I poteri officiosi del giudice della famiglia nei procedimenti di abusi familiari o di violenza domestica

15 Maggio 2024

Il presente scritto si pone l'obiettivo di analizzare le principali previsioni normative introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia per contrastare la violenza nell'ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere, posti in essere da una parte nei confronti dell'altra o dei figli minori e per i quali è prevista una trattazione più rapida, connotata da specifiche modalità procedurali. Dall’analisi svolta emerge il ruolo centrale dell’istruttoria per distinguere la conflittualità dalla violenza, la recessività del diritto alla bigenitorialità rispetto al best interest del minore, in caso di genitore violento, nonché la necessità di assicurare tutela alla vittima, già dall’emissione dei primi provvedimenti, anche mediante l’intervento dei servizi socio assistenziali e sanitari, disciplinando il diritto di visita in modo tale da non compromettere la sicurezza delle vittime stesse e delineando, per le consulenze tecniche, quesiti che siano compatibili con la condizione di violenza subita e/o assistita, nel rispetto della Convenzione di Istanbul.

Premessa

Con il d.lgs. n. 149/2022 – emanato in attuazione della legge n. 206/2021 – il Governo ha realizzato il riassetto formale e sostanziale della disciplina del processo civile di cognizione, del processo di esecuzione, dei procedimenti speciali e degli strumenti alternativi di composizione delle controversie, mediante interventi radicali sul codice di procedura civile, prevedendo anche misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie, in funzione degli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo, nel rispetto della garanzia del contraddittorio.

Si tratta di una riforma importante e di sistema che ha modificato profondamente il processo civile e l'assetto ordinamentale degli uffici giudiziari che si occupano della famiglia.

In particolare, la riforma, oltre a disciplinare la costituzione del nuovo Tribunale Unico per le Persone, i Minorenni e le Famiglie destinato ad occuparsi, nelle sue diverse articolazioni, di tutte le materie ora ripartite tra Tribunale Ordinario, Tribunale per i Minorenni e Giudice Tutelare (restando esclusi solo i procedimenti per la dichiarazione di adottabilità, quelli di adozione di minori di età e quelli che sono stati attribuiti alle sezioni competenti in materia di immigrazione); delinea anche il rito unificato da applicare, sia in primo grado che in appello, ai procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie il quale è ispirato a criteri di rapidità ed efficacia, attraverso l'abbreviazione dei termini processuali e la previsione di un ricorso improntato a criteri di chiarezza e sinteticità. Tale prospettiva è appunto quella che consente di meglio spiegare e comprendere la centralità del giudice delegato, in capo al quale sono concentrate istruzione e trattazione del procedimento (al Collegio è infatti riservata la sola decisione finale e nella prospettiva del Tribunale Unico per le Persone, i Minorenni e le Famiglie è altresì previsto il passaggio alla decisione monocratica anche per le cause di famiglia).

L'intervento normativo contiene, inoltre, una specifica disciplina in materia di ascolto del minore, introduce una nuova categorizzazione della figura del curatore speciale del minore, disciplina l'istituto della mediazione familiare ed introduce una disciplina apposita per i procedimenti nei quali siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere prevedendo, altresì, specifiche norme processuali con riguardo agli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

All'interno del Capo III, che disciplina le Disposizioni particolari, è stata dunque inserita una Sezione interamente dedicata alle violenze domestiche o di genere.

L'allarmante diffusione della violenza di genere e domestica ha, infatti, indotto il legislatore delegante a prevedere numerosi principi di delega finalizzati ad evitare il verificarsi, nell'ambito dei procedimenti civili e minorili, aventi ad oggetto la disciplina delle relazioni familiari e in particolare, l'affidamento dei figli minori, fenomeni di c.d. vittimizzazione secondaria che si verifica quando le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni della violenza.

Il legislatore della riforma è, dunque, consapevole che il contrasto alla violenza domestica non si realizza soltanto con le norme penali ma anche e forse soprattutto, nell'ambito dei procedimenti civili e minorili. Per tale ragione, si è voluta creare nell'ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie una sorta di «corsia preferenziale» per tali giudizi che dovranno avere una trattazione più rapida (il giudice può infatti abbreviare i termini a comparire fino alla metà) e connotata da specifiche modalità procedurali al fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, se quanto allegato dalla parte sia o meno fondato.

Il quadro normativo

L'art. 473-bis.40 c.p.c., rendendo applicabile le disposizioni previste dalla sezione sulla violenza domestica o di genere a tutti i procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell'altra o dei figli minori, ha inteso permettere la più ampia applicazione possibile delle nuove disposizioni, consentendo al giudice di intervenire in presenza di ogni forma di violenza (fisica, economica e psicologica, come previsto dalla Convenzione di Istanbul, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77) assicurando una sorta di Codice Rosso, come quello che opera nel processo penale.

Per mettere il giudice nelle condizioni di effettuare un controllo immediato circa la fondatezza delle allegazioni di violenza, l'art. 473-bis.41 c.p.c. impone al ricorrente di indicare gli eventuali procedimenti, anche se ancora pendenti, relativi alle condotte violente o di abuso e di allegare copia dei provvedimenti relativi alle parti o al minore emessi dall'autorità giudiziaria penale, civile o minorile ovvero da altre pubbliche autorità (si pensi all'ammonimento emesso dal Questore in presenza di stalking) sia atti comprovanti le rappresentate violenze domestiche (verbali di sommarie informazioni testimoniali o trascrizione delle deposizioni dei testimoni nel corso del giudizio penale). Anche in questo caso l'elencazione è volutamente esemplificativa per fare entrare nel giudizio ogni elemento probatorio idoneo ad accertare, sia pure sommariamente, la sussistenza della lamentata violenza domestica o di genere. Diventa, al contempo, fondamentale che l'allegazione sia più ampia e dettagliata possibile, al fine di evitare che la previsione di un procedimento più rapido e snello e i più ampi poteri officiosi del giudice della famiglia possano, ingiustificatamente, divenire strumento di abuso del processo e comportare provvedimenti fortemente limitativi della responsabilità genitoriale a fronte di allegazioni infondate.

Particolare attenzione poi è dedicata allo svolgimento dell'udienza, ove il rischio di vittimizzazione secondaria è elevatissimo: la vittima di violenza può, quindi, scegliere di non presenziare personalmente in udienza e il giudice, al fine di tutelare la sfera personale, la dignità, la personalità e la sicurezza della vittima, può adottare cautele così da evitare contatti diretti tra le parti, come stabilire diverse fasce orarie per la comparizione delle singole parti e disporre la secretazione dell'indirizzo di residenza della vittima, laddove collocata in struttura protetta e sussistano esigenze di sicurezza. Inoltre, in questo procedimento non può essere tentata la conciliazione, considerata anche la posizione di subordinazione di una parte rispetto all'altra nelle relazioni contraddistinte da violenza e non è consentito il ricorso alla mediazione che è vietata in presenza di violenza domestica.

In presenza di allegazioni di violenza domestica sono poi previsti particolari accorgimenti per l'ascolto del minore che spesso ha maturato un netto rifiuto nei confronti del genitore violento (disciplinato all'art. 473.bis.45 c.p.c.). All'ascolto deve procedere il giudice personalmente e senza indugio, avendo cura di evitare ogni contatto tra il minore e il presunto autore della violenza e dell'abuso; inoltre, sempre al fine di evitare la vittimizzazione secondaria, all'ascolto diretto del minore non si procede quando questi sia stato già ascoltato in altro procedimento civile, penale o minorile e le risultanze dell'ascolto, acquisite agli atti, siano ritenute dal giudice procedente sufficienti ed esaustive (sulla falsariga di quanto accade nel processo penale laddove la vittima sia già stata sentita in sede di incidente probatorio).

I poteri officiosi del giudice della famiglia nei procedimenti in cui siano allegati fatti di violenza

Con la Riforma Cartabia si è voluto, dunque, offrire una tutela rapida ed effettiva alle vittime di abusi familiari o di condotte di violenza o di genere nell'ambito dei procedimenti con allegazione di fatti di violenza in cui non vi è parità di potere, come nella relazione di coppia conflittuale, bensì sottomissione, umiliazione e annientamento di una parte rispetto all'altra.

Ed invero, il legislatore delegato ha ritenuto non più procrastinabile l'intervento riformatore sulla base dell'importante constatazione che la violenza nell'ambito dei nuclei familiari, oltre a configurare una violazione dei diritti umani, rappresenta un problema di sanità pubblica, in quanto ha effetti negativi - sia a breve che a lungo termine - sulla salute fisica, mentale e riproduttiva della vittima e dei minori che assistono alla violenza all'interno del nucleo familiare.

In questi casi, è previsto espressamente che il giudice compia, anche d'ufficio e senza ritardo, tutte le attività previste dalle norme che regolano il procedimento in cui siano stati allegati fatti di violenza, puntualmente disciplinato agli artt. 473-bis.40 e ss. c.p.c.

Importante a tal fine è la previsione di cui al quinto comma dell'art. 473-bis.42 c.p.c. che impone al giudice l'onere di attivarsi al fine di chiedere al pubblico ministero e alle altre autorità competenti informazioni in merito all'esistenza di eventuali procedimenti concernenti gli abusi e le violenze allegate, definiti o pendenti, nonché la trasmissione di atti non coperti dal segreto investigativo e non è escluso che, a fronte di tale richiesta, il p.m. possa anche decidere di desecretare parte degli atti relativi alle indagini svolte.

Tra i poteri ufficiosi di cui il giudice dispone in tale procedimento vi è, altresì, la facoltà di procedere all'interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati e sentire a sommarie informazioni soggetti che possano riferire in merito ai fatti allegati, disponendo d'ufficio la prova testimoniale con conseguente formulazione dei relativi capitoli di prova. L'ascolto delle parti e delle persone informate sui fatti riveste, dunque, un ruolo centrale al fine di vagliare la fondatezza delle allegazioni.

Inoltre, il giudice può acquisire atti e documenti presso i servizi pubblici nonché rapporti di intervento e relazioni di servizio redatti dalle forze dell'ordine, ove non coperte da segreto e può anche disporre indagini a cura del servizio sociale territorialmente competente.

Infine, può ricorrere ad esperti o altri ausiliari dotati di competenze specifiche in materia; può, in particolare, nominare un CTU scelto tra gli esperti in materia di violenza di genere e domestica a cui ad esempio demandare la verifica dell'esistenza di margini di recupero del genitore violento e le modalità con cui lo stesso possa vedere il figlio, dal momento che l'incapacità genitoriale è connaturata all'agire violento ma occorre al contempo garantire - laddove non contrario all'interesse del minore ovvero al suo benessere psicologico, al suo equilibrio emotivo ed alla sua incolumità - il diritto del minore stesso alla bigenitorialità, con la precisazione che il quesito demandato al perito non può mai riguardare l'accertamento degli atti violenti che è un compito riservato al giudice.

Ed invero, lo scopo perseguito dal Legislatore delegato, in aderenza allo spirito della legge delega sul punto, è quello di definire il perimetro e le finalità del mezzo istruttorio, volto esclusivamente a fornire al giudice strumenti ed informazioni tecnico-scientifiche che gli consentano, unitamente ad ulteriori elementi istruttori, di formulare valutazioni e adottare soluzioni il più possibile adeguate a soddisfare e tutelare i diritti delle parti e dei minori.

All'esito dell'istruzione, il giudice, ai sensi dell'art. 473-bis.46 c.p.c., ove ravvisi la fondatezza delle allegazioni di violenza, adotta i provvedimenti ritenuti più opportuni a tutelare la vittima ed il minore, tra cui quelli previsti dall'art. 473-bis.70 c.p.c. (ordini di protezione) e disciplina il diritto di visita individuando modalità idonee a non compromettere la sicurezza della vittima e del minore (è il caso delle visite protette).

Inoltre il giudice può disporre, con provvedimento motivato, l'intervento dei servizi sociali e del servizio sanitario e quando la vittima è inserita in collocazione protetta, può incaricare i servizi sociali del territorio per l'elaborazione di progetti per il reinserimento sociale o nel mondo del lavoro della vittima, così da consentirle di raggiungere in futuro una autonomia anche di tipo economico.

Tale valutazione, che solitamente è compiuta dal giudice all'esito dell'istruttoria sommaria, viene anticipata, in via d'urgenza, ancor prima dell'integrazione del contraddittorio, in sede di provvedimenti indifferibili, laddove vengano allegati fatti di violenza e si ravvisi un pregiudizio imminente ed irreparabile per la vittima ed il minore.

Sul punto è importante precisare che, sussistendone i presupposti, tali provvedimenti sono svincolati dalla domanda di parte, posto che il procedimento di cui all'art. 473-bis.40 c.p.c., in quanto lex specialis si applica anche ai provvedimenti indifferibili. In tale ambito, si noti che l'art. 473-bis.15 c.p.c. dispone: «In caso di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione dei provvedimenti, il presidente o il giudice da lui delegato, assunte ove occorre sommarie informazioni, adotta con decreto provvisoriamente esecutivo i provvedimenti necessari nell'interesse dei figli e, nei limiti delle domande da queste proposte, delle parti. Con il medesimo decreto fissa entro i successivi quindici giorni l'udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti adottati con il decreto, assegnando all'istante un termine perentorio per la notifica»; invece, l'art. 473.bis.46 c.p.c. non riporta con riferimento ai provvedimenti più idonei a tutelare la parte vittima di violenza (e il minore) l'espressione «nei limiti delle domande» proposte dalle parti.

Preme evidenziare che in tali contesti i soggetti deboli sono due: il minore vittima di violenza assistita (ovvero una definizione del CISMAI - Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso dell'Infanzia - per i casi del minore esposto a violenza, di tipo fisico e/o psicologico compiuta da un membro della famiglia su un altro) ed il genitore vittima di violenza diretta che deve essere tutelato e aiutato ad uscire dal c.d. ciclo della violenza, anche mediante l'attivazione di percorsi di sostegno alla genitorialità e di reinserimento sociale o nel mondo del lavoro, per non correre il rischio che il minore permanga in un contesto nocivo per il suo sviluppo psicofisico.

Se infatti, da un lato, l'incapacità genitoriale è connaturata all'agire violento, dall'altro, per il genitore che la subisce, invece, non può essere legata alla semplice considerazione di non essere riuscito a sottrarre il figlio dal ciclo della violenza perché altrimenti si correrebbe il rischio che il soggetto debole vittima di violenza decida di non denunciare e di non adire mai il tribunale per timore di perdere la responsabilità genitoriale.

Si deve, dunque, avere un atteggiamento di favore nei confronti della vittima in modo tale da capire se, una volta accertati i fatti e ove adeguatamente supportata dalle istituzioni, questa riesca ad uscire dal c.d. «ciclo della violenza».

Il ruolo fondamentale del CTU e dei servizi sociali

Nella prospettiva sopra tracciata, assume particolare rilevanza il ruolo del principale ausiliario del giudice, il consulente tecnico, ma anche del servizio sanitario e dei servizi sociali ai quali il Giudice è tenuto ad indicare «in modo specifico» l'attività agli stessi demandata fissando, altresì, i termini entro cui i servizi sociali devono depositare una relazione periodica sull'attività svolta e quelli entro cui le parti possono depositare memorie.

Dal punto di vista del contenuto delle relazioni dei servizi, è fondamentale, così come nelle relazioni dei consulenti, che siano concretamente distinguibili i diversi aspetti relativi all'intervento, ovvero i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le eventuali valutazioni formulate dagli operatori che, ove aventi oggetto profili di personalità delle parti, devono essere sempre fondate su dati oggettivi e su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare nella relazione. Tale approccio metodologico dovrebbe consentire al giudice della controversia familiare di non confondere la violenza con il conflitto familiare, con il rischio di un grave pregiudizio per tutte le parti coinvolte, dal momento che gli accertamenti del perito incaricato dal tribunale e le relazioni periodiche dei servizi sociali sono alla base dei provvedimenti di affidamento e collocazione della prole.

Da qui, dunque, la necessità di affidare ad ausiliari esperti e formati adeguatamente sul tema della violenza, il compito di esperire gli accertamenti peritali e il monitoraggio del nucleo familiare.

In conclusione

Dall'analisi svolta emerge, dunque, una nuova figura di giudice della famiglia che è posto al centro di una raggiera di possibili professionisti di scienze umane; in particolare, deve rapportarsi con il CTU, con i Servizi Sociali, con il tutore del minore, con il curatore speciale e deve essere, pertanto, in grado di interfacciarsi con tali figure dovendone cogliere sapientemente il contributo laddove, nel delicato compito che gli è affidato, è chiamato a decifrare nozioni di altre scienze, nella consapevolezza dell'arricchimento che comporta la trasversalità dei saperi.

La materia delle relazioni familiari, infatti, necessita più di ogni altra dell'ausilio di cognizioni extragiuridiche, per le forti implicazioni personali e psicologiche del conflitto in generale e ancora di più nei casi di violenza fisica o psicologica nella coppia, che come già detto determina un contesto relazionale asimmetrico.

In conclusione, riconoscere e saper distinguere i casi di conflitto da quelli di violenza, consente: dapprima agli avvocati di evitare che atti non violenti vengano strumentalizzati e presentati come violenze e atti violenti vengano sminuiti e trattati come sola espressione di conflitto; ed al giudice poi, una volta investito della vicenda giudiziaria, di riconoscere le relazioni violente. Il giudice potrà così intervenire senza indugio per mettere in sicurezza la vittima e la prole ed impedire ogni situazione potenzialmente fonte di pregiudizio per le stesse, anche al fine di evitare la vittimizzazione secondaria ovvero una condizione di ulteriore sofferenza vissuta dalla vittima in relazione ad un atteggiamento di insufficiente attenzione o di inadeguatezza da parte delle stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno della violenza e di tutti gli operatori del settore.

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