L’irrisorietà della posta in gioco e le grandi società di capitali
25 Marzo 2024
Massima In tema di equa riparazione della irragionevole durata del processo, l'irrisorietà della pretesa, fondante la presunzione semplice di insussistenza del pregiudizio ex art.2, comma 2-sexies, lett. g) l. n. 89/2001, deve essere valutata alla stregua di due concorrenti elementi di valutazione: uno obiettivo, correlato al valore del bene oggetto della lite, ed uno soggettivo, relativo alla condizione personale della parte. Il caso Una grande società di capitali (leader nelle costruzioni di acquedotti, oleodotti, metanodotti) viene ammessa al passivo di una procedura fallimentare per un credito pecuniario di € 29.309.91 ed agisce per conseguire l'indennizzo ex l. n. 89/2001 a seguito della irragionevole durata del relativo giudizio concorsuale; il giudice designato della Corte di appello di Napoli le riconosce il diritto al pagamento della somma di € 9.000,00 a titolo di equa riparazione; su opposizione del Ministero della giustizia, la Corte di appello, in composizione collegiale, respinge la domanda di indennizzo applicando la presunzione di insussistenza del pregiudizio in ragione della “irrisorietà della pretesa o del valore della causa”, valutata in relazione alla situazione economica finanziaria della società opposta, ai sensi dell'art.2, comma 2-sexies, lett. g) l. n. 89/2001. Il decreto è, tuttavia, annullato dalla Cassazione, su ricorso della società, con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione. La questione Il decreto della Corte di appello ha ritenuto irrisoria la posta in gioco operando un raffronto tra il credito ammesso al passivo (€ 29.309.91) e la florida condizione economica della società di capitali riferita all'anno 2020, con un capitale sociale di oltre 35 milioni di euro, un fatturato di oltre 660 milioni di euro, un patrimonio netto superiore a 217 milioni di euro; la sproporzione è, al riguardo, considerata tale da escludere la sussistenza del pregiudizio non patrimoniale derivante dalla irragionevole durata della procedura concorsuale. Tale conclusione è contestata dalla società istante avanti alla Cassazione, con un unico motivo, deducendosi la violazione del diritto, spettante anche agli enti associativi di natura personale o capitale, alla ragionevole durata del processo ex art. 6 § 1 della C.E.D.U. Le soluzioni giuridiche Con l'ordinanza in esame, adottata in camera di consiglio, la Cassazione premette che la nozione di “irrisorietà della pretesa o del valore della causa” deve essere desunta dalla giurisprudenza della Corte E.D.U., quale si è formata in relazione alle condizioni di ricevibilità ai sensi dell'art.35 § 3, lett. a) della Convenzione, laddove, in particolare, si considera abusivo il ricorso individuale riguardante una somma di denaro irrisoria o che comunque non incida minimamente sui legittimi interessi del ricorrente. Al riguardo è richiamato il decreto della Corte E.D.U., nella causa Bock c. Germania, che ha ritenuto irrisoria la pretesa relativa al rimborso della spesa di € 7,99 per un integratore alimentare, pur prescritto dal medico, tenuto conto della agiata condizione economica del ricorrente. A conclusioni analoghe, osserva la Cassazione, perviene la nomofilassi nazionale anche in sede di individuazione della consistenza del pregiudizio e, quindi, di liquidazione dell'indennizzo a titolo di equa riparazione, escludendone il riconoscimento con riguardo a giudizi presupposti di carattere bagatellare, imperniati su una posta in gioco esigua anche in rapporto alla condizione personale e sociale dell'istante. Ciò premesso in ordine al contesto giurisprudenziale, la Corte argomenta, quindi, che nella presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio ex art.2, comma 2-sexies, lett. g) l. n. 89/2001, la pretesa o valore della causa “irrisoria”, costituente il fatto noto nella prova logica legale di assenza del danno, benché non sia espressamente declinata secondo criteri rigidi, debba essere definita alla stregua di due elementi di valutazione: uno obiettivo, relativo al valore del bene oggetto della lite, e uno soggettivo, commisurato alle condizioni della parte; entrambi, pertanto, da considerare per verificare la reale portata dell'interesse alla decisione attraverso un giudizio di comparazione tra l'importo della somma in gioco e la situazione socioeconomica dell'istante. Il riferimento alla condizione personale assume una specifica dimensione con riguardo alle persone giuridiche, che pure possono subire il pregiudizio da irragionevole durata del processo attraverso le persone fisiche preposte alla gestione dell'ente od i suoi membri; in particolare, riguardo alle società di capitali, le esigenze di adeguata patrimonializzazione imposte dal mercato non possono costituire automatica ragione di esclusione dell'indennizzo ex l. n. 89/2001. La Corte di appello di Napoli, invece, ha ritenuto nel caso di specie irrisoria la posta in gioco valutandola soltanto in rapporto alla situazione economica finanziaria della società istante, avuto riguardo al capitale, al fatturato ed al patrimonio netto, senza riconoscere il rilievo dell'elemento oggettivo, costituito da un valore in sé non bagatellare, quale il credito di € 29.309,91 azionato nel giudizio presupposto. Di qui la cassazione con rinvio per un nuovo esame della causa. Osservazioni In buona sostanza la Cassazione ritiene che la florida situazione patrimoniale e reddituale di una società commerciale (profilo soggettivo) non possa costituire ragione sufficiente per qualificare come “irrisoria” la pretesa azionata che abbia, in senso assoluto (profilo oggettivo), una apprezzabile consistenza. In questa prospettiva il giudizio di irrisorietà della pretesa, cui è pervenuta la corte campana, risulta viziata da un non equilibrato contemperamento tra le due componenti, oggettiva e soggettiva, entrambi convergenti nella declinazione della rilevanza dell'interesse fatto valere in giudizio, essendo stato assegnato un ruolo prevaricante alla sola condizione economica della parte. Al riguardo si può, tuttavia, ulteriormente osservare che proprio la natura commerciale della società dovrebbe indurre ad escludere l'irrilevanza di un credito pecuniario di consistenza apprezzabile, tenuto conto che l'impresa collettiva è volta fisiologicamente al conseguimento dell'utile e tutti coloro che operano, ai diversi livelli di responsabilità, nell'ambito della società sono valutati nelle rispettive performance in relazione al solo parametro del risultato di carattere economico. In tal senso non deve sorprendere il giurista, tradizionalmente formato su basi umanistiche, se anche una società commerciale dotata di ingenti risorse possa soffrire per la mancata soddisfazione, entro termini ragionevoli, di un credito pecuniario, pur in assenza di negative ripercussioni sull'andamento complessivo della gestione. Riferimenti Cass. civ., sez. VI-II, ord. 3 marzo 2020 n. 5918, ha escluso l'operatività della presunzione in questione per le controversie relative all'accertamento della falsità della procura "ad litem" in quanto il valore di una causa avente ad oggetto l'accertamento negativo dell'assunzione della qualità di parte in giudizio prescinde dall'oggetto di quest'ultimo e non può, in nessun caso, considerarsi irrisorio in ragione della qualità e quantità degli effetti, patrimoniali ed extrapatrimoniali, che astrattamente possono collegarsi all'assunzione della qualità di parte processuale. In precedenti pronunce, comunque, il carattere bagatellare dei giudizi presupposti, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi, era da tempo considerato ragione giustificatrice non solo di una quantificazione del danno, per ogni anno di ritardo, in misura inferiore alla soglia minima (quale invalsa nella giurisprudenza e, successivamente, prevista dall'art. 2-bis, l. n. 89/2001, introdotto dal d.l. n. 83/2012 conv. in l. n. 134/2012 : Cass. civ., sez. II, sent. 24 luglio 2012, n. 12937; Cass. civ., sez. VI-II, sent. 3 febbraio 2017 n. 2995; Cass. civ., sez. VI-II, ord., 17 gennaio 2020 n. 974) ma anche di una radicale esclusione della riparazione indennitaria (Cass. civ., sez. II, sent., 14 gennaio 2014 n. 633; Cass. civ., sez. II, sent. 17 ottobre 2019 n. 26497). Cass. civ., sez. II, ord., 4 ottobre 2018 n. 24362, ha cassato il decreto della corte di merito che aveva escluso l'indennizzo, per la eccessiva durata di un giudizio esecutivo, in ragione della irrisorietà della somma percepita (€ 35,63), affermando il principio che il valore della causa è, invece, da commisurarsi all'importo del credito azionato con il pignoramento ai sensi dell'art.17 c.p.c.. La causa Bock c. Germania, relativa al rimborso della spesa di soli € 7,99, è stata definita dalla Corte EDU, sez. V, decreto 19 gennaio 2010, ric. n. 22051/07. In ordine al principio che anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, Cass. civ., sez., VI-II, ord., 12 marzo 2020, n. 7034; Cass. civ., sez. VI-I, sent. 4 giugno 2013 n. 13986. In tal senso la giurisprudenza italiana si è intesa conformare all'indirizzo impresso al livello sovranazionale dalla Corte EDU (sent. 6 aprile 2000, Comingersoll c. Portugal; sent. 8 giugno 2004, Clinique Mozart s.a.r.l. c. France). |