Controlli del g.e. sulla vessatorietà delle clausole dei contratti posti a fondamento del d.i. non opposto
29 Febbraio 2024
Massima “Il giudice dell'esecuzione: a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo; b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine; c) dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo; d) fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito;” “AVVISA i debitori esecutati opponenti che: -laddove abbiano concluso il contratto di cui in premessa come consumatore, potranno, a mezzo di difensore, proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. - per far valere esclusivamente l'eventuale abusività delle clausole del contratto concluso con il professionista che incidano sulla esistenza e/o sulla quantificazione del credito oggetto del decreto ingiuntivo azionato - dinanzi all'ufficio giudiziario che ha emesso il decreto ingiuntivo nel termine di 40 giorni decorrente dalla notifica del presente provvedimento unitamente ai documenti di cui infra; - - ove non esercitino tale facoltà nel termine assegnato, sarà loro preclusa ogni contestazione relativa al credito portato dal decreto ingiuntivo di cui in premessa; RITENUTO che nella delibazione sommaria tipica di questa fase il rapporto posto alla base del titolo di credito qui azionato appare adombrare il possibile integrarsi di clausole abusive; DISPONE che il creditore notifichi ai debitori esecutati ex art. 137 e ss. c.p.c., ovvero presso il procuratore legale per essi costituito nella presente procedura, il presente avviso unitamente al decreto ingiuntivo, al contratto e agli altri allegati a suo tempo depositati con il ricorso monitorio entro il termine di 40 giorni decorrenti dalla comunicazione del presente provvedimento, depositando la prova dell'avvenuta notifica nel fascicolo; AVVERTE il creditore che, in caso di non puntuale ottemperanza alla disposta notifica, gli sarà preclusa ogni forma di utile partecipazione alla presente procedura esecutiva in base al decreto ingiuntivo azionato; INVITA la parte interessata a dare tempestiva comunicazione al GE della pendenza dell'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. e degli eventuali provvedimenti assunti dal giudice investito da detta opposizione che incidano sulla efficacia esecutiva del titolo azionato riservando all'esito ogni opportuno provvedimento.” Il caso Un creditore intraprendeva l'esecuzione forzata in danno della società debitrice principale e dei garanti di quest'ultima, avvalendosi quale titolo esecutivo di un Decreto Ingiuntivo entro il termine perentorio di 40 giorni di cui all'art. 641 c.p.c. Il Giudice dell'esecuzione, rilevata sulla base delle allegazioni delle parti, nonché della documentazione agli atti di causa – o, meglio, dell'assenza di una visura camerale relativa alla compagine sociale della società debitrice principale – l'impossibilità di escludere in capo ai garanti esecutati, persone fisiche, la qualifica di “consumatore” ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a), del Codice del Consumo, nonché tenuto conto del fatto che il titolo posto a fondamento dell'esecuzione forzata, cioè un Decreto Ingiuntivo non oggetto di opposizione, procedeva secondo le modalità individuate dalla Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite con la sentenza n. 9479 del 2023. Quindi il G.E., dopo avere ravvisato l'assenza di motivazione del provvedimento monitorio in ordine all'abusività o meno delle pattuizioni contenute nel contratto in forza del quale era stato chiesto ed ottenuto il Decreto Ingiuntivo, al fine di assicurare l'effettività della tutela del consumatore-opponente di cui alla Direttiva 93/13 ed all'articolo 191 TFUE, ed avere esercitato il controllo sommario circa la presenza di eventuali clausole vessatorie produttive di effetti sull'esistenza e/o ammontare del credito oggetto di ingiunzione (e, poi, esecuzione), propendendo per la possibile sussistenza di profili di vessatorietà, provvedeva ad informare le parti ed il debitore esecutato che entro il termine di 40 giorni avrebbero potuto proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. per far accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole e fino alle determinazioni del Giudice della cognizione (i.e.: dell'opposizione), rinviando per verificare le determinazioni adottate dal G.I. investito dell'eventuale opposizione ai sensi dell'art. 649 c.p.c., riservando all'esito l'adozione di ogni provvedimento opportuno. La questione L'ordinanza in esame concerne due questioni di grande rilevanza per gli operatori giuridici. La prima riguarda l'accertamento della qualifica di “consumatore” in capo alle persone fisiche, nonché la modalità per effettuare tale controllo, “ratione materiae” ai fini dell'applicazione della disciplina di cui al d.lgs. n. 206/2005 e delle relative tutele. La seconda concerne, invece, i poteri-doveri del giudice dell'esecuzione laddove innanzi allo stesso venga intrapresa una procedura esecutiva in forza di un decreto ingiuntivo non oggetto di opposizione entro il termine perentorio di cui all'art. 641 c.p.c. da parte del debitore esecutato, allorquando il titolo esecutivo, consistente appunto nel provvedimento monitorio, sia fondato su un contratto stipulato dal consumatore contenente clausole abusive, rispetto alle quali, dalla motivazione del Decreto Ingiuntivo – assente o che, comunque, pur presente non tocchi tutte le pattuizioni rilevanti ai fini dell'esistenza e dell'ammontare della pretesa creditoria – non risulta essere stato effettuato il controllo d'ufficio circa la loro abusività ad opera del Giudice investito del ricorso monitorio. Le soluzioni giuridiche Con il provvedimento in commento il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice dell'esecuzione, risulta avere fatto piana applicazione dei principi di recente enucleati dalla giurisprudenza di legittimità. Avuto riguardo all'accertamento dello status di “consumatore” in capo alle persone fisiche-opponenti, esecutate in qualità di garanti infatti, il Tribunale felsineo ha constatato che sulla base delle allegazioni delle parti, nonché della documentazione agli atti di causa, non fosse possibile escludere la riconducibilità alle stesse della qualifica, appunto, di “consumatore”. Ciò, in particolare, valorizzando da un lato l'assenza di una visura camerale riferibile alla società cooperativa debitrice principale che consentisse di verificare se i garanti rivestissero cariche sociali al suo interno (es. amministratori) o fossero soci della stessa, e dall'altro, il fatto che lo stesso creditore procedente nel ricorso per decreto ingiuntivo avesse qualificato uno dei garanti come Presidente e legale rappresentante p.t. della società debitrice principale, mentre l'altro garante veniva indicato soltanto come coniuge di quest'ultimo, con impossibilità dunque di qualificarlo “alla stregua di “consumatore”, come tale soggetto alla disciplina consumeristica ed alle relative tutele. La soluzione percorsa dal G.E. nell'ordinanza che qui si annota attua quanto sancito dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (pronunce adottate nella causa c - 74/15 e nella causa c - 534/15), che ha ritenuto (proprio in relazione a fattispecie relative a garanzie sia fideiussorie, sia reali, costituite da terzi) che le "regole uniformi concernenti le clausole abusive devono applicarsi a "qualsiasi contratto" stipulato tra un professionista e un consumatore, che l'"oggetto del contratto è quindi irrilevante"; che "è dunque con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell'ambito della loro attività professionale, che la direttiva n. 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica". Per la Corte di Lussemburgo, il "contratto di garanzia o di fideiussione, sebbene possa essere descritto... come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che garantisce", "dal punto di vista delle parti contraenti esso si presenta come un contratto distinto quando è stipulato tra soggetti diverso dalle parti del contratto principale". La CGUE, quindi, pur riconoscendo la natura “accessoria” del contratto di fideiussione, al fine di assicurare la realizzazione delle finalità della Direttiva in materia di contratti di consumatori e, in particolare, di garantire un'adeguata tutela ad un contraente ontologicamente “debole” quale è, appunto, il consumatore, ha sancito che occorre sempre e comunque accertare se la fideiussione sia stata rilasciata dal garante nell'ambito dell'attività professionale oppure per finalità ad essa estranee. Sulla scia della giurisprudenza sovranazionale la Corte di Cassazione ha quindi superato la precedente tesi secondo cui il garante va qualificato, “ratione materiae”, allo stesso modo del debitore principale, sulla base di due argomenti. In primo luogo, per la necessità di assicurare il rispetto dell'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea e di realizzare il diritto euro-unitario. In secondo luogo perché, pur non potendosi negare la naturale accessorietà della fideiussione, è altresì vero che essa non può arrivare a incidere sulla qualificazione dell'attività - professionale o meno - di uno dei contraenti; né tantomeno, l'accessorietà può “trasformare” un soggetto, il fideiussore, in un altro soggetto, cioè il debitore principale. Anche la Suprema Corte sembra avere definitivamente abbandonato la teoria del cd. “rimbalzo”, secondo la quale il fideiussore non sarebbe autonomamente definibile quale consumatore o professionista, dipendendo il suo inquadramento nell'una o nell'altra categoria dalla qualità che riveste il debitore principale. Infatti, Cass. civ., sez. VI-I, n. 742/2020, ha affermato “che nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l'applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla CGUE con sentenze del 19 novembre 2015, C-74/15, Tarcau, e del 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitras, dovendo ritenersi, pertanto, consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere ritenuta strettamente funzionale al suo svolgimento. Ne consegue che il fideiussore è qualificabile come consumatore anche se stipula il contratto per garantire il debito contratto da un terzo imprenditore o professionista, nell'esercizio dell'impresa o della professione di questo.” Tale orientamento è stato poi ribadito da Cass. civ., sez. VI-I, n. 1666/2020, che, in ordine ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio a garanzia di un debito della società, ha affermato che i requisiti soggettivi per l'applicazione della disciplina consumeristica in capo al socio debbono essere valutati in base alle parti del contratto di fideiussione, senza alcuna rilevanza della qualità soggettiva del debitore principale e, per escludere che il socio sia in sostanza il portatore dell'interesse della società, rileva la entità della sua partecipazione sociale ed anche il fatto che, al tempo della conclusione del contratto di fideiussione, ricoprisse o meno la carica di amministratore della società garantita. Una volta appurata non già la qualifica di “consumatore” dei garanti-opponenti, bensì la possibilità che questi rivestano tale qualifica ai sensi e per gli effetti dell'applicabilità nei loro confronti degli strumenti rimediali contenuti nel Codice del Consumo, il Tribunale di Bologna, quale Giudice dell'esecuzione, ha poi agito seguendo alla lettera il “dictum” delle Sezioni Unite Civili di cui alla sentenza n. 9479 del 2023. Facendo proprio il decalogo della Suprema Corte nella sua composizione allargata laddove innanzi al G.E. venga ad essere portato quale titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. un decreto ingiuntivo non opposto entro il termine perentorio di 40 giorni dalla sua notifica, allorquando la “causa petendi” a fondamento della pretesa creditoria in esso cristallizzata sia costituita da un contratto concluso da un consumatore con un professionista, rimasto inadempiuto, e dal provvedimento monitorio non sia evincibile alcuna motivazione in ordine al fatto che sia stato svolto il controllo di vessatorietà sulle clausole rilevanti in ordine all'”an” ed al “quantum” del diritto di credito, il G.E. ha quindi, nell'ordine:
Osservazioni L'ordinanza in commento si segnala per rappresentare piena e corretta attuazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza, sovranazionale ed interna, in ordine ai due diversi profili dell'accertamento da parte del Giudice della qualifica di “consumatore” in capo al garante-persona fisica, nonché alle modalità di esercizio del controllo postumo da parte del Giudice dell'esecuzione sull'abusività delle clausole contenute nel contratto alla base del Decreto Ingiuntivo non opposto entro i termini di legge, allorquando dalla lettura dello stesso non si evinca un impianto motivazionale che riveli che tale sindacato sia stato effettuato da parte del Giudice del monitorio e, dunque, si renda necessario sia pure “ex post” ed “in executivis”, assicurare l'effettività della tutela del consumatore. |