Revocazione delle sentenze della corte di cassazione

Rosaria Giordano
20 Settembre 2017

La l. 23 novembre 1990 n. 353 con l'emanazione dell'art. 391-bis c.p.c. ha introdotto il rimedio della revocazione, limitatamente agli errori di fatto ex art. 395 n. 4 c.p.c., nonché quello della correzione degli errori materiali e di calcolo, delle sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione.
Inquadramento

La l. 23 novembre 1990 n. 353 con l'emanazione dell'art. 391-bis c.p.c. ha introdotto il rimedio della revocazione, limitatamente agli errori di fatto ex art. 395 n. 4 c.p.c., nonché quello della correzione degli errori materiali e di calcolo, delle sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione.

Il successivo d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, ha in seguito esteso, mediante l'art. 391-ter c.p.c., il rimedio della revocazione c.d. straordinaria e dell'opposizione di terzo alle pronunce di cassazione sostitutiva nel merito rese dalla stessa Corte di Cassazione.

Lo stesso d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 ha, sotto un distinto profilo, modificato l'art. 391-bis c.p.c. disciplinandone il procedimento mediante rinvio alle disposizioni dell'art. 380-bis c.p.c. su quello in camera di consiglio.

Revocazione per errore di fatto

Rigorosi, in quanto mutuati direttamente dall'art. 395 n. 4 c.p.c., sono i presupposti in presenza dei quali una pronuncia della Corte di Cassazione può ritenersi affetta dal vizio di errore di fatto revocatorio.

Difatti, è consolidata in giurisprudenza l'affermazione del principio in forza del quale l' errore di fatto revocatorio idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza di cassazione deve consistere nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti, invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata: deve, inoltre, essere decisivo,nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l'erronea supposizione e la decisione resa, non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata e deve, infine, presentare i caratteri dell'evidenza e della obiettività (v., tra le molte, Cass. 27 gennaio 2012, n. 1197).

In sostanza, l'errore di fatto revocatorio presuppone l'esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti di causa e deve, quindi:

  1. consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile;
  2. essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;
  3. non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata;
  4. presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;
  5. non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo;
  6. riguardare gli atti interni, cioè quelli che la Corte esamina direttamente, con propria autonoma indagine di fatto, nell'ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d'ufficio, e avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della Cassazione (cfr., tra le molte, Cass. 5 dicembre 2006, n. 25901; Cass. 3 febbraio 2006, n. 2425; Cass. 20 aprile 2005, n. 8295).

Infatti, l'errore di fatto, previsto dall'art. 395, numero 4, c.p.c., idoneo a determinare la revocabilità delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell'assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all'utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi (cfr. Cass. 7 febbraio 2007, n. 2713). Inoltre, sull'asserito errore, decisivo e rilevante ex actis, non deve essere intervenuto alcun dibattito nel contraddittorio tra le parti nel corso del giudizio (Cass. 15 dicembre 2011, n. 27094).

CASISTICA

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 391-bis c.p.c., nella parte in cui non prevede come causa di revocazione la nullità del provvedimento decisorio della Corte di cassazione, posto che la Costituzione non prevede vincoli al legislatore ordinario con riguardo al sistema delle impugnazioni, se non per la previsione, all'art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, e posto che appare scelta razionale quella del legislatore di riconoscere, nel sistema impugnatorio, ai motivi di impugnazione per revocazione una propria specifica funzione, escludendo le censure di nullità ex art. 161 c.p.c., proponibili, invece, con l'appello e con il ricorso per cassazione.

Cass., 16 settembre 2011, n. 18897

Non costituisce errore revocatorio l'omessa considerazione, da parte della sentenza della Corte di cassazione, di documenti entrati, invece, a far parte del giudizio espresso dal giudice di legittimità attraverso una pronuncia di inammissibilità del motivo di ricorso che intendeva veicolarli.

Cass. 23 maggio 2006, n. 12154, sull'inammissibilità derivante, in particolare, dall'inosservanza del principio di autosufficienza con riferimento a documenti dei quali non era riportato il contenuto

Non è configurabile l'errore revocatorio allorché si denuncino vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico - giuridico, come quando si adduca l'esistenza di un errore sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, - che non costituiscono "fatti" - in quanto tale errore si configura necessariamente non come un errore percettivo, ma come un errore di giudizio, investendo per sua natura l'attività valutativa e interpretativa del giudice.

Cass. 18 maggio 2006, n. 11657

Contrasto della sentenza di legittimità con un precedente giudicato

Il legislatore ordinario, né con la l. n. 353/1990 né con il successivo d.lgs. n. 40/2006 ha previsto la possibilità di richiedere alla Suprema Corte la revocazione delle decisioni pronunciate dalla stessa nell'ipotesi di contrasto con un altro e precedente giudicato della medesima Corte ai sensi dell'art. 395 n. 5, motivo di revocazione ordinario escluso a differenza dell'errore di fatto revocatorio.

Tale assetto, specialmente in dottrina, era stato criticato sotto il profilo del mancato rispetto dell'art. 3 Cost., che imporrebbe, quanto ai mezzi di impugnazione esperibili avverso la decisione resa dalla Suprema Corte, un'omogeneità con quelli previsti per le sentenze emanate dai giudici di rinvio.

La giurisprudenza di legittimità aveva, invece, ribadito in diverse occasioni la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 391-bis c.p.c. nella parte in cui non prevedeva la revocazione delle decisioni della Suprema Corte per contrasto con precedente giudicato (v., tra le altre, Cass. 27 aprile 2004, n. 7998; Cass., Sez. Un., 2 agosto 1993, n. 8528), evidenziando, in proposito, che l'esclusione del rimedio della revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 5 non comporta una violazione del diritto di difesa, riguardando i limiti e le condizioni di operatività del giudicato, affidati alla valutazione discrezionale del legislatore ordinario, attesa la primaria esigenza per ogni sistema giuridico processuale di evitare che l'attività di giudizio si protragga all'infinito (cfr., tra le altre, Cass. 1° marzo 2001, n. 2969; Cass. 28 marzo 2000, n. 3735).

Successivamente, però, la stessa Corte di Cassazione - posta di fronte alla peculiare fattispecie processuale della decisione difforme di un medesimo caso da parte di due pronunce rese dalla medesima sezione nella stessa camera di consiglio - aveva sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale q.l.c. dell'art. 391-bis c.p.c. rispetto al parametro dell'art. 24, secondo comma, Cost., che tutela il diritto di difesa, nella parte in cui non prevede la revocazione delle sentenze di merito della Corte di cassazione per contrasto con precedente giudicato (Cass. ord. 30 aprile 2005, n. 9027, FI, I, 2326 con nota di Impagnatiello). Il problema non era peraltro stato risolto nel merito dalla Corte Costituzionale, la quale aveva dichiarato inammissibile la questione prospettata per irrilevanza, sottolineando che, in presenza di una costante giurisprudenza di legittimità per la quale, in ipotesi di contrasto di giudicati, prevale il secondo giudicato, sempre che quest'ultimo non sia stato sottoposto a revocazione, il giudice a quo non aveva adempiuto all'onere di motivare, ai fini della rilevanza della questione proposta, su una necessaria, preliminare delibazione, in ordine all'interesse della parte ricorrente alla revocazione di una pronuncia di condanna di ammontare inferiore rispetto a quella contenuta nella sentenza che secondo la regola giurisprudenziale indicata, dovrebbe regolare i rapporti fra le parti in caso di accoglimento della domanda proposta, restando in tal modo esclusa la possibilità di controllo della rilevanza della questione stessa (C Cost. 24 febbraio 2006, n. 77, in Giur. Cost., 2006, 1). A questo punto la Corte di Cassazione, pur decidendo nei medesimi termini della Corte Costituzionale quanto alla carenza di interesse del ricorrente per la prevalenza nella fattispecie concreta del giudicato più favorevole per lo stesso, aveva al contempo precisato, in un significativo obiter dictum, che è ammissibile l'impugnazione per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 5, almeno avverso una pronuncia della Corte di cassazione che abbia deciso la causa nel merito (Cass. 22 agosto 2006, n. 18234, GC, 2007, I, 119 ed in GI, 2007, I, 1722, con nota di Ronco). D'altra parte, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel comporre il contrasto di giurisprudenza che si era formato sulla questione, hanno chiarito che avverso le sentenze di mera legittimità della Corte di cassazione non è ammissibile l'impugnazione per revocazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell'art. 395, n. 5, c.p.c., non essendo tale ipotesi espressamente contemplata nella disciplina anteriore al d.lg. n. 40/2006 (applicabile nella specie), né in quella successiva (art. 391 bis e 391-ter c.p.c.), secondo una scelta discrezionale del legislatore - non in contrasto con alcun principio e norma costituzionale, atteso che il diritto di difesa e altri diritti costituzionalmente garantiti non risultano violati dalla disciplina delle condizioni e dei limiti entro i quali può essere fatto valere il giudicato, la cui stabilità rappresenta un valore costituzionale - condivisibile anche alla luce della circostanza che l'ammissibilità di tale impugnazione sarebbe logicamente e giuridicamente incompatibile con la natura delle sentenze di mera illegittimità, che danno luogo solo al giudicato in senso formale e non a quello sostanziale (Cass., Sez. Un., 30 aprile 2008, n. 10867).

Revocazione “straordinaria” (ed opposizione di terzo) delle decisioni di merito della corte di cassazione

L'art. 391-ter c.p.c., che ha introdotto i rimedi della revocazione straordinaria e dell'opposizione di terzo avverso le pronunce con le quali la S.C. abbia deciso la controversia nel merito, è stato emanato, nell'ambito della più generale riforma realizzata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, al fine di colmare un'evidente lacuna dell'assetto precedente circa i rimedi esperibili avverso la decisione con la quale la Corte di Cassazione emana una pronuncia senza rinvio sostitutiva nel merito. La dottrina aveva osservato, infatti, che le decisioni di merito rese dalla S.C., in quanto idonee a passare in cosa giudicata sostanziale ai sensi dell'art. 2909 c.c., dovrebbero essere assoggettate ai medesimi rimedi impugnatori delle altre pronunce di merito e non soltanto alla revocazione per errore di fatto prevista per le decisioni della Suprema Corte dall'art. 391-bis c.p.c. (Consolo (- Luiso – Sassani), 1996,484 ss).

Secondo alcuni, tuttavia, i rimedi predisposti dalla norma in commento sarebbero comunque insufficienti per tutelare adeguatamente le parti a fronte dell'emanazione di una decisione nel merito da parte della Corte di Cassazione poiché le stesse continuano a non disporre di alcun mezzo di impugnazione per contestare la nullità della sentenza di merito della Cassazione, anche in presenza di gravi vizi di nullità come quelli derivanti, ad esempio, dalla violazione del principio del contraddittorio e dall'omessa pronuncia (Balena 2004).

Peraltro, la stessa Corte di legittimità ha ormai più volte evidenziato, sotto un distinto profilo, che la scelta del legislatore, espressa dalla norma di cui all'art. 391-ter c.p.c., di non assoggettare a revocazione anche le sentenze di mera legittimità della Corte di cassazione, oltre a quelle che decidono anche il merito, emesse ai sensi dell'art. 384, comma secondo, c.p.c., non comporta vizi d'incostituzionalità della norma di cui al citato art. 391-ter c.p.c., sia perché l'estensione delle ipotesi di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione può essere operata solo dal legislatore, nell'ambito delle valutazioni discrezionali di sua competenza, alle quali non rimane estranea l'esigenza, costituzionalizzata nell'art. 111 Cost., di evitare che i giudizi si protraggano all'infinito, sia perché un'eventuale difforme interpretazione della norma richiederebbe al giudice delle leggi un'inammissibile addizione, ponendo in essere un significativo mutamento dell'intero sistema processuale vigente (Cass. 14 gennaio 2011, n. 862).

Il riferimento normativo ai “provvedimenti” mediante i quali la Suprema Corte ha deciso la controversia nel merito implica che la revocazione straordinaria e l'opposizione di terzo possano essere proposte anche avverso le decisioni nel merito assunte in forma di ordinanza.

Più in particolare, l'art. 391-ter c.p.c. ha, in primo luogo, stabilito l'impugnabilità per revocazione per i motivi di cui ai n. 1, 2, 3 e 6, del primo comma dell'art. 395 c.p.c. delle pronunce di merito della Corte di Cassazione: ne deriva che, prevista già la revocazione per errore di fatto dall'art. 391-bis c.p.c., l'unica ipotesi di revocazione non contemplata per tali decisioni è quella di cui al n. 5 dell'art. 395 c.p.c..

La norma precisa soltanto che il ricorso per revocazione da proporre alla stessa Corte di legittimità, deve contenere, a pena di inammissibilità rilevabile d'ufficio, gli elementi di cui all'art. 398, secondo e terzo co., ossia l'indicazione del motivo di revocazione e delle prove che dimostrino la sussistenza dello stesso nonché del giorno in cui la parte ne ha avuto conoscenza, al fine della verifica relativa alla tempestività dell'impugnazione straordinaria ed essere sottoscritto da un difensore munito di procura speciale.

Secondo alcuni, peraltro, potrebbero trovare applicazione anche gli artt. 365 ss. c.p.c. concernenti la proposizione del ricorso per cassazione, dovendosi estendere al ricorso per revocazione proposto dinanzi alla S.C. le caratteristiche dell'ordinario ricorso per cassazione, mentre, tuttavia, non sarebbe anche applicabile – almeno per il periodo nel quale tale disposizione deve ritenersi vigente sino all'intervenuta abrogazione per i giudizi incardinati successivamente alla data del 4 luglio 2009 di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009 n. 69 - al ricorso per revocazione l'art. 366-bis c.p.c.sull'onere del ricorrente di formulare il quesito di diritto, sia perché la norma si riferisce espressamente ai motivi di ricorso per cassazione, sia in quanto la finalità del ricorso per cassazione sarebbe estranea alla funzione nomofilattica svolta dalla Suprema Corte.

Peraltro, la Corte di Cassazione sembra non aver aderito a tale impostazione poiché ha precisato che l'art. 366-bis c.p.c.applicabile al ricorso per revocazione per errore di fatto proposto ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c.avverso le sentenze della Corte di Cassazione (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4640): infatti, poiché questo orientamento è stato giustificato per il richiamo operato dallo stesso art. 391-bis c.p.c. alle norme dettate per la proposizione del ricorso per cassazione dagli artt. 365 ss, laddove si ritengano analogicamente applicabili tali disposizioni anche alla proposizione dei ricorsi per revocazione straordinaria o di opposizione di terzo avverso le decisioni di merito della Cassazione, anche in tal caso dovrà essere formulato il quesito di diritto.

Il primo comma dell'art 391-ter c.p.c. ha anche previsto la possibilità di impugnare le decisioni della Corte con l'opposizione di terzo: l'omessa specificazione in ordine al tipo di opposizione esperibile induce a ritenere che siano proponibili tanto l'opposizione di terzo ordinaria quanto quella revocatoria. Questa posizione è del resto coerente anche con le esigenze di tutela che la nuova norma vuole tutelare poiché una decisione di merito della Corte di Cassazione, idonea a passare in cosa giudicata sostanziale ed a recare una condanna esecutiva, può pregiudicare sia gli interessi dei terzi titolari di un diritto autonomo ed incompatibile rispetto a quello dedotto in giudizio nonché un litisconsorte necessario pretermesso, sia i creditori ed aventi causa di una delle parti i quali subiscano gli effetti ultra partes di una decisione frutto di dolo o collusione a loro danno. Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pur negando l'esperibilità dell'opposizione di terzo ordinaria da parte del litisconsorte pretermesso rispetto ad una sentenza della S.C., avevano evidenziato, in motivazione, che la conclusione cui erano pervenute derivava dalla natura di mera legittimità e quindi dall'idoneità ad incidere sul rapporto sostanziale controverso delle decisioni della Cassazione, sottolineando che la soluzione sarebbe stata diversa nell'ipotesi di una pronuncia di merito della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un., 10 aprile 1999, n. 238, GC, I, 1579). L'opposizione deve essere proposta ai sensi del secondo co. dell'art. 405 c.p.c., ovvero alla Corte di Cassazione mediante atto di citazione, il quale deve contenere, oltre agli elementi di cui all'art. 163 c.p.c., anche l'indicazione della sentenza impugnata e, nel caso di opposizione, l'indicazione del giorno in cui il terzo è venuto a conoscenza del dolo o della collusione, e della relativa prova.

Riferimenti
  • Asprella, Breve rassegna tematica dell'errore di fatto in cassazione, gc, 2001, i, 703;
  • Balena, L'impugnazione delle sentenze di cassazione, in riv. dir. civ., 2004, i, 107;
  • Chiarloni, Prime riflessioni sulla delega per la riforma del procedimento in cassazione, rf, 2005, 901 ss;
  • consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova 2006;
  • Consolo – Luiso – Sassani, commentario alla riforma del processo civile, milano 1991; farina, problemi risolti e questioni ancora aperte in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, gc, 2004, i, 2971;
  • Impagnatiello, la revocazione delle decisioni della cassazione tra corte costituzionale e legislatore delegato, fi, 2005, i, 2326;
  • Luiso – Sassani, la riforma del processo civile, milano 2006;
  • Ronco, la sentenza in conflitto con il giudicato precedente: revocazione, cassazione (e revocazione della cassazione), gi, 2007, i, 1727.
Sommario