L’onere della prova tra danno morale e personalizzazione del danno. Quali differenze?

21 Marzo 2024

Sulla scorta di quali elementi e presupposti può il giudice riconoscere l'aumento per il danno morale previsto dall'art. 139, comma 3, d.lgs. n. 209/2005?

Massima

Il danno non patrimoniale da microlesioni conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria va risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, in quanto norma applicabile anche ai fatti pregressi all'entrata in vigore della c.d. legge Gelli, sulla base dell'accertamento di una peculiare sofferenza psico-fisica e di specifici pregiudizi su aspetti dinamico-relazionali personali.

Il caso

Tizia e i suoi prossimi congiunti chiedevano il risarcimento del danno conseguente alla asserita condotta colposa dei sanitari convenuti e dell'Azienda Sanitaria Locale, nella loro qualità di componenti dell'equipe medica, che avevano eseguito l'intervento chirurgico di sostituzione del pacemaker, in quanto, contro il consenso della paziente, l'intervento chirurgico non veniva eseguito dal medico di fiducia, ed, inoltre, a seguito di ulteriore intervento chirurgico presso altra struttura sanitaria, veniva rinvenuto, all'interno della tasca di alloggiamento del pacemaker, una “garza”, che era stata lasciata durante il primo intervento.

Il medico che eseguì detto intervento chirurgico fu condannato penalmente per il delitto di cui agli artt. 590, 583, comma 1, n. 1, c.p. alla pena di mesi due di reclusione, e, in solido con l'Azienda Unità Sanitaria Locale al risarcimento dei danni arrecati alle parti civili, da liquidarsi nella separata sede civile, con la condanna ad una provvisionale, confermata dalla Corte di Appello e definitivamente dalla Corte di Cassazione.

Nei confronti delle infermiere professionali convenute era stato instaurato analogo procedimento penale, in quanto veniva contestata l'omessa attività di conteggio delle garze utilizzate durante l'intervento e di quelle rimanenti al termine dello stesso, poi conclusosi con l'assoluzione, confermata in grado di appello. La Corte di Cassazione, tuttavia, annullava le predette sentenze.

La questione

Sulla scorta di quali elementi e presupposti può il giudice riconoscere l'aumento per il danno morale previsto dall'art. 139, comma 3, d.lgs. n. 209/2005?

Le soluzioni giuridiche 

Nella sentenza in argomento sono state affrontate numerose questioni giuridiche. In particolare, il Tribunale ha ritenuto la responsabilità della struttura sanitaria per la dimenticanza della garza e per le condotte dilatorie dei sanitari che hanno prodotto un danno in termini sia di maggior ospedalizzazione (danno biologico temporaneo), sia di danno psichico (danno biologico permanente), senza che ciò abbia determinato un aggravamento delle condizioni fisiche, già molto deteriorate della paziente. Mentre, non potendosi determinare il momento esatto in cui la garza veniva “dimenticata” nel corpo di Tizia, anche in ragione della colpevole lacune nella compilazione della cartella clinica, riteneva non provata la sussistenza di un nesso causale tra le condotte contestate al medico che ha effettuato l'intervento ed agli infermieri professionali e il danno occorso.

Sotto tale profilo, fermo restando le opportune valutazioni in ordine all'efficacia del giudicato penale ex art.651 c.p.p., contrariamente, la giurisprudenza della Suprema Corte, in tema di onere della prova, rileva la circostanza dell'eventuale incompletezza della cartella clinica quale indice che induce a ritenere l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cass. civ., n. 2751/2017; conforme, Cass. civ., n. 26428/2020). Sicché, occorre valutare se l'incompletezza della cartella clinica sollevi il creditore dall'onere della prova in ordine alla sussistenza del nesso causale, quando una determinata circostanza sfugge al criterio di vicinanza della prova in conseguenza di condotte omissive incidenti, quali la doverosa redazione della cartella clinica, in quanto strumento di controllo dell'operato del medico, che si riverbera sulla relativa responsabilità.

Essendo l'attrice medio tempore deceduta, ai prossimi congiunti veniva riconosciuto, iure hereditatis, un danno da premorienza che, attesa l'effettiva età raggiunta dalla de cuius, superiore alla vita media all'epoca dei fatti, veniva quantificato nell'intero danno biologico permanente patito dalla danneggiata al momento del decesso. Sotto tale profilo, correttamente il giudice ha ritenuto non sussistere l'esigenza di ridurre proporzionalmente la quantificazione del danno in ragione della durata effettiva della vita della de cuius, non sussistendo, come sottolineato dalla Suprema Corte, quello scollamento fra l'aspettativa di vita meramente ipotetica e potenziale e l'effettiva durata della vita del danneggiato (cfr., Cass. civ., n. 25157/2018).

Il Tribunale ha, infine, escluso la sussistenza di un danno da violazione del diritto all'autodeterminazione per non essere stata operata dal medico prescelto, non consentito dal Sistema Sanitario Nazionale, dovendo il paziente “accettare” chi è presente in base ad esigenze organizzative della struttura ospedaliera; nonché il danno iure proprio invocato dai prossimi congiunti, stante la lieve entità del danno biologico sofferto dalla de cuius e la mancata prova che ciò abbia determinato un danno morale ed esistenziale nella loro sfera soggettiva e relazionale.

Sotto tale profilo, conformemente, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che non sussiste alcun limite normativo che determini l'irrisarcibilità del pregiudizio nelle ipotesi in cui gli effetti lesivi della salute del prossimo congiunto non siano particolarmente gravi; nel senso che possa sussistere soltanto se gli effetti stabiliti dal danno biologico sul congiunto siano particolarmente elevati; perciò, secondo i principi generali, il predetto danno è risarcibile se il parente prova, anche in via presuntiva, di aver subito lesioni in conseguenza della condizione del congiunto (Cass. Civ., n.1752/2023; si veda, anche, Cass. Civ., n. 11212/2019).

Sia il danno biologico temporaneo, in termini di maggior ospedalizzazione subita, sia il danno biologico permanente, sub specie di danno psichico, è stato aumentato ai sensi dell'art. 139, comma 3, d.lgs. n. 209/2005, in quanto la menomazione accertata ha inciso in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali e ha causato una peculiare sofferenza psico-fisica avendo la danneggiata subito numerosi accessi al pronto soccorso e ricoveri.

Osservazioni

La questione affrontata concerne la ripartizione dell'onere della prova con riguardo al danno morale ed alla personalizzazione del danno, alla luce dei criteri previsti dall'art. 139, comma 3, d.lgs. n. 209/2005, nella specie applicati, trattandosi di microlesioni.

Innanzitutto, correttamente il Tribunale ha applicato detti criteri in virtù dell'art. 7, comma 3, l. n. 24/2017, in quanto il danno alla persona dev'essere liquidato sulla base delle regole vigenti al momento della liquidazione, e non già al momento del fatto illecito (Cass. Civ., n.19229/2022).

Tuttavia, la Suprema Corte persiste nel ribadire che anche il danno morale va liquidato, ancorché conseguente a lesioni di lieve entità, ma il danneggiato è onerato dell'allegazione e della prova, eventualmente anche a mezzo di presunzioni, delle circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza e turbamento, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico (Cass. civ., n.339/2016).

Sotto tale profilo, infatti, l'art.139 comma 3 prevede che l'ammontare del risarcimento del danno può essere aumentato dal giudice fino al 20 per cento e tale ammontare complessivamente determinato è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche.

Il legislatore, sintetizzando l'evoluzione giurisprudenziale, ha inteso circoscrivere l'aumento deputato alla discrezionalità motivata del Giudice indicando un limite in termini percentuali, con ciò riconoscendo l'unicità del danno non patrimoniale, escludendo, qualsiasi autonoma valutazione di ulteriori voci di danno non riconducibili a tali due componenti essenziali: il pregiudizio su specifici aspetti dinamico-relazionali e la sofferenza psico-fisica di particolare intensità.

Sia pur nella difficoltà ontologica di definire il limite tra ciò che oltrepassa il criterio determinato dal legislatore, rispetto a ciò che è deputato alla sensibilità e alla motivazione del Giudice in relazione al caso concreto, appare più utile definire l'oggetto dell'onere probatorio a carico del danneggiato, rispetto a quanto già accertato tecnicamente dal c.t.u., sulla base della documentazione medica offerta e gli esami clinici necessari.

Ed infatti, nel caso di specie, al netto della determinazione del danno psichico in quanto componente strettamente connessa al danno alla salute, valutabile solo attraverso un accertamento tecnico, sulla base dei parametri definiti dalla scienza medica, il Tribunale, quantifica il massimo aumento in ragione dei numerosi accessi al pronto soccorso e della particolare sofferenza patita a causa delle cure effettuate. Invero, tali elementi oltre ad essere aspecifici, sembrerebbero rientrare nel già quantificato danno biologico temporaneo e difficilmente possono giustificare un aumento nel senso considerato dal legislatore.

È pur vero, tuttavia, che si possa ricorrere ad indici presuntivi, ancorché specificatamente allegati dall'attore che, in quanto non specificatamente contestati, secondo il principio enunciato dall'art.115 c.p.c., ben possono assurgere a piena prova dell'invocato aumento.

Ed in effetti, se il danno morale, inteso quale pretium doloris, turbamento d'animo, sofferenza soggettiva, appare clinicamente non percepibile, e giuridicamente accertabile solo attraverso il ricorso ad articolate prove testimoniali che consentano di apprezzare ciò che sfugge alla valutazione medico-legale in termini di danno alla salute e, quindi, di danno psichico, rientrante in una precisa patologia clinica, tuttavia, esso potrebbe emergere da una complessiva ricostruzione della vicenda subita, specificatamente indicando qualificanti elementi che possono trasparire anche dal colloquio clinico condotto dall'ausiliario.

Sotto tale profilo, senza cadere nella tentazione di un accertamento del danno in re ipsa, soluzione costantemente reietta dalla Suprema Corte, il ragionamento logico-giuridico del Giudice sarebbe sorretto dai principi processual-civilistici dell'onere della prova, da un lato, e del libero convincimento e di non contestazione, dall'altro, ove gli indici presuntivi desumibili dalle circostanze del caso concreto, possono assurgere a piena prova in quanto non specificatamente contestati, ovvero qualora la controparte non abbia fornito una prova in senso contrario.

Sotto tale profilo, anche la valutazione del c.t.u., alla luce della documentazione medica, nonché di altri elementi confluiti nel relativo accertamento, quale il colloquio con la parte, lo svolgimento di esami specifici ecc., ben possono evidenziare una sofferenza morale ulteriore e diversa rispetto al danno biologico accertato e definito quale danno psichico.

Parimenti deve osservarsi con riguardo al pregiudizio su specifici aspetti dinamico-relazionali che va rigorosamente accertato dal Giudice sulla base di elementi di prova offerti dall'attore e che trovano la loro essenza, non in termini quantitativi (es. numero di ricoveri, accessi al pronto soccorso, numero di interventi), bensì qualitativi in relazione alla perdita di quell'equilibrio psico-fisico che l'evento lesivo ha determinato nella persona del danneggiato in tutti gli aspetti peculiari della propria vita quotidiana, delineando quel qualcosa in più che sfugge ai criteri di quantificazione del danno normativamente prefissati, in relazione a ciò che normalmente accade alla generalità delle persone, in conseguenza di una lesione patita, in termini di quotidianità di relazioni sociali e familiari, e tale da evidenziare anche le condizioni soggettive relative, come indicato nel comma 3 del citato articolo. In tal senso, le peculiarità del caso concreto che giustificano l'aumento per la cd. personalizzazione del danno, devono emergere da un esame attento di tutti gli elementi probatori emersi dall'istruttoria svolta ed evidenziati nel percorso logico-giuridico enucleato dal Giudice.

Riferimenti

G. Cassano (a cura di), La nuova responsabilità medica – Una ricostruzione giurisprudenziale alla luce della Legge Gelli – Bianco, Maggioli Editore, 2019.