti fanno parte della stringa formativa dell’offerta del servizio del credito al mercato. Assunta questa prospettiva, appare sicuramente corretto,  che la struttura rimediale venga ad articolarsi in modo da consegnare agli utenti dell’offerta (alla domanda del servizio del credito) lo strumento più snello e immediato (quale è quello della nullità), lasciando poi al lato dell’offerta il «compito» di ripartirsi – nell’interno del suo «corpo» - le relative responsabilità (a mezzo risarcimenti).     

(Segue): nullità parziale e «temporanea» del contratto «a valle»

Secondo la pronuncia di Cass. 13 dicembre 2023 n. 34889 la presenza nel contratto «a valle» dell’illecita integrazione dell’Euribor profila un caso di nullità parziale: il contratto resta in piedi, alla clausola illecita sostituendosi il regime della legge comune (come appunto fissato dalla norma dell’art. 1284 c.c.). La nullità, inoltre, comunque si «estende» (se così si può dire) per il solo periodo in cui l’Euribor risulta viziato; non vale, dunque, per tutta la durata del rapporto: prima dell’ottobre 2005 e dopo il maggio 2008 la clausola Euribor mantiene intatta la sua efficacia (salvo, naturalmente, l’operare del ricalcolo).

Anche su questi punti l’ordinanza istruttoria della Corte triestina risulta pienamente allineata. Compatto in questa direzione è, del resto, tutto l’orientamento che – per la fattispecie dell’Euribor viziato – predica la nullità del contratto «a valle».

Si tratta, in effetti, di due punti fermi del dibattito attualmente vissuto dalla materia: come pure dati – questa almeno è l’impressione – un po’ per scontati.

Ora, non è certo questa la sede idonea ad approfondire aspetti così importanti e delicati, tanto per il profilo operativo, quanto per quello dommatico.

Qui si può solo accennare – quanto al punto della nullità parziale – che la norma dell’art. 1419 c.c. esigerebbe, per sé, un giudizio di eventuale propagazione della nullità dalla clausola (che, nella specie in esame, partecipa in modo diretto all’oggetto negoziale) alla intera convenzione; e che, inoltre, il transito alla sostituzione automatica di clausole, di cui all’art. 1419 c. 2 c.c., sembrerebbe supporre una lettura piuttosto forte del comma 2, o del comma 3, dell’art. 1284 c.c. (nessun ausilio dà, in proposito, l’ordinanza istruttoria della Corte di Appello di Trieste; per altro verso, un’applicazione analogica del rimedio ex art. 117 c. 7 TUB parrebbe difficilmente predicabile, la sostituzione automatica di regola operando per ipotesi specifiche).

La soluzione della nullità «temporanea» risponde – è chiaro - alla logica dell’intervento di legge, questo misurandosi appunto sull’effettiva durata della distorsione anticoncorrenziale. Va peraltro segnalato che - sotto il profilo dogmatico – la stessa viene a conformare un’ipotesi che va (anche) oltre quella della nullità sopravvenuta (figura che parte della letteratura ha faticato non poco, per quanto a torto, a digerire): qui la nullità è proprio «a termine». Inevitabile, di conseguenza, si manifesta il richiamo alla nullità «trimestrale» dell’usura c.d. sopravvenuta e alle problematiche che questa aveva suscitato nel contesto del diritto vivente (sin quando la figura non venne stoppata, per la fattispecie del contratto di mutuo almeno, dalla sentenza di Cass. SU 19 ottobre 2017 n. 24675).    

Ciò posto, non pare comunque inopportuno osservare come la soluzione della nullità parziale e temporanea non venga a nutrire di particolari vantaggi la posizione della domanda di mercato. Basta pensare, nei fatti, al caso in cui il rapporto abbia già esaurito la sua durata al tempo della domanda giudiziale.            

(Segue): contratto a valle «a tasso variabile» e «a tasso fisso»

Sotto il profilo operativo, la tematica dell’Euribor viziato si volge propriamente al tipo di fattispecie costituito dai finanziamenti a tasso variabile. Non è detto., tuttavia, che la stessa non venga a coinvolgere, nella dinamica del suo concreto sviluppo, anche i finanziamenti a tasso fisso.

In sé, per la verità, il punto appare molto delicato. Nei fatti, l’effetto distorsivo della concorrenza rimonta, in radice, alla decisione dell’impresa di concedere credito facendo riferimento, per la misura del corrispettivo preteso, al parametro dato dall’Euribor: in quanto tale, l’effetto appare indipendente da una previsione contrattuale che espliciti la dipendenza della misura del compenso dal dato rappresentato dall’Euribor. Certo, se la remunerazione è a tasso fisso, la stessa non segue le successive evoluzioni, ed eventuali manipolazioni, del relativo parametro (salvo, peraltro, che l’impresa abbia provveduto diversamente, a mezzo del ricorso allo strumento predisposto nell’art. 118 TUB): un simile rilievo vale, peraltro, solo a ridurre la dimensione temporale del fenomeno, non già a escluderlo.

Comunque sia, la rilevanza di tale circostanza – per cui la misura del tasso contrattuale è stata nel concreto costruita sulla base dell’Euribor corrente all’epoca – passa attraverso una prova che è a carico dell’attore e che sembrerebbe di notevole difficoltà, in quanto tipicamente affidata a meccanismi presuntivi. Salvo il caso, tuttavia, in cui la presenza dell’Euribor tra le componenti costitutive del tasso adottato (pur destinato a rimanere fisso) non sia stata comunque esplicitata nell’ambito del testo contrattuale.

(Segue): il punto della prescrizione

Sui social di prima informazione della questione dell'Euribor manipolato è molto frequente il richiamo al tema della prescrizione, talvolta anche sostenendosi che il termine decennale viene a correre dalla stipula del contratto di finanziamento. Nel chiudere il lavoro, conviene quindi fermarsi brevemente su questo tema.

Com'è naturale, l'azione di accertamento della nullità non è soggetta a prescrizione. Ugualmente non soggetta a prescrizione è l'eccezione di non debenza che il cliente sollevi di fronte alla richiesta di pagamento che sia avanzata dall'impresa creditrice. Soggetta prescrizione è, dunque, solo l'azione restitutoria che il cliente formuli nei confronti dell'intermediario: se trattasi di finanziamento regolato in conto corrente, con decorrenza – è da opinare - dal giorno di chiusura del conto per i conti deposito e per i conti affidati; dal giorno del pagamento indebito, per i conti invece scoperti. Corretto è poi ritenere che la durata del termine prescrizionale sia decennale: l'azione di cui si discute, in effetti, si intitola nella ripetizione di indebito e, come tale, non pare in alcun modo equiparabile a quella di riscossione della prestazione d'interessi a cui fa riferimento la disposizione dell'art. 2948 c.c.       

Nota dell'Autore

L’art. 8, comma 4, del Codice deontologico per i componenti dell’Organo decidente prescrive che «nell’ambito di contributi scientifici o accademici in materie attinenti all’ufficio ricoperto, i componenti dei collegi chiariscono che le opinione espresse hanno carattere personale e non rappresentano la posizione del collegio». Per quanto possa occorrere, l’autore del presente saggio provvede in tal senso.

Primi riferimenti bibliografici

  • Sul fenomeno dell’ammortamento alla francese (nei confronti del quale l’attenzione della letteratura non può dirsi particolarmente risalente) possono reperirsi ampie indicazioni bibliografiche in Marzullo, L’ammortamento alla francese, vecchi problemi, nuove questioni: note su un dialogo tra diritto e matematica che continua a essere difficile, in Giustizia insieme, 5 gennaio 2024. Sulle tematiche poste oggi all’esame delle Sezioni Unite si possono vedere, tra gli altri, Semeraro, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità; Natoli, I mutui con ammortamento alla francese, aspettando le Sezioni Unite; Marcelli, Mutuo con ammortamento alla francese. Si susseguono tesi dottrinali con rilevanti divergenze; Carlomagno, L’ammortamento alla francese verso l’esame delle Sezioni Unite, fra la matematica e il diritto, tutti in Diritto bancario. Dialoghi; Dolmetta, Ammortamento alla francese e prescrizione di «forma-contenuto» ex art. 117, comma 4, TUB, in Banca, borsa, tit. cred., 2023, II. I lavori del Convegno tenutosi presso la Corte di Cassazione il 31 gennaio 2024 sono reperibili su You Tube.
  • Sul tema della sorte dei contratti «a valle» delle intese vietate perché anticoncorrenziali si possono consultare, nell’ambito degli studi più recenti, Diodato, La nullità «speciale» dei contratti a valle di un’intesa anticoncorrenziale e la frantumazione della categoria della nullità, in Jus, 2022; Guizzi, I contratti a valle delle intese restrittive della concorrenza, in Contratti, 2021; Longobucco, Contratti bancari e normativa antitrust, in AA.VV., Contratti bancari a cura di Capobianco, ed. 2, Milano 2021; Dolmetta, Fideiussioni bancarie e normativa antitrust: l’«urgenza» della tutela reale; la «qualità» della tutela reale, in Riv. dir. banc., 2022, II; Renna, Fideiussioni omnibus e intesa antitrust: nessi, rimedi e prove, in Riv. dir. impresa, 2023; Montanari, Sulla tutela provata antitrust dopo le Sezioni Unite n. 41994/2021, in Nuova giur. civ. comm., 2022, II.
  • Il dibattito sullo specifico tema della sorte dei contratti «a valle» della vietata intesa dell’Euribor sta, in buona sostanza, appena sbocciando (da tenere in conto, peraltro, sono gli interventi svolti nel convegno «Manipolazione dell’Euribor e nullità della clausola degli interessi», Diritto bancario, 20 febbraio 2024). La pronuncia di Cass. 13 dicembre 2023, n. 34889 è commentata su questo Portale da Amendola, Contratto di leasing e tasso Euribor: gli adempimenti formali e il pharmakon della nullità da intese vietate. La sentenza della Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, 18 gennaio 2024, è commentata da Mandico, Nullità dei tassi Euribor (applicati nel periodo 29 settembre 2005 – 30 maggio 2008), in Dir. risparmio, 2 febbraio 2024.

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