Danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito

La Redazione
22 Febbraio 2024

In tema di danno non patrimoniale risarcibile, iure haereditatis, in caso di morte causata da un illecito, la tassonomia invalsa che distingue tra varie voci di danno (danno biologico terminale, danno morale terminale, danno catastrofale o catastrofico, danno da lucida agonia) risponde ad una esigenza meramente descrittiva e non viene a configurare delle categorie giuridiche.

In tema di danno non patrimoniale risarcibile, iure haereditatis, in caso di morte causata da un illecito, la tassonomia invalsa che distingue tra varie voci di danno (danno biologico terminale, danno morale terminale, danno catastrofale o catastrofico, danno da lucida agonia) risponde ad una esigenza meramente descrittiva e non viene a configurare delle categorie giuridiche. A tal fine, infatti, ciò che rileva è la reale fenomenologia del pregiudizio ed è sotto tale profilo che, pur nell'unitarietà della liquidazione del danno non patrimoniale, si diversificano le conseguenze dannose risarcibili, le quali, dunque, se effettivamente sussistenti, sono tutte da riconoscere, senza che si verifichi una duplicazione risarcitoria ingiustamente locupletativa.

In siffatta prospettiva, la giurisprudenza, assumendo a fondamento la reale fenomenologia dei pregiudizi alla persona, ha comunque tradotto l'anzidetta esigenza meramente descrittiva nei seguenti termini: a) il "danno biologico terminale" è un pregiudizio alla salute, da invalidità temporanea sebbene massimo nella sua entità ed intensità, da accertarsi con criteri medico-legali e da liquidarsi comunque, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, se tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; b) il "danno catastrofale" (o anche detto: "danno morale terminale", "danno da lucida agonia"), consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell' intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando, ai fini della liquidazione in via equitativa in base alle specificità del caso concreto, soltanto l'intensità della sofferenza medesima".

Orbene, nel caso in esame, sulla base dei predetti principi, può essere innanzitutto riconosciuto il c.d. danno biologico terminale per tutto il periodo della degenza della sig.ra M. presso la struttura convenuta dal 13.8.2012 data a partire dalla quale si può ritenere che il ricovero per l' intervento neurochirurgico si sia prolungato in ragione dell' insorgenza infettiva al 7.10.2012 data del decesso: quindi ricovero che se l' infezione non fosse stata contratta, non si sarebbe reso necessario, per un totale complessivo di gg. 55. Tale danno può essere liquidato tenuto conto del criterio stabilito (nelle Tabelle in uso presso questo Tribunale) per l'inabilità temporanea assoluta (pari ad Euro 128,07 * 55 giorni), per un totale di Euro 7.043,85 somma questa da decuplicarsi, in via equitativa, a Euro 70.438,50, perché tale danno, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, ed è relativo agli ultimi giorni di vita della sig.ra M. che ha subito un susseguirsi drammatico di trattamenti, interventi (v. da ultimo il 28.9 e il 2.10), terapie sino alla morte.

Quanto al danno morale terminale (o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico), occorre ribadire - come sopra meglio precisato - che, affinché tale danno sia risarcibile, è necessaria la prova della percezione della morte imminente da parte del soggetto leso. Orbene, nel caso di specie, dall'esame della documentazione medica in atti e della consulenza tecnica d'ufficio, può ritenersi raggiunta la prova della percezione della morte imminente da parte del soggetto leso a partire dal 20.9.2012 in cui si registra un peggioramento irreversibile delle sue condizioni di salute definite "estremamente critiche" (pag.101 cartella), dopo il lieve miglioramento registrato nei giorni precedenti con una paziente in condizioni cliniche scadute, ma vigile e collaborante tanto da essere sottoposta a intervento chirurgico il successivo 21.9.2012 (pag. 32, pag. 264) e tale deve essere rimasta fino al giorno 1.10.2012 quando la paziente risulta sedata e intubata (pag.270) e le sue condizioni sono definite "gravissime" il 3.10.2012 (pag. 103) Nell' indicato intervallo temporale di 9 giorni (dal 22.9.2012 al 30.9.2012) le condizioni generali della sig.ra M. si sono, infatti, velocemente e gravemente degenerate, ma era rimasta vigile, come si evince dalle cartelle cliniche in atti, potendo percepire la morte imminente.

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