Cessione di ramo d’azienda: inefficace la cessione ex art. 2112 c.c. per interdipendenza del ramo ceduto con la cedente

27 Marzo 2024

La decisione in commento, all'esito di una lunga e accurata attività istruttoria, ribadisce che la cessione di ramo d'azienda ex art. 2112 c.c. deve riguardare necessariamente delle strutture aziendali dotate di struttura organizzativa e autonomia funzionale. In caso contrario la cessione ex art. 2112 c.c. è inefficace e l'effetto circolatorio del rapporto di lavoro non può operare poiché manca il consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.c. Nel verificare la sussistenza dei predetti presupposti assume particolare importanza l'interdipendenza del ramo ceduto con la cedente che può manifestarsi con le indispensabili interazioni fra i dipendenti ceduti e quelli della cedente e il perdurante utilizzo dei sistemi informatici della cedente.

Massima

In ipotesi di cessione di ramo d'azienda ex art. 2112 c.c. sussiste sempre l'interesse dei lavoratori coinvolti nella cessione ad agire in giudizio per l'accertamento della legittimità e dell'efficacia dell'operazione in quanto titolari di un diritto di credito nei confronti della controparte datoriale in ragione del quale non può mai considerarsi irrilevante il mutamento del soggetto passivo del rapporto.

Il caso

La cessione di sette “Agenzie di Produzione e Assistenza Commerciale” del gruppo bancario italiano ad una multinazionale operante nel settore della consulenza strategica

Da quanto emerge leggendo la ricostruzione in fatto contenuta nella decisione in commento, la controversia giunta al cospetto del Tribunale di Roma prende le mosse dalla decisione di un noto gruppo bancario italiano di implementare una riorganizzazione interna anche previa cessione di alcune strutture interne ad un colosso globale multinazionale, con la quale il noto gruppo bancario italiano avrebbe poi sottoscritto dei contratti di servizi per continuare ad avvalersi dell'attività delle strutture oggetto di esternalizzazione.

Più nel dettaglio, oggetto di cessione sono state sette “Agenzie di Produzione e Assistenza Commerciale” (c.d. APAC) che il gruppo bancario italiano, dopo aver esperito la procedura di informazione e consultazione sindacale ex art. 47 della L. n. 428/1990, ha ceduto alla multinazionale nel marzo 2022, unitamente ai 509 dipendenti addetti alle medesime APAC, transitati alla cessionaria ex art. 2112 c.c.

Nel corso del giudizio di primo grado è risultato provato il fatto che non tutte le APAC presenti nel gruppo bancario italiano sono state cedute, ma solo sette di esse ed è altresì emerso che la configurazione delle APAC era stata, nel recente passato, oggetto di modifiche. Da ché deriva il sospetto dei lavoratori che il gruppo bancario italiano abbia voluto convogliare nelle APAC da cedere i dipendenti di cui la cedente voleva disfarsi, come emergerebbe dal fatto che tra i 509 lavoratori transitati vi sarebbe un elevato numero di personale disabile o che fruisce dei permessi di cui alla L. n. 104/1992.

In particolare, è risultato provato, stando al tenore letterale della decisione, che le APAC cedute «erano meri reparti all'interno di D.O. del gruppo bancario italiano S.P.A. non cedute e che risultavano essere state solo “svuotate” di alcune APAC; che il gruppo bancario italiano S.P.A. nel maggio 2021, proprio in prossimità dell'operazione di cessione, aveva provveduto ad effettuare una nuova organizzazione delle strutture e modifica del perimetro delle attività svolte, determinando la soppressione e la creazione di nuove APAC e uffici; che, in particolare, era stato creato un nuovo reparto di assistenza commerciale (non oggetto di cessione) al fine di sottrarre alla cessione tale attività di assistenza commerciale svolta da ciascun ramo; che l'attività di assistenza commerciale era rimasta nel gruppo bancario italiano S.P.A. ma non anche i lavoratori che vi erano addetti; che alcune persone erano state trasferite da un ufficio all'altro (ad es. responsabili e referenti di rami ceduti e referenti erano stati spostati in reparti non ceduti e viceversa; dipendenti del gruppo bancario italiano S.P.A. appartenenti ai rami ceduti erano stati trasferiti prima della cessione in reparti non oggetto di esternalizzazione); […] che con la suddetta operazione – antecedente alla formale cessione - la Banca aveva individuato porzioni di attività da cedere; che di fatto la cessione si era concretizzata nello scorporo solo di alcune “fasi di servizi”, nell'ambito di più ampie strutture e lavorazioni unitarie preesistenti; che la cessione in questione era stata ideata dal gruppo bancario italiano S.P.A. nel dicembre 2020 con individuazione della multinazionale S.T. S.r.l. come cessionaria».

Di fronte a tale quadro fattuale, l'azione incardinata verso cedente e cessionarie da alcuni dei 509 dipendenti transitati alla multinazionale mirava, da un lato, a ottenere l'accertamento dell'assenza dei requisiti di autonomia funzionale dei rami d'azienda oggetto di cessione richiesti dall'art. 2112 c.c. e, dall'altro, a ottenere l'accertamento della natura asseritamente discriminatoria della cessione che sarebbe stata determinata dalla volontà di disfarsi di lavoratori in condizioni di disabilità, fragilità o caregivers.  All'esito di tale accertamento, i ricorrenti chiedevano al giudice adito di dichiarare la continuità giuridica e l'attuale persistenza del rapporto di lavoro dei ricorrenti con il gruppo bancario italiano S.P.A. e, conseguentemente, di ordinare alla medesima di ripristinare la concreta operatività del rapporto di lavoro con i ricorrenti nelle mansioni e nel posto di lavoro occupato sino al momento della cessione», nonché il pagamento delle retribuzioni ordinarie dalla data della sentenza.

Nei loro scritti difensivi le cessionarie, convenute in giudizio, hanno chiesto il rigetto del ricorso sulla base della asserita autonomia e autosufficienza dei rami oggetti di cessione, i quali avrebbero continuato a interagire con la cedente solo nell'ambito dei contratti di servizi sottoscritti dopo la cessione.

Ad avviso del Tribunale di Roma, tuttavia, le resistenti non hanno assolto all'onere della prova sulle stesse gravanti poiché le società cessionarie  «non hanno fornito la prova che i rami d'azienda trasferiti si atteggiassero come una sorta di “micro-aziende”, capaci da sole di rendere il servizio che svolgevano nell'ambito della società cedente, senza necessità di dipendenza o interazione con quest'ultima» in quanto l'attività da loro svolta sarebbe «totalmente priva di autonomia funzionale, atteso che questi ultimi operano seguendo pedissequamente le linee guida organizzative determinate a livello centrale dalla banca cedente, impiegando i sistemi applicativi informatici concessi in uso dalla stessa. Pertanto, per quanto emerso, risultano ceduti soltanto lavorazioni e reparti».

Sulla base di tali considerazioni dirimenti relative ai fatti accertati nel giudizio e al mancato assolvimento dell'onere della prova da parte delle convenute, il Giudice afferma che «Alla luce di quanto esposto […] deve affermarsi che, nella fattispecie, non ricorre l'ipotesi di cessione di rami di azienda organicamente finalizzati all'esercizio dell'attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento, non potendo, quindi, ritenersi applicabile il disposto di cui all'art. 2112 c.c. Pertanto, l'operazione negoziale […] deve essere disciplinata secondo quanto disposto dall'art.1406 c.c. in tema di cessione del contratto. Poiché anche in tale ipotesi la cessione risulterebbe nulla, in quanto avvenuta senza il consenso dei lavoratori coinvolti ritiene il giudicante che la cessione oggetto di giudizio tra il gruppo bancario italiano e la società multinazionale sia totalmente improduttiva di effetti e, pertanto, deve essere disposto il ripristino del rapporto di lavoro delle parti ricorrenti presso il gruppo bancario italiano S.P.A. dal 1° giugno 2022 con ogni conseguenza giuridica ed economica».

Le questioni giuridiche

Carenza di interesse ad agire, autonomia dei rami ceduti e natura discriminatoria della cessione

La principale e dirimente questione giuridica che il Tribunale di Roma ha dovuto esaminare nella risoluzione della controversia incardinata dai dipendenti del noto gruppo bancario italiano transitati nella multinazionale consiste nella sussumibilità dei rami d'azienda oggetto di cessione nella nozione di cui all'art. 2112 c.c. come definita dalla giurisprudenza, secondo la quale “l'elemento essenziale che caratterizza la cessione del ramo di azienda è la preesistenza di una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all'interno della cedente e il mantenimento di tale struttura all'interno del cessionario” (così, ex multis, Cass. 27 maggio 2014, n. 11832).

Ebbene, sul punto la sentenza in commento conferma che in tali controversie è fondamentale il convincimento che si radica nel giudice all'esito dell'attività istruttoria. Nel caso di specie, il Giudice si è convinto che i rami oggetto di cessione non fossero, in realtà, tali in quanto sprovvisti della struttura organizzativa e dell'autonomia funzionale richieste dalla disposizione sia codicistica sia prima della cessione che dopo la stessa, come evidenziato dalla perdurante dipendenza delle strutture trasferite dalla banca cedente.

Secondo il Giudice «nel caso di specie, l'attività dei rami ceduti appare totalmente priva di autonomia funzionale, atteso che questi ultimi operano seguendo pedissequamente le linee guida organizzative determinate a livello centrale dalla banca cedente, impiegando i sistemi applicativi informatici concessi in uso dalla stessa. Pertanto, per quanto emerso, risultano ceduti soltanto lavorazioni e reparti». Peraltro, per il Giudice, la carenza di autonomia non caratterizza i rami solo dopo la cessione ma anche prima, mancando anche il requisito della preesistenza, costantemente affermato dalla giurisprudenza di Cassazione richiamata nella decisione (cfr. Cass. n. 1769 del 24/1/2018, Cass. n. 18954 dell'11/9/2020 e Cass. n. 6649 del 9/3/2020) e strettamente legato al concetto di autonomia funzionale in quanto una struttura aziendale non può acquisire autonomia per il solo fatto e nel momento del trasferimento.

Particolarmente rilevante ai fini dell'accertamento effettuato dal Giudice è risultato l'elevato livello di interazione tra le strutture cedute e la banca cedente e, in particolare, le indispensabili interazioni fra i dipendenti ceduti e quelli della cedente e il perdurante utilizzo dei sistemi informatici della cedente. Tutti elementi dai quali, secondo il Giudice, trova conferma il fatto che le APAC cedute fossero «frazioni non coordinate fra loro di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità cioè al ramo di azienda già costituito».

Un'altra questione giuridica posta all'attenzione del giudicante è la asserita natura discriminatoria della cessione con la quale la banca cedente avrebbe inteso disfarsi di lavoratori fragili, disabili o caregivers. Tale profilo, seppure di indubbio interesse, non è stato tuttavia sviluppato nella approfondita decisione in commento in quanto assorbito dall'accertata assenza dei requisiti costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2112, comma 5, c.c.

Il Giudice romano è stato chiamato a pronunciarsi anche sulla carenza di interesse dei lavoratori ricorrenti, dedotta dalle ricorrenti, secondo le quali il mantenimento dell'occupazione a condizioni sostanzialmente analoghe a quelle precedenti rendeva carente l'interesse ad agire dei ricorrenti. Anche questa eccezione viene respinta dal Giudice secondo il quale “quando l'azione proposta in giudizio ha finalità di accertamento, non viene considerata legittima solo allorquando si ravveda la lesione concreta e attuale di un diritto in capo alla sfera giuridica attorea, ma anche in tutti i casi in cui il rapporto giuridico dedotto in giudizio risulti afflitto da incertezze superabili solo mediante l'intervento del giudice (ex multis cfr. Cass. 31/7/2015 n. 16262; Cass. 24/10/2017 n. 25144). Nel caso di specie la sussistenza della legittimazione attiva dei ricorrenti può essere a fortiori ravvisata guardando alla natura della materia del contendere. Infatti, qualora si verifichi la cessione di un ramo d'azienda ex art. 2112 c.c., i lavoratori coinvolti nella cessione sono sempre legittimati ad accertare in giudizio la legittimità e l'efficacia dell'operazione in quanto titolari di un diritto di credito nei confronti della controparte datoriale in ragione del quale non può mai considerarsi irrilevante il mutamento del soggetto passivo del rapporto”.  

Le soluzioni giuridiche

L'inefficacia della cessione ex art. 2112 c.c. e il ripristino del rapporto di lavoro con la cedente

Risolte come sopra le principali questioni giuridiche sottese alla controversia, il Tribunale di Roma ha risolto il caso dichiarando inefficace il trasferimento di ramo d'azienda, poiché, essendo sprovvisto dei requisiti di cui all'art. 2112 c.c., la cessione del contratto di lavoro dal gruppo bancario italiano alla multinazionale, fuori dall'operatività della predetta norma codicistica, presupponeva il consenso del contraente ceduto, e cioè dei lavoratori trasferiti insieme alle APAC, ai sensi dell'art. 1406 c.c. in tema di cessione del contratto. Consenso che, ovviamente, non era stato né richiesto né presentato essendo stata l'operazione condotta sulla base dell'art. 2112 c.c.

Meramente accennata resta, invece, la soluzione dell'annoso problema delle conseguenze economiche della declaratoria di inefficacia del trasferimento d'azienda ex art. 2112 c.c. Il Giudice, sul punto, non dice molto, limitandosi a ordinare al noto gruppo bancario italiano di ripristinare il rapporto di lavoro dei ricorrenti alle proprie dipendenze nel posto in precedenza occupato a far data dal 1° giugno 2022, con ogni conseguenza giuridica ed economica.

Si rammenta che, sul punto, esiste un acceso dibattito sulla possibilità di una “doppia retribuzione” che pare essere stata ammessa dalla Cassazione nella sentenza del 3 luglio 2019, n. 17785 secondo la quale, sul cedente, ovvero l'originario datore di lavoro, grava l'obbligo di corrispondere la retribuzione al lavoratore, anche in caso di mancata riammissione effettiva al lavoro e qualora il cessionario abbia corrisposto a sua volta somme a titolo di retribuzione al lavoratore medesimo viene esclusa qualsiasi compensazione rispetto alla retribuzione dovuta dal datore di lavoro cedente. Opinione non condivisa da altre decisioni secondo le quali, quando il lavoratore costituisce regolarmente in mora l'imprenditore cedente ma continua a lavorare alle dipendenze del cessionario, la controprestazione retributiva effettuata da quest'ultimo nei confronti del dipendente libera anche il cedente dall'obbligo di pagare la prestazione offertagli (cfr. Trib. Roma, 12 gennaio 2021, n. 113).

Riferimenti bibliografici

S. D'Ascola, Requisiti di legittimità della circolazione del ramo d'azienda nel settore del credito, in Altalex, 6 marzo 2023.

G. I. Vigliotti, Trasferimento d'azienda illegittimo: non c'è «doppia retribuzione», in Mass. giur. lav., 2, 2021, p. 545 ss.