Condotte riparatorie ed estinzione del reato: l'intervento della Corte costituzionale

La Redazione
25 Marzo 2024

Con la sentenza n. 45 del 21 marzo 2024, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 274/2000, nella parte in cui prevede che, per i reati di competenza del giudice di pace, l'imputato possa procedere alla riparazione del danno cagionato dal reato solo prima dell'udienza di comparizione, anziché entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Inquadrata nel complessivo contesto normativo, evolutosi nel tempo, La Corte ha ritenuto la sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000 è fondata in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della dedotta violazione del principio di ragionevolezza.

In motivazione i giudici evidenziano come «la peculiarità del processo penale innanzi al giudice di pace, avente ad oggetto fatti di minore gravità, risiede in un approccio duttile che non è quello della necessaria applicazione della pena come inesorabile conseguenza del reato: i comportamenti illeciti addebitati all'imputato chiamano in gioco l'attività di mediazione del giudice e, ancor prima, possono essere valutati alla luce degli specifici istituti di mitigazione della risposta sanzionatoria: quello della esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto (art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000) e quello dell'estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 35, in esame). Costituisce, poi, prescrizione generale quella che richiede che il giudice di pace favorisca, nel corso del procedimento e per quanto possibile, la conciliazione tra le parti (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000). La Corte, in numerose occasioni, ha evidenziato tali peculiari connotazioni del processo penale innanzi al giudice di pace (cfr. Corte cost. n. 120/2019; Corte cost. n. 224/2021; Corte cost. n. 64/2009)».

Questa marcata esigenza di favorire, per il tramite dell'attività di mediazione del giudice, la conciliazione tra le parti, anche e soprattutto mediante le condotte riparatorie dell'imputato «mostra la incoerenza del termine finale, previsto dalla disposizione censurata, per porre in essere e perfezionare tali condotte; termine che scade prima che l'imputato compaia innanzi al giudice stesso. Il ruolo di quest'ultimo come conciliatore, il cui luogo di fisiologica esplicazione è proprio l'udienza di comparizione, risulta impedito da un termine perentorio che, previsto prima di tale udienza, frustra la stessa funzione del giudice non consentendogli di avviare le parti, imputato e persona offesa, ad un accordo sull'entità della riparazione del danno e delle restituzioni e sulle modalità di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato».

La preclusione, che discende dalla rigida applicazione del termine recato dalla disposizione censurata, costituisce un fattore di irragionevolezza in una sequenza procedimentale che dovrebbe, invece, favorire, proprio nell'udienza di comparizione, «ove avviene il primo contatto tra le parti e il giudice» (ordinanza n. 11 del 2004), la conciliazione, della quale la condotta riparatoria rappresenta una modalità di attuazione. L'attività conciliativa e di mediazione del giudice di pace è irragionevolmente pregiudicata dalla previsione di un termine perentorio scaduto «prima dell'udienza di comparizione».

Al contrario, concludono i giudici, «la fissazione del termine ad quem nella dichiarazione di apertura del dibattimento, auspicata dal giudice rimettente, consente di realizzare in modo più ampio la finalità deflattiva, con evidente risparmio di attività istruttorie e di spese processuali, quando – integrata la fattispecie estintiva del reato conseguente a condotte riparatorie – non ha inizio alcuna attività dibattimentale».

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