Compensatio lucri cum damno: su chi grava la prova del vantaggio?

Giuseppe Chiriatti
14 Marzo 2024

Nella parte in cui afferma che l’eccezione di compensatio lucri cum damno integra un’eccezione in senso lato (e, pertanto, non è soggetta ad alcuna preclusione), la pronuncia in commento si riporta ai principi espressi dalla medesima Sezione Terza nella sentenza n. 992/2014. 

Massima

L’eccezione di compensatio lucri cum damno è un’eccezione in senso lato e il responsabile dell’illecito può produrre direttamente in appello il documento comprovante l’indennizzo già erogato dall’assicuratore del danneggiato. 

Il caso

A seguito di incendio che aveva prodotto un grave danno al fabbricato di proprietà degli attori, questi ultimi convenivano in giudizio la società proprietaria del terreno confinante ove l'evento aveva avuto origine.

La società convenuta si costituiva negando qualsivoglia responsabilità nella vicenda e, in via subordinata, chiedeva che dal risarcimento eventualmente dovuto fosse in ogni caso detratto l'indennizzo già percepito dagli attori in forza di polizza contro l'incendio, insistendo affinché il Giudice ordinasse all'assicuratore l'esibizione ex art. 210 c.p.c. del contratto e delle quietanze di pagamento.

Tale ordine, tuttavia, non veniva ossequiato dal terzo e, pertanto, il Tribunale accoglieva integralmente la domanda di risarcimento per complessivi 391.000,00 euro senza procedere con alcuna decurtazione.

La sentenza di primo grado veniva nondimeno appellata dalla società convenuta, la quale insisteva nella richiesta di scomputo dell'indennizzo già percepito dagli attori e produceva una missiva dell'assicuratore, in cui si dava atto della corresponsione in limine litis dell'importo di 249.000,00 euro.

A fronte di tale produzione, la Corte di Appello accoglieva l'impugnazione (rilevando che l'eccezione di compensatio lucri cum damno è un'eccezione in senso lato e non è soggetta ad alcuna preclusione) e per l'effetto decurtava l'indennizzo assicurativo dal risarcimento che era stato liquidato all'esito del giudizio di primo grado.

I danneggiati ricorrevano a quel punto in Cassazione, dolendosi – per quel che rileva ai fini della nostra trattazione – che la missiva comprovante l'avvenuto indennizzo era stata acquisita in violazione del divieto di produzione di nuovi documenti così come previsto dall'art. 345 c.p.c.

La Corte di legittimità rigettava tuttavia il ricorso, confermando l'operato della Corte territoriale per aver correttamente qualificato l'eccezione di compensatio lucri cum damno come eccezione in senso lato e per aver conseguentemente utilizzato la documentazione comprovante l'avvenuto indennizzo, benché prodotta solo nel giudizio di appello.

La questione

Nella parte in cui afferma che l'eccezione di compensatio lucri cum damno integra un'eccezione in senso lato (e, pertanto, non è soggetta ad alcuna preclusione), la pronuncia in commento si riporta ai principi espressi dalla medesima sezione terza nella sentenza n. 992/2014 (peraltro richiamata nella motivazione).

In quel precedente, la Cassazione aveva avuto modo di chiarire che la natura di eccezione in senso lato può essere desunta dalla «unicità del fatto generatore sia del danno che del vantaggio» (così Cass. civ. n. 992/2014), come a dire che il Giudice - nel pronunciarsi sulla domanda principale formulata dal danneggiato - è già di per sé tenuto a considerare tutti gli eventuali vantaggi percepiti dall'attore in seguito all'illecito, a prescindere da una specifica istanza del convenuto.

D'altro canto, sempre Cass. civ. n. 992/2014 (e prima ancora Cass. civ., sez. un., n. 1099/1998) aveva altresì precisato che il Giudice può e deve tener conto di tali vantaggi nei limiti in cui gli stessi siano stati ritualmente provati nel processo.

Pertanto, è nella parte in cui ha ritenuto legittima l'acquisizione della prova del vantaggio direttamente in sede di appello che la sentenza merita di essere attentamente esaminata e ciò a maggior ragione ove si consideri che la motivazione addotta dalla Corte appare piuttosto stringata («nel caso di specie non si era in presenza di una domanda riconvenzionale e neppure di una eccezione in senso stretto, ma di una eccezione in senso lato … in quanto tale non soggetta ad alcuna preclusione, e ha conseguentemente acquisito la documentazione, benché allegata nel giudizio di appello»). 

Le soluzioni giuridiche 

a)  Uno scenario del tutto peculiare

Occorre intanto considerare come il convenuto responsabile (e cioè la parte interessata ad invocare l'istituto della compensatio lucri cum damno) non sempre sia nelle condizioni di procurarsi la prova del vantaggio conseguito dal danneggiato, essendo di norma estraneo al rapporto tra quest'ultimo e il proprio assicuratore.

Pertanto, in difetto di più chiare indicazioni sul punto, potremmo ipotizzare che la Corte abbia ritenuto implicitamente integrata la regola prevista dal terzo comma dell'art. 345 c.p.c. secondo cui il divieto di produrre nuovi documenti in appello viene meno ove «la parte dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile».

Non è, dunque, la natura di eccezione in senso lato bensì la regola espressamente prevista dall'art. 345 c.p.c. che consente al convenuto responsabile di produrre direttamente in appello i documenti posti a fondamento della sua difesa per l'ipotesi in cui, nel frattempo, sia riuscito fortunosamente a reperirli (come appunto nel caso di nostro interesse).

È pur vero – ed anche di questo si dolgono i ricorrenti – che il Giudice di primo grado, su istanza del convenuto, aveva ordinato all'assicuratore dei danneggiati di esibire la polizza e le quietanze relative ai pagamenti effettuati in favore di questi ultimi; nondimeno, agli atti non risultava che il convenuto avesse poi provveduto a notificare al terzo il suddetto ordine di esibizione e che, dunque, avesse fatto il possibile per procurarsi la prova dell'avvenuto pagamento dell'indennizzo.

D'altro canto, di fronte ad una simile obiezione (e, quindi, prima ancora di valutare se nella fattispecie esaminata il convenuto/responsabile sia stato correttamente ammesso alla produzione tardiva del documento), occorrerebbe chiedersi se l'attore/danneggiato, nell'ipotesi in cui il convenuto/responsabile eccepisca l'avvenuto indennizzo senza al contempo disporre della prova di tale pagamento (come appunto nel caso de quo), possa legittimamente restare «inerte» nella consapevolezza che, celando la prova dell'emolumento già erogatogli dall'assicuratore, la sua domanda risarcitoria troverà accoglimento integrale.

Sullo sfondo della pronuncia resta dunque da esaminare una questione alquanto delicata e cioè quella che attiene al corretto riparto dell'onere della prova in uno scenario processuale del tutto peculiare, in cui la prova (dell'avvenuto indennizzo) è nella disponibilità proprio della parte che non ha alcun interesse a dimostrare quel fatto.

Ed in effetti, nella giurisprudenza della Cassazione si rinvengono numerose indicazioni che, lungi dall'alleviare la posizione processuale dell'attore/danneggiato, al contrario rafforzano il suo onere di fornire una prova puntuale del danno patito al netto degli eventuali vantaggi conseguiti.

In primo luogo, dovremmo infatti considerare come le Sezioni Unite abbiano di recente chiarito che l'art. 1223 c.c. «implica, in linea logica, che l'accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali vantaggi collegati all'illecito in applicazione della regola della causalità giuridica» (così Cass. civ., sez. un., n. 12565/2018), lasciando così intendere che la verifica dei vantaggi percepiti dal danneggiato per effetto del sinistro rientra già di per sé nell'accertamento del fatto costitutivo del diritto al risarcimento. Con la conseguenza (aggiungiamo noi) che la prova di tali vantaggi grava proprio sull'attore/danneggiato e non sul convenuto/responsabile.

Inoltre, in favore di una simile conclusione parrebbero muovere alcune pronunce della Cassazione su di una fattispecie analoga a quella oggetto della sentenza in commento e cioè quella in cui il danneggiato (che abbia già ricevuto un indennizzo assicurativo) richieda non il risarcimento del danno al responsabile bensì un secondo indennizzo ad altro assicuratore presso cui abbia garantito il medesimo rischio.

b)  La giurisprudenza della Cassazione in materia di coassicurazione indiretta

Con riguardo a tale fattispecie, l'art. 1910, comma 3, c.c. dispone che «l'assicurato può chiedere a ciascun assicuratore l'indennità dovuta secondo il rispettivo contratto, purché le somme complessivamente riscosse non superino l'ammontare del danno»: in particolare, le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che la norma è dettata «a tutela del principio indennitario, per evitare che, mediante la stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio, l'assicurato, ottenendo l'indennizzo da più assicuratori, persegua fini di lucro» (Cass. civ., sez. un., n. 5119/2002).

In definitiva:

- così come nelle fattispecie di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale l'art. 1223 c.c. impone al giudice di verificare i vantaggi eventualmente percepiti dal danneggiato in occasione dell'illecito per evitare che questi possa conseguire un indebito arricchimento;

-  in materia di coassicurazione indiretta è l'art. 1910, comma 3, c.c. ad escludere che il danneggiato possa conseguire plurimi indennizzi per un importo superiore al danno effettivamente patito e, per l'effetto, lucrare sul sinistro.

Ci ritroviamo al cospetto, quindi, di due fattispecie molto simili che sono governate dal medesimo principio (quello indennitario). Nondimeno, nel declinare l'applicazione processuale dell'art. 1910 c.c. la Cassazione giunge a conclusioni ben più nette rispetto a quelle rassegnate in tema di compensatio lucri cum damno. Ed infatti, per l'ipotesi in cui il danneggiato abbia titolo per richiedere plurimi indennizzi assicurativi in conseguenza del medesimo sinistro, la Corte ha avuto modo di chiarire che:

-  «l'esistenza di un danno da indennizzare si ha soltanto quando il danno subito dall'assicurato non sia stato già coperto dalle somme che egli abbia riscosso dagli altri assicuratori» (così Cass. civ. n. 8826/1999);

-  «in tale ipotesi, pertanto, il fatto costitutivo del diritto viene ad essere integrato anche da questo elemento negativo» (così Cass. civ. n. 8826/1999);

-  del tutto conseguentemente, «l'assicurato è tenuto a provare che il cumulo fra la chiesta indennità e le somme eventualmente da lui già riscosse per il medesimo sinistro da altri assicuratori non superi l'ammontare del danno sofferto in conseguenza di esso, poiché tale circostanza rappresenta un fatto costitutivo del diritto da lui fatto valere» (così Cass. civ. n. 7349/2015).

In altri termini: in caso di coassicurazione indiretta l'onere di provare che l'indennizzo richiesto (ove cumulato con le somme già erogate dagli altri assicuratori) non ecceda il danno effettivamente patito grava proprio sul danneggiato/assicurato e ciò perché la verifica di tale elemento negativo è ricompresa nell'accertamento del fatto costitutivo del diritto azionato in giudizio, con l'inevitabile conseguenza che - in difetto di prova dei pagamenti erogati dagli altri assicuratori - il Giudice non potrà che rigettare la domanda in applicazione dell'art. 2697 c.c.

Ebbene, davvero non si rinvengono motivi che impediscano di assoggettare al medesimo «statuto» processuale anche la fattispecie esaminata nella sentenza in commento, in cui il danneggiato (che sia stato già indennizzato dal proprio assicuratore) agisca in giudizio per ottenere il risarcimento dal responsabile.

Vi è però una controindicazione.

c) Prova dell'avvenuto indennizzo e prova del suo ammontare

Non possiamo esimerci dal rilevare come la tesi di cui sopra, se da un lato riporta correttamente in capo all'attore/danneggiato l'onere di provare anche i vantaggi percepiti in conseguenza dell'illecito, dall'altro lo esponga ad una prova diabolica nell'ipotesi in cui non abbia percepito alcun indennizzo e, dunque, sia chiamato a fornire con non poche complicazioni la prova di un fatto negativo.

È pur vero che la Cassazione ha da tempo chiarito che «la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere in quanto la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo» (Cass. civ. n. 15162/2008); d'altro canto, non è davvero dato comprendere quale circostanza possa mai assurgere a fatto positivo contrario o a fatto secondario da cui desumere in via presuntiva la mancata percezione di altri emolumenti in conseguenza del sinistro.

Date tali premesse, occorre dunque rifuggire da rigidi schematismi e analizzare la questione tenendo conto degli strumenti (processuali ed extraprocessuali) che consentono al convenuto/responsabile di procurarsi una qualche prova dell'avvenuto indennizzo e, dunque, di sollevare una eccezione (quella di compensatio) che non sia meramente esplorativa e tale da esporre l'attore/danneggiato ad una probatio diabolica.

Un primo spunto ci viene offerto proprio dal comparto in cui si è maggiormente sviluppato il recente dibattito sulla portata dell'istituto della compensatio e cioè quello del danno alla persona.

Occorre infatti considerare come l'assicuratore del responsabile civile ben possa verificare tramite il Casellario Centrale Infortuni INAIL (artt. 15 e ss. d.lgs. n. 38/2000) se, per il medesimo evento, il danneggiato sia già stato indennizzato da altra impresa in forza di polizza infortuni.

È pur vero che il Casellario Centrale Infortuni non riporta l'ammontare delle prestazioni erogate al danneggiato dagli altri assicuratori ma consente unicamente di verificare il nome di tali imprese, la quantificazione dell'invalidità operata da queste ultime e la data della definizione del relativo sinistro; d'altro canto, pare del tutto ragionevole che – a fronte della produzione di un estratto del Casellario Centrale Infortuni attestante l'avvenuto indennizzo da parte di altra impresa – gravi a quel punto sull'attore/danneggiato l'onere di provare l'entità della prestazione già percepita.

Oltretutto, proprio con riguardo alla polizza infortuni, la questione processuale qui esaminata si intreccia con quella di natura sostanziale relativa alla cumulabilità di indennizzo e risarcimento: ed infatti, solo la produzione del testo di polizza da parte del danneggiato/assicurato può consentire al Giudice di effettuare quel sindacato sulla causa concreta del contratto così come suggestivamente evocato nella sentenza del Tribunale di Milano, Dott. Spera, 11 aprile 2023 n. 2894 (per un approfondimento D'ELIA C. Polizze infortuni e compensatio lucri cum damno: quando un tribunale di merito va oltre la giurisprudenza di legittimità)

Ebbene, una volta che l'assicuratore del responsabile abbia prodotto in giudizio un estratto del Casellario Centrale Infortuni attestante l'avvenuto indennizzo da parte di altra impresa, pare a chi scrive che l'attore/danneggiato non possa più ragionevolmente «nascondersi» e, dunque, debba a quel punto produrre le quietanze dei pagamenti ricevuti unitamente alle condizioni generali dell'assicurazione infortuni già incassata, così consentendo al Giudice di valutare: 1) se sia possibile cumulare o meno indennizzo e risarcimento; 2) eventualmente procedere con il diffalco dell'indennizzo dal risarcimento.

Ad un simile scenario potrebbe giungersi (anche con riguardo alle assicurazioni di cose) nell'ipotesi in cui il convenuto alleghi che il danneggiato è già stato indennizzato dal proprio assicuratore e il danneggiato non contesti tale circostanza nella prima difesa utile: ebbene, anche in un simile caso, una volta che la prova dell'avvenuto indennizzo sia stata raggiunta ai sensi dell'art. 115 c.p.c. risulta del tutto ragionevole che la (differente) prova del suo ammontare venga a quel punto fornita dall'attore/danneggiato.

Vi è poi un'altra ipotesi in cui il responsabile o il suo assicuratore della RC potrebbero entrare legittimamente in possesso di documentazione comprovante l'avvenuto indennizzo del danno: ci riferiamo al caso in cui l'assicuratore del danneggiato si surroghi a quest'ultimo e richieda al responsabile la restituzione di quanto pagato ai sensi dell'art. 1916 c.c. Oltretutto, in una simile ipotesi (che ben potrebbe ricorrere anche in comparti differenti da quello del danno alla persona) il responsabile acquisirebbe la prova non solo dell'avvenuto indennizzo ma altresì del suo specifico ammontare (l'importo richiesto in via surrogatoria) e, pertanto, già solo la produzione in giudizio della richiesta stragiudiziale (quella formulata dall'assicuratore del danneggiato) potrebbe essere sufficiente per ottenere l'eventuale detrazione dell'indennizzo dal risarcimento.

Da ultimo, restano poi da segnalare alcune fattispecie eccezionali e cioè quelle in cui l'assicuratore della R.C. del responsabile (chiamato in garanzia ex art. 269 c.p.c. o citato direttamente dal danneggiato in forza di azione diretta ex art. 144 C.A.P. nel caso di sinistro stradale) coincida con il medesimo l'assicuratore che garantisce il bene o la persona del danneggiato: ebbene, è evidente come in tali ipotesi di scuola l'unico assicuratore coinvolto sia certamente a conoscenza dell'entità del «vantaggio» conseguito dal danneggiato in forza dell'assicurazione diretta contro i danni/infortuni e, dunque, sia nelle condizioni di produrre ritualmente già in primo grado la documentazione attestante l'ammontare delle prestazioni erogate.

Osservazioni

La sentenza in commento ha l’indubbio merito di sollecitare alcune riflessioni sull’applicazione processuale dell’istituto della compensatio lucri cum damno e sulle possibili storture determinate dal fatto che la prova del vantaggio è di norma nella disponibilità della parte (il danneggiato) che non ha alcun interesse ad allegare e a provare quel fatto.

D’altro canto, nella parte in cui ammette che il convenuto/responsabile possa produrre direttamente in appello la documentazione attestante l’avvenuto indennizzo da parte dell’assicuratore dell’attore/danneggiato, la pronuncia reca con sé il rischio di ingenerare un pericoloso equivoco e cioè che l’onere di provare il vantaggio gravi proprio sul convenuto/responsabile; al contrario, una lettura sistematica della sentenza consente di affermare che l’onere di provare tanto il danno patito quanto l’ammontare dei vantaggi conseguiti grava sempre e comunque sull’attore/danneggiato, almeno nei limiti in cui il convenuto/responsabile sia nelle condizioni di provare che un indennizzo sia già stato percepito e, dunque, non si limiti a sollevare un’eccezione (quella di compensatio) meramente esplorativa.

Così come, nel caso di danno alla persona, sarà onere dell’attore/danneggiato quello di produrre le condizioni di polizza per consentire al Giudice di effettuare quel sindacato sulla causa concreta del contratto assicurativo al fine di comprendere se la prestazione già erogata assolva ad una funzione indennitaria e, conseguentemente, debba essere detratta dal risarcimento eventualmente dovuto (cfr. Trib. Milano 2894/2023).