Rapporto tra condotte di riciclaggio e truffe informatiche
23 Aprile 2024
Massima La condotta di messa a disposizione del conto corrente o della carta ricaricabile e la conseguente ricezione di denaro proveniente da condotta di truffa informatica non può integrare di per sé il reato di cui all'art. 648-bis c.p. in quanto, non potendosi dire che, fino alla ricezione del denaro, l'autore del reato di cui al 640-ter c.p. abbia già ricevuto l'ingiusto profitto, costituisce essa stessa momento consumativo del delitto di truffa informatica sicchè non può essere inquadrata nella ipotesi delittuosa di riciclaggio non essendo stato ancora consumato il necessario delitto presupposto. Il caso Con decreto del 27.10.2022 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino disponeva il rinvio a giudizio dell'imputato chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 648-bis c.p. La vicenda in oggetto traeva origine dalla denuncia querela sporta dalla persona offesa, titolare di una agenzia immobiliare, tramite incaricata con delega semplice in seguito ad una truffa informatica subita con le modalità del man in the middle. In sostanza, la persona offesa, intendendo acquistare una autovettura per la propria figlia, aveva richiesto un preventivo ad una concessionaria automobilistica e, avendolo valutato conveniente, aveva dato incarico alla sua segretaria di effettuare un bonifico per la somma complessiva di 10.450,00 euro pari al prezzo convenuto. La segretaria effettuava, dunque, il 17.9.2021 due bonifici (per un mero errore materiale sulla somma del primo) pari a 1.450,00 e 9.000,00 euro, in pagamento del citato preventivo. Successivamente, alla luce delle indagini svolte che consentivano di esaminare accuratamente i passaggi di denaro e le comunicazioni intercorse tra il truffato e l'(ignoto) autore della frode informatica, si aveva modo di appurare che il denaro non era mai confluito nel conto intestato alla concessionaria in quanto, il 16.9.2021, alle ore 11.24, la segretaria della persona offesa riceveva, sulla casella di posta elettronica intestata all'agenzia immobiliare, dall'indirizzo di posta elettronica ufficiale della concessionaria il numero di conto corrente e l'IBAN completo su cui far accreditare la somma complessivamente preventivata per l'acquisto, ossia i 10.450,00 euro. Immediatamente dopo, alle 12.16 della stessa mattinata, la segretaria riceveva una seconda e mail proveniente da un indirizzo di posta elettronica avente un dominio apparentemente ricalcante il nome della concessionaria auto, in cui le veniva chiesto di ignorare il precedente IBAN e, una volta avuta prova di ricezione, una terza e mail sempre da questo secondo indirizzo di posta elettronica, in cui le veniva indicato un altro numero di conto e un altro IBAN su cui effettuare il richiesto bonifico. Dalle successive indagini tecniche veniva evidenziato che questo secondo indirizzo email in realtà aveva solo il nominativo apparentemente riconducibile alla concessionaria, ma di fatto l'account corrispondeva ad una impersonale casella di posta elettronica del servizio Gmail e le mail inviate per suo tramite non mostravano l'indirizzo IP dell'utente mittente ma solo quello dei server di Google attraverso cui erano transitate, rendendo così impossibile l'identificazione del reale mittente o anche solo la sua localizzazione. Era evidente, dunque, all'esito dei fatti come la segretaria della p.o. fosse stata ingannata dall'apparente provenienza della seconda e della terza email nonché dal loro contenuto che, volutamente, richiamava il contenuto della prima mail, l'unica autenticamente proveniente dal creditore. Questo fenomeno è noto nella prassi delle condotte illecite on line come man in the middle in quanto un soggetto si interpone, surrettiziamente, nelle comunicazioni tra un creditore e un debitore e o, tramite un vero e proprio accesso abusivo nel sistema di posta elettronica del creditore, invia una mail realmente dall'indirizzo del creditore a quello del debitore indicando però nei contenuti un numero di conto corrente e un IBAN corrispondente a quello di cui il truffatore ha la disponibilità oppure, accedendo comunque in altro modo ai contenuti delle comunicazioni commerciali tra i due soggetti, invia una comunicazione elettronica da un indirizzo solo apparentemente riconducibile al creditore per sviare il denaro dovuto ed ottenerne l'accredito sul conto correte utilizzato per la truffa. Nel caso di specie sembra che si sia verificata questa seconda circostanza ma tramite un previo reale accesso abusivo alla casella di posta elettronica della persona offesa onde carpire i dati fondamentali dell'operazione economica in cui inserirsi. Infatti, all'esito delle indagini, si accertava che gli autori della frode avevano effettuato un accesso abusivo alla casella di posta elettronica dell'agenzia immobiliare mediante violazione della password di accesso, con conseguente re-indirizzamento delle e-mail entranti o uscenti da tale casella in una casella occulta gestita da loro. Per effetto di tale complessa rete di artifici, il giorno successivo, il 17.9.2021, la segretaria della p.o. disponeva due bonifici, il primo per errore di 1.450,00 euro e il secondo, ad integrazione, di 9.000,00 euro, il cui accredito sul conto corrente intestato alla persona indagata avveniva tre giorni dopo, cioè la mattina di lunedì 20.9.2021 e, immediatamente dopo, l'indagato in persona si recava a prelevare, con tre distinte operazioni tra le 9 e le 10.30, la somma complessiva di 8.000 euro in contanti. L'attribuibilità delle condotte di prelievo all'indagato appariva sufficientemente dimostrata in quanto il primo avveniva di persona allo sportello e l'impiegato dell'istituto bancario aveva verificato l'identità del prelevante attraverso il riscontro diretto del documento di identità; gli altri due prelievi avvenivano tramite ATM dell'istituto bancario mediante due carte di credito che, in occasione della perquisizione successiva alla querela e all'avvio delle indagini, l'indagato aveva consegnato agli inquirenti. Solo quattro giorni dopo i bonifici fraudolenti, dunque, la persona offesa si rendeva conto della truffa subita e tentava di richiamare il denaro oggetto di bonifico ma, attesa la prontezza dell'imputato nell'attività di dispersione del denaro proveniente dalla condotta illecita, detta operazione non andava a buon fine. Altra circostanza, non fondamentale ai fini della prova del fatto in oggetto, ma assai interessante a contorno della consapevolezza e della volontarietà della condotta dell'imputato, era data dagli esiti dell'esame del contenuto del cellulare in uso all'imputato che evidenziava altre 13 ricevute di pagamenti a soggetti nigeriani non meglio identificati per un totale di 11.341,00 euro tra il dicembre 2021 e il gennaio 2022. In definitiva, nessun dubbio emergeva circa la titolarità del conto corrente ove confluiva il provento della truffa in capo all'imputato come pure pacificamente accertata era la sua responsabilità diretta nell'attività di dispersione del denaro proveniente dall'attività illecita. D'altro canto, nel corso dell'interrogatorio successivo alle attività di perquisizione e sequestro, l'imputato confermava di essere il solo titolare e fruitore del conto corrente in questione, di aver consapevolmente ricevuto sul suddetto conto corrente la somma oggetto di bonifico da parte della persona offesa; di avere personalmente effettuato i prelievi per un totale di 8.000,00 euro ma di lavorare regolarmente, di avere con il denaro proveniente dalla truffa comprato e venduto autoveicoli, avendo ricevuto la somma di 10.450,00 euro quale pagamento di un veicolo venduto in Nigeria per la quale vendita aveva prodotto una sorta di ricevuta, di avere effettuato tre prelievi immediati dal conto corrente per ottenere il denaro necessario a pagare un'altra vettura che stava “arrivando dall'America” ma di non avere alcun documento nemmeno informale a riprova di tutte queste transazioni commerciali e di non sapere nulla di tutto il resto della vicenda. Di conseguenza, ed alla luce del compendio probatorio acquisito, il Tribunale riteneva pacificamente dimostrata l'avvenuta consumazione della frode informatica ai danni della p.o. mediante accesso abusivo alla casella di posta elettronica dell'agenzia immobiliare gestita dal denunciante; pacificamente dimostrata appariva parimenti la riferibilità all'imputato delle operazioni di dispersione del denaro provento delle condotte illecite sicchè nessun dubbio pareva residuare circa la riferibilità all'imputato delle condotte contestate nel procedimento in esame. La questione Il punto cruciale della questione, in una vicenda che per altri versi si presenta insolitamente dettagliata e ricca di spunti probatori circa la individuazione e il riscontro di condotte specifiche attribuibili a soggetti reperibili, dunque, riguarda l'inquadramento della condotta di ricezione e di spostamento del denaro da parte dell'imputato e come detta condotta si inquadri nella frode informatica non contestata a lui ma evidentemente presupposta. È pacifico, infatti, tanto sul piano logico quanto sul piano del materiale probatorio acquisito, che vi sia stato un accesso abusivo ex art. 615-ter c.p. in data anteriore al 16.9.2021 nella casella di posta elettronica dell'agenzia immobiliare del denunciante con violazione della password di accesso al fine di impostare l'inoltro automatico delle e mail in ingresso e in uscita dalla casella di posta elettronica suddetta all'account dell'autore del fatto illecito così da consentire al titolare di detto account di gestire in modo occulto il traffico delle comunicazioni in uscita e in entrata dalla casella di posta elettronica della p.o. Parimenti pacificamente dimostrata, sebbene con alcuni significativi vuoti nella ricostruzione, è la condotta di frode informatica di cui all'art. 640-ter c.p. commessa con la tattica del c.d. man in the middle che consentiva all'autore dell'illecito di deviare il bonifico dovuto dal debitore verso un IBAN di cui aveva la piena disponibilità e gestione: l'IBAN, per l'appunto, intestato all'odierno imputato. Di fatto, l'intervento dell'imputato per la pronta monetizzazione e per l'immediato spostamento dei proventi illeciti, consentiva la consumazione piena dell'attività truffaldina per la quale l'accesso abusivo ai sensi dell'art. 615-ter c.p. aveva evidentemente, come sempre accade, un ruolo finalistico e prodromico. Le soluzioni giuridiche Il primo nodo da sciogliere, benchè risolto a monte dallo stesso P.M. che aveva contestato nel presente procedimento solo il reato di riciclaggio e non il concorso (magari con ignoti) nella truffa ai sensi del 640-ter c.p., viene riaffrontato e sceverato dal Tribunale al fine di chiarire le premesse del proprio successivo ragionamento. È pacifico, dunque, anche per il Tribunale che la semplice messa a disposizione del conto corrente al fine di consentire la dispersione del profitto illecito non può integrare concorso nel reato di frode informatica. Così come è pacifico che la consapevolezza della illecita provenienza del denaro può dedursi da un complesso contesto indiziario, come nel caso di specie, come ad esempio: la compulsiva e pianificata condotta di “svuotamento” attuata dall'imputato immediatamente dopo l'accredito attraverso la sequenza di tre prelievi in contanti in rapida successione e da uffici diversi nello stesso giorno come anche l'assenza di una convincente spiegazione in merito sia alla ricezione del denaro sia alle operazioni di prelievo. Lo snodo del ragionamento del Tribunale, tuttavia, si appunta sulla individuazione del momento consumativo dei due reati, quello contestato e quello presupposto: la ricezione del denaro sul conto corrente, infatti, a giudizio del Tribunale, non integra il momento consumativo del reato di riciclaggio, bensì quello del reato presupposto. Solo con il prelievo delle somme di denaro, invece, si consumerebbe il reato contestato all'imputato. Di diverso avviso la Procura che, sulla base di due recenti sentenze della Corte di cassazione (la n. 29346 e la 19125 entrambe della Sezione seconda ed entrambe del 2023), sembra ritenere il reato consumato nella semplice messa a disposizione del conto corrente per ostacolare la conoscenza della provenienza delittuosa delle somme provento di frode informatica, successivamente provvedendo all'incasso. Il Tribunale, in merito, evidenzia che la motivazione molto sintetica della prima delle sentenze citate non scioglie i nodi critici della questione e non consente di apprezzare appieno il quadro interpretativo che essa offre alla questione. In altri termini, secondo la lettura che il Tribunale dà della motivazione della citata sentenza, insomma, in quel caso, peraltro non riportato esplicitamente in quanto oggetto di sentenza di patteggiamento, si dava per presupposto che il reato di frode informatica fosse stato consumato precedentemente e non con l'arrivo del denaro sul conto del riciclatore ove confluiva solo in un momento, se pur di poco, ma successivo, per essere ripulito. Quanto alla seconda delle sentenze citate, la successione temporale e logica dei fatti, nella opinione del Tribunale che la esamina, era la seguente: dato per provato il mancato concorso dell'imputato nella condotta frodatoria, sulla base di una serie di elementi opinabili, quali le dichiarazioni dello stesso imputato e l'assenza di una evidente conoscenza, da parte sua, delle modalità e dei dettagli della frode stessa, si affermava la integrazione del delitto di riciclaggio nella condotta della mera messa a disposizione del conto al fine di ostacolare la provenienza delittuosa delle somme per poi concentrare l'attenzione sulle prove della mala fede dell'imputato e quindi sostanzialmente sull'elemento soggettivo della condotta. Ma, ed è in questo che apparirebbe carente il ragionamento della suprema corte a parere del Tribunale, non si affronta né si risolve la questione del momento consumativo della frode presupposta senza il quale, non può nemmeno affrontarsi la questione della consumazione del successivo riciclaggio. In altre parole, il Tribunale ritiene che, prima della ricezione del denaro sul conto messo a disposizione dal riciclatore, non si possa ancora parlare di frode consumata e, pertanto, non sarebbe integrato quel reato presupposto rispetto al quale la condotta di riciclaggio si pone come necessariamente conseguente. Da altro ma complementare punto di vista, il Tribunale evidenzia come l'esame della consapevolezza da parte dell'imputato delle vicende pregresse del denaro illecito confluito sul conto da lui messo a disposizione, esame peraltro solo in parte condotto alla luce delle dichiarazioni confessorie o meno rese dall'imputato, ma da desumere in fondo alla luce del completo contesto indiziario, presenta una serie non indifferente di sfaccettature che potranno portare dall'estremo della consapevolezza (e della consapevole partecipazione) della condotta di truffa informatica all'estremo della non consapevolezza della illecita provenienza del denaro. Ciò, peraltro, sulla base di un inquadramento del tutto differente da quello che emerge nel caso della ricettazione, dove la ricezione del denaro o del bene di illecita provenienza è effettivamente momento consumativo del reato di ricettazione e non certo del furto presupposto. In sostanza, rammenta il Tribunale, in questo genere di casi concreti, il ragionamento giuridico sulla consumazione della condotta materiale e sulla ravvisabilità della prova dell'elemento psicologico si intrecciano in maniera tanto peculiare quanto rigorosa e non consentono scarti logici o giuridici che inevitabilmente si traducono in una carenza del ragionamento probatorio. Sembra dunque più convincente, a parere del Tribunale, il ragionamento seguito dalla Suprema corte nella sentenza 20769 dell'8.4.21, della seconda sezione che riqualificava un fatto del tutto analogo a quello qui in commento nel reato di cui all'art. 640-ter c.p. in considerazione del fatto che «solo al momento dell'accredito sul conto on line dell'imputato della somma sottratta dalla carta della persona offesa, la truffa si è consumata, mentre la contestata ricettazione presuppone la consumazione di un delitto. L'accredito diretto della somma sottratta dalla carta Banco posta della persona offesa sul conto della Sisal dell'imputato costituisce, infatti, un elemento del reato di truffa, poiché non vi è un precedente passaggio di denaro e la truffa si consuma soltanto nel momento in cui le somme vengono accreditate sul conto dell'imputato e si realizza l'ingiusto profitto con altrui danno». Nello stesso senso il Tribunale richiama anche la sentenza Cass. pen., sez. II, n. 16023/2020 che riqualificava in concorso nella truffa la condotta dell'imputato che «ha messo a disposizione di terzi rimasti ignoti il proprio conto corrente per ricevere direttamente la somma di denaro sottratta utilizzando le credenziali della persona offesa» in quanto questa condotta si inserisce nella fase esecutiva del reato di frode informatica e non ne costituisce un evento successivo e perché «il contributo dell'imputato ha agevolato e reso possibile il conseguimento del profitto della frode informatica» sicchè «risponde a titolo di concorso nel delitto». Sulla base di questo ragionamento, rigoroso ma, va detto, non scevro di implicazioni probatorie assai problematiche, il Tribunale ritiene che l'imputato «ha consapevolmente commesso la frode informatica da solo o in concorso con eventuali complici non identificati mettendo a disposizione il proprio conto corrente per il versamento della somma di denaro frodata e adoperandosi per disperdere immediatamente il profitto conseguito mediante i prelievi in contanti». Non escludendo nemmeno, ove ne ricorressero tutti i presupposti, il concorso con il delitto di autoriciclaggio per la condotta specificamente attinente al reimpiego del profitto illecito così disperso e sottratto alla possibilità di accertamenti e recupero da parte degli inquirenti. Osservazioni Rigoroso, come detto, fin qui il ragionamento del Tribunale che riqualifica la condotta dell'imputato nei termini di concorso nella frode informatica alla luce anche del contesto probatorio non scarno insolitamente acquisito nel caso di specie che consentiva certamente di ipotizzare a suo carico una conoscenza degli elementi costitutivi della condotta di truffa ed anzi, la imponeva quasi alla luce del ragionamento logico e dell'assenza di ragionevoli alternative (la piena ed esclusiva titolarità del conto in capo all'imputato, l'utilizzazione del medesimo conto per le altre operazioni economiche evidentemente riconducibili all'imputato, il personale coinvolgimento dello stesso nelle operazioni di recupero del denaro e l'assurdità delle versioni rese a giustificazione dei prelievi come anche sulla ultimativa destinazione del denaro stesso). Meno rigoroso e a rischio di confondere i piani della deduzione probatoria, non stringente peraltro, e della ricostruzione fattuale, il ragionamento del Tribunale quando attribuisce all'imputato anche il concorso nell'art. 615-ter c.p., sulla base del mero nesso di antecedenza necessaria tra la condotta di accesso abusivo e la condotta di frode informatica ma di fatto senza elementi né probatori né fattuali che consentano di identificare il collegamento tra una condotta dell'imputato e l'accesso abusivo alla casella di posta elettronica e senza nemmeno che l'imputato fosse necessariamente a conoscenza dei dettagli del detto accesso abusivo. La conseguenza, nel caso in oggetto, della riqualificazione della condotta contestata all'imputato nei termini dell'art. 640-ter c.p. (e art. 615-ter c.p.) era la decisione di non doversi procedere per difetto di querela non essendo stata formalmente incaricata tramite procura speciale la segretaria della persona offesa che materialmente aveva sporto querela nell'interesse del titolare dell'agenzia immobiliare. Al di là di questo dettaglio, comunque, indubbiamente la decisione in oggetto apre diversi spiragli di interesse nella questione della qualificazione e delle criticità probatorie di condotte infestanti e pervasive che, sempre più spesso, si presentano frammentate in molte parti e tra molti protagonisti, non tutti anzi quasi mai tutti a conoscenza di tutti i dettagli delle vicende illecite cui partecipano. |