Le ricadute della l. n. 168/2023 in tema di indennizzo delle vittime di violenza

10 Aprile 2024

Gli ultimi interventi normativi – a partire dalla legge n. 69/2019 per giungere alla legge n. 168/2023 – si propongono di rafforzare la tutela delle vittime di maltrattamento, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni, connessi a contesti familiari o nell'ambito di relazione di convivenza (violenza domestica e di genere), anche attraverso la previsione di forme di tutela indennitaria per le vittime di reati violenti, con il riconoscimento di indennizzi alle vittime di reato.

L'evoluzione della normativa in materia di violenza di genere

La legge n. 69/2019, intitolata «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», è la risposta fornita dal legislatore italiano per contrastare gravi fenomeni delittuosi ne confronti dei soggetti vulnerabili.

Tale intervento normativo si è reso necessario a seguito dell'allarme sociale suscitato dall'elevato numero di reati commessi con violenza alla persona e la complessità investigativa relativa alle nuove forme di aggressione che si manifestano nello spazio virtuale dei social network.

La legge si compone di 21 articoli che riflettono un approccio interdisciplinare, poiché il legislatore ha modificato il codice penale, il codice di procedura penale, ed anche la disciplina non direttamente penalistica, ma connessa alla salvaguardia delle persone offese da tale tipologia di delitti, che la legge vuole tutelare in modo severo ed in tempi rapidi.

La legge n. 69/2019 tenta di adeguare il nostro ordinamento ai livelli richiesti dalla normativa sovranazionale (soprattutto, dalla Convenzione di Istanbul e dalla dir. 2012/29/UE, in materia di «diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato») e alla decisione del 2 marzo 2017, resa dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo nel caso Talpis c. Italia, che aveva condannato il nostro Paese per non aver assicurato una tutela effettiva alla ricorrente - vittima di ripetute violenze da parte del marito, sfociate nell'omicidio del figlio e nel tentato omicidio della stessa ricorrente - a causa dei ritardi nella procedura e della mancata adozione di misure idonee a prevenire il ripetersi delle aggressioni denunciate dalla donna. Le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio.

In tale pronuncia, il giudice europeo ha evidenziato che «il semplice passare del tempo può nuocere all'inchiesta, ma anche compromettere definitivamente la possibilità che questa sia portata a termine», considerato che «il passare del tempo intacca inevitabilmente la quantità e la qualità delle prove disponibili». D'altro canto, aggiungono i giudici europei, «l'apparenza di una mancanza di diligenza porta a dubitare della buona fede con cui vengono condotte le indagini e fa perdurare lo stato di prostrazione cui sono sottoposti i denunciati».

Il requisito della tempestività (ragionevole) è, quindi, implicito nel contesto di un'indagine efficace ai sensi dell'art. 2 Cedu.

In ogni caso, fra i diversi atti un ruolo assolutamente centrale è svolto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del 2011, meglio nota come Convenzione di Istanbul cui è, univocamente, riconosciuta come il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante il cui principale obiettivo è quello di creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza, nonché prevedere la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni a questo scopo deputate.

Particolarmente rilevante è il riconoscimento espresso della violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani. Con l'espressione «violenza nei confronti delle donne» si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata. L'espressione «violenza domestica» designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. Con il termine «genere»' ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; l'espressione «violenza contro le donne basata sul genere» designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato e per «vittima» si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti menzionati. Si tratta di una violenza che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali si estendono le medesime norme di tutela. La Convenzione individua negli Stati le prime istituzioni a dover rispettare gli obblighi da essa imposti, i cui rappresentanti, intesi in senso ampio, dovranno garantire comportamenti privi di ogni violenza nei confronti delle donne.

La Convenzione stabilisce, inoltre, un chiaro legame tra l'obiettivo della parità tra i sessi e quello dell'eliminazione della violenza nei confronti delle donne.

Di rilievo, inoltre, la previsione che stabilisce l'applicabilità della Convenzione sia in tempo di pace sia nelle situazioni di conflitto armato, circostanza, quest'ultima, che da sempre costituisce momento nel quale le violenze sulle donne conoscono particolare esacerbazione e ferocia.

Gli obiettivi della Convenzione sono quello di proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne; predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica (A. Marandola, Codice rosso (profili processual-penalistici), in Dir. Pen. e Processo, 2021, 965).

Pertanto, la ratio della nuova normativa, finalizzata a incrementare la tutela offerta dallo Stato alle vittime di delitti univocamente individuati come di violenza domestica e violenza di genere, prende le mosse dalle numerose istanze sovranazionali in materia di protezione di soggetti vulnerabili

Nell'attuale legislatura è stata creata invece la prima commissione di inchiesta sui femminicidi di tipo bicamerale, cioè composta dai parlamentari di entrambe le Camere, dunque, quindi con un peso politico maggiore. Tuttavia, la proposta di legge per istituire la commissione è stata approvata il 1° febbraio 2023, ma l'organo ha iniziato i suoi lavori solo il 26 luglio di quest'anno.

Oltre alle commissioni parlamentari, dal 2015 il Dipartimento per le Pari Opportunità ha attivato tre piani strategici nazionali sulla violenza maschile contro le donne, noti come «piani antiviolenza», per sostenere l'azione del governo nella lotta alla violenza di genere. I piani sono coordinati da una cabina di regia e da un comitato tecnico, di cui fanno parte, oltre alle amministrazioni centrali e gli enti locali, le associazioni più rappresentative in materia di contrasto alla violenza sulle donne. I piani antiviolenza sono strutturati in quattro ambiti definiti quattro P: «prevenzione, protezione e sostegno, perseguire e punire, assistenza e promozione». È importante rilevare che la legge di bilancio per il 2023, ha aumentato di dieci milioni di euro i fondi a disposizione del piano, che ora ammontano a quindici milioni di euro, misura quanto mai opportuna.

La tutela indennitaria delle vittime di reati violenti

Con la direttiva n. 2004/80/CE (art. 12, par. 2 direttiva 2004/80/CE), il legislatore comunitario ha imposto agli Stati membri di introdurre una tutela indennitaria per le vittime di reati violenti entro il luglio del 2005 relativa all'indennizzo delle vittime di reato.

Obiettivo della normativa, in attuazione di quanto statuito dal Consiglio Europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 (considerando n. 3), è quello di garantire alle vittime di reato «il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo [dell'Unione] europea in cui il reato è stato commesso» (considerando n. 6), stabilendo «un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori» (considerando n. 7), sulla base della considerazione di fatto per chi – spesso – i rei non godono di sostanze proprie, tali da consentire un adeguato e pieno ristoro delle persone offese (considerando n. 10).

Il citato art. 12 par. 2, secondo la Corte UE, deve essere interpretato nel senso che di:

a) garantire al cittadino dell'UE il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite nel territorio di uno Stato membro nel quale si trova, nell'ambito dell'esercizio del proprio diritto alla libera circolazione;

b) di imporre a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio (Corte UE, 11 ottobre 206, Commissione contro Italia, C-601/14).

Tale obbligo riguarda qualsiasi reato intenzionale violento commesso sul territorio dello Stato membro, come la violenza sessuale.

Il giudice europeo ha affermato che: il diritto dell'UE deve essere interpretato nel senso che lo Stato membro possa dirsi responsabile per il danno causato dalla mancata trasposizione tempestiva dell'art. 12, par. 2 della direttiva, nei confronti di vittime residenti in detto Stato membro, nel cui territorio il reato intenzionale violento è stato commesso (Corte UE, 16 luglio 2020, C-129/2019).

In altre parole, la disposizione della direttiva si rivolge a tutte le vittime di reati intenzionali violenti e non solo a quelle che si trovino in una condizione transfrontaliera. Quindi, anche i soggetti residenti possono ottenere un indennizzo, qualora siano vittime di tali reati.

L'Italia ha dato attuazione all'art. 12 § 2 della direttiva con la legge 7 luglio 2016, n. 122 (c.d. Legge Europea 2015-2016), entrata in vigore il 23 luglio 2016.

In particolare, l'art. 11 legge n. 12/2016 riconosce il diritto all'indennizzo a carico della Repubblica Italiana alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona, compresa la violenza sessuale, nonché a favore degli aventi diritto della vittima, in caso di morte della stessa in conseguenza del reato.

La successiva legge n. 167/2017, segnatamente art. 6, ha riconosciuto il diritto all'indennizzo anche alle vittime di reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 122/2016 (efficacia retroattiva).

Con successivo d.m. 31 agosto 2017 recante la «Determinazione degli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti», si è stabilito per il reato di violenza sessuale l'indennizzo nell'importo fisso di euro 4.800 (art. 1 c. 1 lett. b); il D.M. 22 novembre 2019, che ha abroga il D.M. 31 agosto 2017, ha stabilito per il delitto di violenza sessuale l'indennizzo nell'importo fisso di euro 25.000 (art. 1 c. 1 lett. c), incrementabile sino ad un massimo di euro 10.000 per spese mediche e assistenziali.

La direttiva non contiene un'indicazione relativamente all'importo dell'indennizzo né relativamente alle modalità di determinazione dello stesso, lasciando ai singoli Stati membri un margine di discrezionalità. Inoltre, la somma così individuata non è versata dall'autore del fatto, ma direttamente dallo Stato membro, per il solo fatto che nel proprio territorio si sia verificato il fatto reato e va dunque considerata la necessità di garantire la sostenibilità finanziaria di tale sistema, affinché tutte le vittime di tali reati possano essere egualmente indennizzate.

Ne consegue che siffatta somma non deve necessariamente corrispondere all'intero danno risarcibile, come accadrebbe nel caso di condanna pronunciata a carico dell'autore del fatto; in altri termini, non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subìto dalla vittima.

In definitiva, l'individuazione del quantum indennizzabile ai sensi della direttiva è valutazione rimessa al Giudice nazionale, che dovrà tenere conto della normativa interna istitutiva di tale sistema (A. Perelli, L'indennizzo alle vittime di reati dolosi violenti: tra tardivo recepimento della direttiva e sostenibilità economica del sistema, in www.dpceonline.it).

In relazione all'equità ed all'adeguatezza di un indennizzo stabilito in misura fissa, la Corte UE ha statuito che l'art. 12, par. 2, direttiva 2004/80, debba essere interpretato nel senso che: un indennizzo forfettario concesso alle vittime di violenza sessuale sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può essere qualificato come «equo ed adeguato», qualora sia fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e non rappresenti quindi un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito (Corte UE, 16 luglio 2020 C- 129/2019).

Da tale presupposto, la Corte di Cassazione ha rilevato che l'indennizzo per la violenza sessuale non deve essere puramente simbolico e va parametrato alla peculiarità del crimine e alla sua gravità (Cass. n. 26757/2020).

In particolare, si è affermato che le vittime di reati violenti, anche residenti nello stesso paese in cui è avvenuto il fatto (cosiddette «vittime non transfrontaliere»), abbiano diritto ad un indennizzo che non sia puramente simbolico e che sia parametrato alla peculiarità del crimine e alla sua gravità. Per ottenerlo, la vittima deve trovarsi nella condizione di oggettiva difficoltà nell'agire esecutivamente contro l'autore del reato, mentre non è richiesta l'assoluta impossibilità di farlo. Dall'importo risarcitorio, riconosciuto dai giudici, viene defalcata – e non cumulata - la somma, percepita dalla vittima, a titolo di indennizzo, in virtù della compensatio lucri cum danno.

Quindi, l'indennizzo non deve essere puramente simbolico e, se quantificato in via forfettaria, deve comunque considerare la peculiarità del crimine e la sua gravità.

Come noto, l'indennizzo è una prestazione indennitaria stabilita dalla legge; si tratta di un'obbligazione ex lege da assolversi nei confronti degli aventi diritto (Cass. n. 24474/2020).

L'indennizzo ex direttiva 2004/80/CE e il risarcimento del danno civile a favore della vittima, seppur non coincidenti quanto ai presupposti, titoli dell'erogazione e consistenza economica, mirano a ristorare il danno morale e materiale subito dalla vittima: il primo (ossia l'indennizzo) in misura non integrale come, invece, il secondo (vale a dire il risarcimento del danno da reato).

Invero, il risarcimento mira a coprire interamente il danno effettivamente sofferto, mentre l'indennizzo è un concetto ed istituto in cui è connaturato un certo grado di forfettizzazione per categorie, che si concilia perfettamente con il tema della sostenibilità finanziaria e della prevedibilità dei reati che lo Stato sarà chiamato ad indennizzare (annualmente).

Statisticamente si conosce il numero di reati che viene commesso ogni anno, si calcola, sempre statisticamente, il numero di quelli che resteranno impuniti o rispetto ai quali l'autore non verserà il risarcimento e che saranno pertanto «a carico» dello Stato, che potrà di conseguenza predisporre i necessari stanziamenti di bilancio (C. Amalfitano, Diritto della vittima o vittime del diritto? Un nuovo episodio dell'intricato (e contraddittorio) percorso giurisprudenziale relativo all'interpretazione della direttiva 2004/80/CE, in www.sistemapenale.it).

La legge n. 168/2023

L'aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese ha indotto il Parlamento ad approvare celermente e all'unanimità la legge n. 168/2023, recante «disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica». Il provvedimento, composto da 19 articoli, è diretto soprattutto alla prevenzione per evitare che i cosiddetti «reati spia» possano poi degenerare in fatti più gravi. E infatti l'inasprimento riguarda soprattutto chi è già stato destinatario dell'ammonimento e ricade nella stessa condotta, i cosiddetti recidivi. 

L'intento del legislatore è quello di: a) rendere più veloci le valutazioni preventive sui rischi che corrono le potenziali vittime di femminicidio o di reati di violenza; b) rendere più efficaci le azioni di protezione preventiva; c) rafforzare le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e la recidiva; d) migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza.

La legge n. 168/2023 ha il pregio di riportare anche l'attenzione su un tema particolarmente delicato in ragione della situazione delle vittime dei reati intenzionali violenti, prive di risarcimento dal reo.

In particolare, è stato modificato l'art. 13 della legge n. 122/2016, ampliando i casi di esonero della vittima dall'esercizio dell'azione esecutiva, giacché accanto alle ipotesi già contemplate di mancata individuazione del reo ovvero di insufficienza delle risorse economiche in capo al soggetto agente (per aver chiesto e ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale o civile in cui è stata accertata la sua responsabilità), la novella contempla anche i casi di omicidio nei confronti del coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dell'altra parte di un'unione civile, anche se l'unione è cessata, o di chi è o è stato legato da relazione affettiva e stabile convivenza.

Tale previsione non è, a parere di chi scrive, censurabile per disparità di trattamento rispetto ad altre fattispecie delittuose contemplate dal codice rosso (che riconoscono l'indennizzo qualora abbia esperito infruttuosamente l'azione esecutiva verso il reo, ad eccezione dei casi in cui: a) l'autore del fatto resti ignoto; b) sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato), giacché il parametro di riferimento, considerato dal legislatore – per di esonerare i soggetti beneficiari dell'indennizzo dall'intraprendere l'azione esecutiva – è legato alla gravità del delitto considerato.

Inoltre, è stato ampliato a centoventi giorni il termine di proposizione della domanda (in luogo degli originari sessanta), decorrente dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l'autore del reato o dall'ultimo atto dell'azione esecutiva infruttuosamente esperita ovvero dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale.

Restano ferme le previsioni della legge n. 167/2017 e della l. n. 145/2018 che subordinano la corresponsione  dell'indennizzo alle seguenti condizioni:

a) lett. e) la vittima non abbia percepito, in tale qualità e in conseguenza immediata e diretta del fatto di reato, da soggetti pubblici o privati, somme di denaro di importo pari o superiore a quello dovuto in base alle disposizioni di cui all'art. 11;

b) lett. e-bis) se la vittima ha già percepito, in tale qualità e in conseguenza immediata e diretta del fatto di reato, da soggetti pubblici o privati, somme di denaro di importo inferiore a quello dovuto in base alle disposizioni di cui all'art. 11, l'indennizzo di cui alla presente legge è corrisposto esclusivamente per la differenza.

Particolare interesse presenta l'introduzione di una provvisionale a titolo di ristoro anticipato in favore delle vittime di violenza.

L'articolo 17 introduce e disciplina la possibilità di corrispondere in favore della vittima di taluni reati, oppure degli aventi diritto in caso di morte della vittima, una provvisionale, ossia una somma di denaro liquidata dal giudice, come anticipo sull'importo integrale che le spetterà in via definitiva. La somma è corrisposta, su richiesta, alle vittime o agli aventi diritto, che vengano a trovarsi in stato di bisogno in conseguenza dei reati medesimi. La disposizione fa riferimento ai delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima o deformazione dell'aspetto mediante lesioni permanenti al viso, commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. In particolare, l'articolo in commento inserisce un nuovo articolo 13-bis nella legge n. 122/2016 (legge europea 2015-2016) la quale, agli articoli 11 e seguenti, reca disposizioni in materia indennizzi in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE.

Il comma 1 del nuovo articolo 13-bis introduce la provvisionale in favore della vittima (o degli aventi causa in caso di sua morte) dei delitti di cui all'articolo 11, comma 2, primo periodo, della medesima legge n. 122/2016, il quale elenca i seguenti delitti:

a) omicidio; b) violenza sessuale; c) lesione personale gravissima, ai sensi dell'articolo 583, secondo comma, del codice penale; tale norma così qualifica la lesione personale quando la medesima provochi una malattia certamente o probabilmente insanabile, la perdita di un senso, la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della parola; d) deformazione dell'aspetto mediante lesioni permanenti al viso di cui all'articolo 583-quinquies c.p., ovvero una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso.

La disposizione, come detto, si applica quando i suddetti delitti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La provvisionale è elargita su richiesta della vittima o degli aventi diritto che vengano a trovarsi in stato di bisogno ed è imputata nella liquidazione definitiva dell'indennizzo, a seguito di pronuncia di una sentenza di condanna o di patteggiamento anche non irrevocabile ovvero di emissione di decreto penale di condanna anche non esecutivo.

Il presupposto è rappresentato dallo stato di bisogno, somma che deve imputarsi al successivo indennizzo.

Quanto alle statuizioni civili, l'art. 539 c.p.p. prevede che, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, il giudice penale pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile. In tal caso, su richiesta della parte civile, il giudice penale condanna l'imputato e il responsabile civile al pagamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova. L'art. 540 c.p.p. aggiunge che la condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno è dichiarata provvisoriamente esecutiva, a richiesta della parte civile, quando ricorrono giustificati motivi. La condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva.

L'aver previsto quale condizione per accedere alla provvisionale lo stato di bisogno si giustifica in considerazione della circostanza che la somma così individuata non è versata dall'autore del fatto, ma direttamente dallo Stato membro.

Per quanto concerne la nozione di «aventi diritto», l'articolo 11, comma 2-bis, della medesima l. n. 122/2016, stabilisce che, in caso di morte della vittima a seguito del reato, l'indennizzo spetti: al coniuge superstite e ai figli; in mancanza del coniuge e dei figli, l'indennizzo spetta ai genitori e, in mancanza dei genitori, ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto. La medesima norma equipara al coniuge la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso. In mancanza del coniuge, allo stesso è equiparato il convivente di fatto che ha avuto prole dalla vittima o che ha convissuto con questa nei tre anni precedenti alla data di commissione del delitto.

Il comma 2 dell'articolo 13-bis stabilisce che le condizioni per l'accesso alla provvisionale siano quelle previste dall'art. 12, comma 1, lettere c), d) ed e) comma 1-bis, della citata legge n. 122/2016.

Con tale rinvio alla disciplina dell'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, si prevedono le seguenti condizioni per l'accesso alla provvisionale:

a) la vittima non abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati connessi, ai sensi dell'art. 12 c.p.p. (lettera c);

b) la vittima non sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p. e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (lettera d);

c) la vittima non abbia percepito, in tale qualità e in conseguenza immediata e diretta del fatto di reato, da soggetti pubblici o privati, somme di denaro di importo pari o superiore a quelle dovute in base alla legge (lettera e).

In ragione del richiamo al comma 1-bis dell'art. 12 della legge n. 122/2016, in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, le medesime condizioni devono sussistere, oltre che per la vittima anche per gli aventi diritto.

Il comma 3 del nuovo art. 13-bis stabilisce che l'istanza per la provvisionale debba essere presentata al prefetto della provincia di residenza o della provincia ove è stato commesso il fatto. A pena di inammissibilità, l'istanza deve essere corredata dalla copia del provvedimento giurisdizionale di cui al comma 1, e quindi la sentenza di condanna o di patteggiamento ovvero il decreto penale di condanna (lettera a) del comma 3). L'istanza dovrà essere altresì corredata da dichiarazione sostitutiva di certificazione e dell'atto di notorietà: sull'assenza delle condizioni ostative di cui all'articolo 12, comma 1, lettere d) ed e), nonché sulla qualità di avente diritto ai sensi dell'articolo 11, comma 2-bis (lettera b); per quanto concerne le condizioni ostative richiamate attestante la situazione economica dell'istante e delle persone di cui all'art. 433 del codice civile, ossia il coniuge; i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali. È possibile produrre, in alternativa alla dichiarazione sostitutiva, il certificato attestante la situazione economica dell'istante o degli altri soggetti richiamati (lettera c)). Si rammenta che gli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) - espressamente richiamati dal comma 3 - disciplinano rispettivamente le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e le dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà

Il prefetto verifica la sussistenza dei requisiti, avvalendosi anche degli organi di polizia, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza (art. 13-bis, comma 4). Ai sensi del comma 5 del nuovo art. 13-bis, sull'istanza relativa alla provvisionale, provvede il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e dei reati internazionali violenti provvede, entro centoventi giorni dalla presentazione della medesima istanza, acquisiti gli esiti dell'istruttoria dal prefetto. Si tratta del Comitato che delibera circa la corresponsione delle somme del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti nonché agli orfani per crimini domestici, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 512 del 1999 (recante la disciplina concernente il Fondo medesimo, così rinominato dall'art. 11, comma 4, l. 11 gennaio 2018, n. 4). Tale art. 3 della citata legge n. 512/1999, prevede che il Comitato sia presieduto dal Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, nominato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, anche al di fuori del personale della pubblica amministrazione, tra persone di comprovata esperienza nell'attività di solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso e dei reati intenzionali violenti. Il Comitato è composto: a) da un rappresentante del Ministero dell'interno; b) da due rappresentanti del Ministero della giustizia; c) da un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico; d) da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze; e) da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; f) da un rappresentante della Concessionaria di servizi assicurativi pubblici Spa (CONSAP), senza diritto di voto.

Il Commissario ed i rappresentanti dei Ministeri restano in carica per quattro anni e l'incarico non è rinnovabile per più di una volta. La provvisionale può essere assegnata in misura non superiore a un terzo dell'importo dell'indennizzo determinato secondo quanto disposto dal D.M. 31 agosto 2017 e, successivamente, dal D.M. 22 novembre 2019, emanati in attuazione dell'art. 11, comma 3, della più volte citata legge n. 122/2016, recanti la determinazione degli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti. L'art. 11, comma 3, della legge n. 122/2016 demanda la determinazione degli indennizzi ad un decreto del Ministro dell'interno e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, assicurando un maggior ristoro alle vittime dei reati di violenza sessuale e di omicidio e, in particolare, ai figli della vittima in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, comunque nel limite delle risorse stanziate con tali finalità.

Il comma 6 infine stabilisce che il Comitato dichiara la decadenza dalla provvisionale e dispone la ripetizione di quanto erogato in caso di: mancata richiesta di indennizzo nei termini previsti (dall'art. 13, comma 2, della legge n. 122), ovvero quando la richiesta di indennizzo sia respinta o dichiarata inammissibile (lett. a), mancanza delle condizioni per la presentazione della domanda di indennizzo se, decorso il termine di due anni dalla concessione della provvisionale e con cadenza biennale per gli anni successivi, non viene prodotta autocertificazione sulla non definitività della sentenza penale o della procedura esecutiva o sulla percezione di somme in connessione al reato (lett.b).

Conclusioni

La scelta di demandare l'erogazione della provvisionale al Prefetto, al pari della liquidazione degli indennizzi, è dettata dall'esigenza di assicurare una liquidazione in tempi (relativamente) rapidi giacché l'attribuzione della competenza sull'indennizzo all'autorità giudiziaria avrebbe determinato una dilatazione dei tempi, con effetti negativi per la vittima, che si vuole invece tutelare.

Inoltre, l'attribuzione di competenza all'autorità amministrativa (anziché a quella giudiziaria) pare coerente con la direttiva che all'art. 3, par. 3, prevede che gli Stati membri si impegnano a limitare le formalità amministrative necessarie per la domanda di indennizzo allo stretto indispensabile.

Giova segnalare l'affermazione secondo la quale il sistema de quo introduce un sistema di indennizzo delle vittime e non un sistema di integrale risarcimento (come avviene nel caso in cui la condanna civilistica attinga direttamente il reo), ne consegue che il quantum dell'indennizzo – pur dovendosi conformare ai caratteri sopra esposti – può essere inferiore alla somma che le stesse potrebbero ottenere dall'autore del fatto.

Tale differenziazione di trattamento è ritenuta legittima alla luce della necessità di garantire la sostenibilità del sistema stesso, non gravando gli Stati membri di uscite eccessive e così garantendo l'auspicabile equilibrio delle finanze stesse ed un corretto funzionamento del sistema a favore di tutte le vittime che dovranno utilizzarlo.

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