Addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica e ripetizione dell’indebito

13 Maggio 2024

Il focus, prendendo le mosse da una recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, consente di interrogarsi intorno alla possibilità, riconosciuta con sempre maggiore frequenza e seppure con diverse argomentazioni dalla giurisprudenza, di disapplicare in una controversia tra privati la norma nazionale istitutiva delle addizionali provinciali all’accisa sull’energia elettrica, anche per il periodo antecedente l’abrogazione, in quanto contrastante con la Dir. 2008/118/CE.

1. Premessa

I più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di addizionali provinciali all’accisa sull’energia elettrica e l’attenzione che ad essi viene manifestata a livello pratico e teorico, mostrano la rilevanza di un tema che, originariamente ristretto a taluni giudizi, cerca di assumere una più ampia e decisiva centralità.

In tale prospettiva, le varie ordinanze della Corte di Cassazione e di remissione alla Corte Costituzionale, unitamente ad una recentissima sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiariscono che, nello specifico settore considerato, il problema dell’efficacia (solo verticale) delle direttive europee deve essere affrontato e declinato – come, peraltro, dovrebbe sempre avvenire nel mondo del diritto – mediante una attenta analisi del peculiare tipo di contenzioso considerato.

L’interprete, così, consapevole che l’intelletto ha bisogno di ordine, sovente trova nelle pronunce più rispondenti alle proprie esigenze pratiche un primo momento di confronto, al precipuo fine di tentare di tracciare da sé, in autonomia o con altri, un sintetico quadro del breve itinerario che lo accompagna nello studio della singola controversia.

2. Quadro normativo di riferimento

Le addizionali sui consumi di energia elettrica poste a carico dei fornitori, inizialmente istituite per un periodo di tempo determinato in favore dei soli Comuni (DL 786/1981 e DL 55/1983), sono state successivamente estese (art. 6 DL 511/1988 conv. in L. 20/1989) anche in favore delle Province, con una disciplina che (novellata dall'art. 5 D.Lgs. 26/2007) è rimasta in vigore fino al 2012.

Epoca in cui, appunto, sono state definitivamente abrogate tanto nelle regioni statuto ordinario (con decorrenza dal 1° gennaio 2012, cfr. art. 18 c. 5 D.Lgs.  68/2011), quanto in quelle a statuto speciale (con decorrenza dal 1° aprile 2012, cfr. art. 4 c. 10 DL 16/2012).

Abrogazione, come noto, resa necessaria allorché la Commissione Europea aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, ritenendo l'addizionale all'accisa sull'energia elettrica in contrasto con la Dir. 2008/118/CE.

Quest'ultima, infatti, mediante una disciplina armonizzata a tutela del principio del libero mercato e della circolazione delle merci, prevedeva che i vari prodotti (tra i quali, appunto, l'energia elettrica) potessero formare oggetto di altre imposizioni indirette solo se aventi finalità specifiche (tra cui, evidentemente, non potevano essere ricomprese quelle giustificate da mere esigenze di bilancio degli enti locali) e purché fossero conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise.

Ebbene, in un tale contesto, poiché i soggetti obbligati al pagamento (cioè i fornitori) avevano il diritto di rivalersi nei confronti dei clienti finali (art. 56 c. 1 D.Lgs. 504/1995), ci si deve interrogare – dovendosi considerare un dato acquisito il contrasto dell'art. 6 c. 2 DL 511/1988 alla Dir. 2008/118/CE – sulla legittimità o meno dell'applicazione dell'imposta per le annualità precedenti l'abrogazione nonché sulla individuazione del soggetto (ente beneficiario dell'imposta ovvero fornitore di energia) nei cui confronti il consumatore avrebbe dovuto agire per ottenere l'eventuale rimborso.

3. Il problema della legittimazione passiva

L'ultima problematica segnalata impone pertanto di verificare, seppur brevemente, se l'utilizzatore debba richiedere al proprio fornitore la restituzione di quanto indebitamente pagato ovvero se possa agire direttamente verso l'Amministrazione finanziaria (N. Galleani d'Agliano, Rimborso dell'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica, in Il fisco, 11/2020).

Si tratta di questione da tempo risolta nel senso che (Cass. 19 novembre 2019 n. 29980, Cass. 23 ottobre 2019 n. 27099, Cass. 24 maggio 2019 n. 14200; S. Morri, A. Gatto, Il diritto di rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull'energia elettrica contrarie al diritto dell'Unione Europea: la posizione del fornitore, in Riv. tel. dir. trib., 2020) unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all'Amministrazione finanziaria (ai sensi dell'art. 14 D.Lgs. 504/1995, e dell'art. 29 c. 2 L. 428/1990) sarebbe il fornitore, mentre al consumatore finale (a cui sono state addebitate le imposte addizionali) non resterebbe che la possibilità di agire nei confronti di quest'ultimo con l'ordinaria azione di ripetizione di indebito.

Viceversa, solo nel caso in cui tale azione risulti impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, come nel caso di fallimento dello stesso (cfr. C.Giust. UE 31 maggio 2018, causa C-660/16 e C-661/16; C.Giust. UE 27 aprile 2017, causa C-564/15; in tal senso, L. Rossi, A. Sica, Trattamento dell'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica indebitamente corrisposta dai consumatori finali, in IUS Tributario, 2022), il consumatore potrebbe eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti della Pubblica Amministrazione, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria (F. Gallio, Il consumatore finale non deve agire nei confronti dell'A.F. per ottenere il rimborso delle addizionali provinciali sulle accise sull'energia elettrica, in IUS Tributario, 2021).

Eppure, la perdurante attualità e complessità della costruzione concettuale in materia è resa evidente, come si avrà modo di vedere nel prosieguo, dalla decisione della Corte di Giustizia (C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa C-316/22) chiamata (su rinvio pregiudiziale proposto da Trib. Como 11 maggio 2022) a rispondere ad un quesito fondamentale: «se il principio di effettività osti a una normativa nazionale (art. 14 c. 4 D.Lgs. 504/1995) che non consente al consumatore finale di chiedere il rimborso dell'imposta indebita direttamente allo Stato, bensì gli riconosce soltanto la facoltà di esperire un'azione civilistica per la ripetizione nei confronti del soggetto passivo, unico legittimato a ottenere il rimborso dall'Amministrazione finanziaria, laddove l'unica ragione d'illegittimità dell'imposta – ossia la contrarietà a una direttiva dell'Unione – possa essere fatta vale esclusivamente nel rapporto tra il soggetto obbligato al pagamento e l'Amministrazione Finanziaria, ma non in quello tra il primo e il consumatore finale, così impedendo, di fatto, l'operatività del rimborso o se, per garantire il rispetto dell'indicato principio, bisogna riconoscersi, in un caso siffatto, la legittimazione diretta del consumatore finale nei confronti dell'Erario, quale ipotesi di impossibilità o eccessiva difficoltà di ricevere dal fornitore il rimborso dell'imposta indebitamente pagata».

4. La questione della disapplicazione: l'ordinanza della Prima Presidente e la giurisprudenza successiva

Gli operatori pratici, i teorici del diritto e i giudici chiamati – nel contesto dei vari e seriali giudizi promossi – a decidere delle domande di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dai consumatori finali ai fornitori, si sono pertanto domandati, anche mediante l'utilizzo dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione di cui all'art. 363 bis c.p.c. (Trib. Verona 4 aprile 2023; A. Briguglio, Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c., Terza Puntata, in Judicium, 2023) se la Dir. 2008/118/CE fosse applicabile ai rapporti tra privati e se fosse consentito al giudice, in una controversia tra privati, disapplicare la norma nazionale in contrasto con la stessa, tenuto conto che l'efficacia diretta di una direttiva può essere fatta valere solo nei rapporti di tipo verticale (dal privato nei confronti dello Stato) e non anche nei rapporti di tipo orizzontale (tra privati).

La Prima Presidente, al riguardo, nel dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di novità, ebbe a precisare che «nella giurisprudenza della Corte di Cassazione non manca l'enunciazione di principi idonei ad orientare la risoluzione della questione interpretativa»; ed invero, se da un lato «il consumatore finale al quale il fornitore abbia addebitato le suddette imposte può esercitare nei confronti di quest'ultimo l'ordinaria azione di ripetizione e, soltanto nel caso in cui si dimostri l'impossibilità o l'eccessiva difficoltà di tale azione – da riferire alla situazione in cui si trova il fornitore e non al fatto che il pagamento indebito dell'imposta derivi dalla contrarietà alla direttiva delle norma interna in tema di accise – può eccezionalmente richiedere direttamente il rimborso all'Amministrazione finanziaria nel rispetto del principio unionale di effettività della tutela», dall'altro lato, la tutela sarebbe «comunque garantita … con la possibilità di esercitare azione nei confronti dello Stato per ottenere il risarcimento del danno subito per mancato adeguamento del diritto nazionale al diritto dell'Unione europea» (Cass. 9 maggio 2023 n. 12502).

La Corte di legittimità, invero, ha avuto modo di evidenziare, in più occasioni, come l'addizionale de qua «va disapplicata» per contrasto con l'art. 1 par. 2 Dir. 2008/118/CE, così come interpretato dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea (C.Giust. UE 25 luglio 2018, causa C-103/17; C.Giust. UE 5 marzo 2015, causa C-553/13), con la conseguenza che le addizionali stesse non sono, dunque, dovute (Cass. 23 ottobre 2019 n. 27101, Cass. 23 ottobre 2019 n. 27099, Cass. 4 giugno 2019 n. 15198).

All'opposto, la giurisprudenza di merito si è, nel tempo, variamente orientata talvolta disapplicando la normativa interna e talaltra negando tale possibilità, in ossequio al principio istituzionale e “manualistico” della efficacia solo “verticale” delle direttive europee.

Da quest'ultimo punto di vista, si cercato di compiere un attento esame delle fattispecie, rilevando come le controversie che hanno dato origine alle pronunce della Corte di Giustizia, non solo contrapponevano un privato a organi statali, ma avevano altresì ad oggetto profili che le renderebbero in radice diverse e non assimilabili rispetto a quelle in esame (Trib. Milano 6 settembre 2023 n. 6913).

La profondità e l'ampiezza del tema, di conseguenza, hanno reso non più procrastinabile l'esigenza di domandarsi se un giudice nazionale possa disapplicare «in una controversia tra privati, una norma nazionale che istituisce un'imposta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta» (C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa C-316/22).

La soluzione offerta, però, nel prevedere come «una direttiva non può di per sé creare obblighi in capo a un singolo e non può quindi essere invocata, in quanto tale, nei confronti di quest'ultimo dinanzi a un giudice nazionale» ma che, ciononostante, «uno Stato membro può … conferire ai giudici nazionali il potere di disapplicare, sulla base del suo diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell'Unione priva di effetto diretto» (C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa C-316/22), appare ancorata alla più tradizionale esegesi.

Allo stato, in ogni caso, pare potersi ritenere, almeno secondo l'orientamento prevalente, come non vi sia alcun dubbio che il diritto del consumatore a ripetere le somme versate a titolo di addizionale (e il fatto che questo diritto debba essere fatto valere in sede civilistica nei confronti del fornitori) abbia trovato inequivocabile riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (Trib. Verona 30 gennaio 2024 n. 233).

Le varie posizioni, allora, nelle molteplici sfumature e sensibilità proprie di ciascun interprete, si sono (sinora) incentrate – indipendentemente da ogni discorso sulla natura self executing della direttiva – sulla contrarietà dell'addizionale ai principi unionali elaborati dalla Corte di giustizia ovvero sul necessario legame che intercorre tra il “rapporto di rivalsa” ed il suo fondamentale presupposto giustificativo, rappresentato dal “rapporto di imposta”.

5. La necessità di adeguare il diritto interno ai principi affermati dalla Corte di Giustizia UE

Quanto al primo aspetto segnalato, val bene osservare come le sentenze attraverso le quali la Corte di Giustizia fornisce l'interpretazione del diritto europeo – tra cui, ai fini che maggiormente interessano in questa sede, quelle secondo cui le addizionali sulle accise costituiscono tributo autonomo rispetto alle accise e si pongono in contrasto con la Dir. 2008/118/CE – hanno valore di ulteriore fonte del diritto europeo, nel precipuo senso che indicano il significato ed i limiti di applicazione delle norme europee con «efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità» (Cass. 6 marzo 2023 n. 6687Cass. 3 marzo 2017 n. 5381, Cass. 11 dicembre 2012 n. 22577).

Pertanto, come è stato recentemente rilevato, «la ragione posta a fondamento dell'accoglimento della pretesa restitutoria risiede … nella necessità di adeguare il diritto interno ai principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea» (App. Milano 15 maggio 2023 n. 1560, App. Milano 28 ottobre 2022 n. 3392) indipendentemente da ogni discorso intorno al carattere self executing della direttiva europea.

Per tali ragioni, si afferma, ancora, che l'art. 6 c. 2 DL 511/1988, deve essere disapplicato in forza del principio per cui l'interpretazione del diritto europeo resa dalla Corte di Giustizia dell'Unione è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno e vincola il giudice nazionale a disapplicare le disposizioni che siano in contrasto o incompatibili con essa (così Cass., 5 giugno 2020 n. 10691, Trib. Milano 31 gennaio 2024 n. 1170; App. Venezia, 20 settembre 2023 n. 1862).

6. Il “rapporto di imposta” quale presupposto del “rapporto di rivalsa”

Nella medesima prospettiva, ma seguendo altro percorso argomentativo, si potrebbe essere indotti a sostenere che, nella materia trattata, si è in presenza non già di obblighi posti a carico del fornitore (nel senso che non sarebbe il c.d. diritto unionale a creare obblighi in capo al privato) quanto piuttosto del diritto (riconosciuto direttamente dalla legislazione codicistica in materia di obbligazioni e contratti) del consumatore di ripetere quanto indebitamente prestato al fornitore stesso.

Soggetto passivo dell'imposta, infatti, è (in virtù del rapporto tributario) il fornitore del prodotto mentre il corrispondente onere è traslato sul consumatore nell'ambito di un fenomeno meramente economico, onde l'autonomia dei diversi rapporti (quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria da un lato, e quello fra fornitore e consumatore, dall'altro) che, conseguentemente, si pongono su due piani (tributario e civilistico) distinti ancorché collegati.

L'autonomia, in particolare, consiste in ciò, che la rivalsa «comporta l'addebito al consumatore finale non già dell'imposta, ma del corrispondente risultato economico nell'ambito, quindi, non del “rapporto di imposta” (che intercorre tra fornitore ed amministrazione tributaria), ma del “rapporto di rivalsa” (che intercorre tra fornitore e consumatore finale)»; viceversa, il collegamento trae origine dal fatto che «il “rapporto di rivalsa” è un rapporto tra privati, sebbene il carattere debito od indebito di quanto pagato dal consumatore finale al fornitore dipenda, a monte, dalla debenza o meno dell'imposta in favore dell'erario da parte del secondo» (Trib. Verona 30 gennaio 2024 n. 233).

Ebbene, così opinando, la illegittimità dell'addizionale (nel rapporto Stato-Fornitore) non potrebbe che riflettersi sull'inesistenza del diritto del fornitore di ribaltare l'onere economico sul consumatore, con la peculiarità che nell'ambito del rapporto di rivalsa la disapplicazione della normativa avverrebbe non già in via principale bensì meramente incidentale e proprio in funzione dei suoi riflessi sulla legittimità della traslazione del predetto onere.

La disapplicazione della normativa unionale (tra Amministrazione e fornitore) dovrebbe così consentire al privato di esercitare un diritto già presente e riconosciuto dall'ordinamento nazionale (tale è la disciplina in tema di ripetizione dell'indebito), in quanto verrebbe meno quel “rapporto tributario” che costituisce l'indefettibile presupposto del diritto di rivalsa.

Il Giudice, pertanto, in via incidentale dovrebbe accertare l'insussistenza, e comunque l'illegittimità, della pretesa impositiva dell'Erario verso il fornitore di energia e, in via conseguenziale, l'insussistenza del diritto di quest'ultimo di esercitare la rivalsa per tale imposta nei confronti del consumatore finale.

La disposizione di cui all'art. 6 c. 2 DL 511/1988, una volta accertato il contrasto con il diritto dell'Unione (perché introduce un'imposta autonoma priva di finalità specifica) e, dunque, appurato che nel rapporto – di natura verticale – tra destinatario dell'imposta e soggetto impositore, deve essere disapplicata, determina naturaliter che «non sussiste un legittimo diritto di rivalsa del destinatario della pretesa impositiva verso il consumatore finale e dunque manca la causa solvendi del pagamento a suo tempo effettuato» (Trib. Milano 31 gennaio 2024 n. 1169).

Come detto, dunque, non si tratta propriamente di imporre al fornitore obblighi nascenti dalla direttiva, né di applicarla ad un rapporto orizzontale (così invece App. Milano 31 gennaio 2023 n. 305, App. Milano 23 gennaio 2023 n. 190), quanto piuttosto, di accertare se il pagamento effettuato dal consumatore sia sorretto da una valida causa giustificativa.

Assodato, per tale via, il contrasto della direttiva con la norma nazionale, il vero momento di confronto tra la possibilità di disapplicazione della norma con il principio secondo cui le direttive, per loro natura, non esplicano effetti diretti nei rapporti tra privati si rinviene infatti nella distinzione tra disapplicazione per sostituzione e per esclusione.

Da tale angolo visuale, in particolare, è stato rammentato come «se si ritiene che la direttiva non esplichi effetti diretti nei confronti dei privati, allora è certamente corretto ritenere inoperante l'effetto di sostituzione ma non anche l'effetto di mera esclusione» in quanto «il principio del primato del diritto Europeo è comunque una caratteristica intrinseca di tutte le norme dell'Unione Europea, mentre l'efficacia diretta è una caratteristica propria solo di talune norme» (Trib. Roma 7 febbraio 2024 n. 2321).

La conclusione segue il metodo di indagine già seguito: «se l'imposta non è dovuta, di conseguenza non è consentita neppure la rivalsa e l'importo corrisposto dal consumatore finale è privo di valida causa giustificativa» (Trib. Roma 7 febbraio 2024 n. 2321).

7. La “neutralizzazione dell'onere economico” indebitamente traslato ed il potere del giudice: C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa c-316/22

In senso diametralmente antitetico sembrerebbe essersi espressa la Corte di Giustizia dell'Unione Europa, ove ha affermato il principio per cui «osta ad una normativa nazionale che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell'onere economico supplementare sopportato a causa della ripercussione operata da un fornitore, in base ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un'imposta che tale fornitore aveva indebitamente versato, consentendogli unicamente di intentare un'azione civilistica per la ripetizione dell'indebito contro detto fornitore, qualora il carattere indebito di tale versamento sia la conseguenza della contrarietà dell'imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta e tale motivo di illegittimità non possa essere validamente invocato nell'ambito di tale azione, in ragione dell'impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati» (C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa C-316/22).

Quest'ultimo principio, tuttavia, non potrebbe dirsi in (totale) contrasto le precedenti ricostruzioni sistematiche delineate da taluni giudici di merito, e fondate sulla applicazione di istituti civilistici (quali il rapporto di rivalsa, il principio di causalità degli spostamenti patrimoniali, l'indebito oggettivo) che, come tali, consentirebbero, unitariamente considerati, «di ottenere la neutralizzazione dell'onere economico» sopportato dal consumatore; del resto, come ricordato dalla decisione in analisi, spetta pur sempre al giudice nazionale verificare, nella singola controversia, se la normativa vigente «può permettere ad un singolo di far valere l'illegittimità di un'imposta che sia stata indebitamente ripercossa su di lui» (C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa C-316/22).

Nel caso in cui, però, detta verifica dia esito negativo, la tutela dei consumatori finali – i quali si troverebbero giuridicamente impossibilitati a far valere nei confronti dei fornitori l'incompatibilità dell'imposta addizionale all'accisa sull'energia elettrica con le disposizioni della direttiva 2008/118/CE – sarebbe garantita proprio da una azione diretta nei confronti dello Stato: il «consumatore deve avere la possibilità di ottenere il rimborso di tale onere direttamente da tale Stato membro o dal soggetto passivo venditore» (C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa C-316/22).

Gli Stati membri, infatti, sono tenuti a rimborsare, ai fornitori, le imposte e i tributi percepiti in violazione del diritto dell'Unione, salva l'ipotesi in cui la restituzione «comporterebbe un arricchimento senza causa degli aventi diritto, vale a dire quando sia accertato che la persona tenuta al pagamento di detti importi ne ha effettivamente traslato l'onere direttamente su un altro soggetto»: in tal caso, infatti, l'onere dell'imposta indebitamente percepita sarebbe sopportato non dal soggetto passivo, bensì dal consumatore finale, cosicché rimborsare al primo un importo già corrisposto dal secondo, significherebbe consentire un doppio (e come tale ingiustificato) pagamento (C.Giust. UE 11 aprile 2024, causa C-316/22).

8. Una digressione: l'orientamento formatosi intorno all'imposta regionale sulla benzina per autotrazione

I confini tracciati non possono che includere anche quegli sviluppi formatisi in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione (c.d. IRBA), caratterizzata da una struttura e procedimento ermeneutico analogo a quello sviluppatosi intorno alle accise, tanto che la Legge di Bilancio per il 2021 (art. 1 c. 628 L. 178/2020) ne ha disposto l'abrogazione, facendo però salvi – ed è questo il punto fondamentale – gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte.

Anche in tal caso, però, la Corte di Cassazione (Cass. 6 marzo 2023 n. 6687) ha rilevato per un verso come tale disciplina non potrebbe che confliggere con la giurisprudenza della Corte di Giustizia (CGUE 9 novembre 2021 causa C-255/20), laddove prevede che la normativa nazionale che istituisce un'imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione è in contrasto con l'art. 1 par. 2 Dir. 2008/118/CE; e per altro verso come tali decisioni, avendo efficacia retroattiva, incontrerebbero il solo limite dei rapporti esauriti (ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza).

Vi si afferma, così, come l'imposta de qua è illegittima, onde la norma che ha disposto l'abrogazione dell'IRBA, facendo però salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte, va disapplicata e l'imposta stessa, se versata, deve essere rimborsata (Cass. 6 marzo 2023 n. 6687).

9. Conclusione

La materia trattata appare particolarmente delicata, coinvolgendo istituti diversi, ed imponendo un attento esame della peculiarità della casistica formatasi sul punto; e lo è specialmente se rapportata (cfr. Cass. 15 febbraio 2024 n. 4119) all'ordinanza (Trib. Udine 30 dicembre 2021) di remissione alla Corte Costituzionale (in ordine alla questione della inefficacia diretta della direttiva nei rapporti tra privati, restando il consumatore finale indelebilmente inciso da un tributo indebitamente versato al proprio fornitore in via di rivalsa) e, come anticipato, alla recentissima pronuncia resa (su rinvio proposto da Trib. Como 11 maggio 2022) dalla Corte di Giustizia (C.Giust. UE 11 aprile 2024 causa C-316/22).

A fronte della necessaria fatica di comprendere istituti e rapporti siffatti (seppure alleviata dall'attesa di quei giudizi che solo potranno garantire la prevedibilità delle future decisioni, vale a dire la stabilità dei rapporti privati), quindi, la pacata scelta di ripercorre, mediante essenziali richiami, le differenti posizioni, lungi dal porre il rischio di «nutrirsi di segatura già masticata da migliaia di altre bocche» (F. Kafka, Lettera al padre, tr. it., Rizzoli, 2013) consente a ciascuno, con meditata consapevolezza, di scegliere quale tesi accogliere o rifiutare, ovvero di percorrere una nuova via di indagine: nella consapevolezza che il diritto regola ogni rapporto, nascendo e sviluppandosi intorno a singole e concrete vicende.

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