Cram down fiscale e previdenziale nel concordato in continuità: note a margine di alcune recenti sentenze

30 Maggio 2024

Due recenti pronunce di merito offrono lo spunto per trattare la controversa questione della “estendibilità” al concordato in continuità dell’istituto del cram down fiscale e contributivo, parte del più complesso tema dei problemi di coordinamento tra gli artt. 88 e 112 comma 2 del c.c.i.i.

La questione

Le sentenze che intendiamo commentare sono due: la prima del tribunale di Napoli (n. 83 del 24 aprile 2024) e la seconda del tribunale di Lucca (n. 62 del 18 luglio 2023, confermata dalla Corte di Appello di Firenze con pronuncia n. 1648 del 2023).  Esse danno conto di un grave conflitto interpretativo, l'ennesimo, su un punto nient'affatto marginale, per il quale è senz'altro opportuno l'intervento del legislatore per mezzo del nuovo correttivo al codice della crisi.

Le norme coinvolte sono l'art. 88 c.c.i.i., sul trattamento dei crediti fiscali e previdenziali, e l'art. 112 comma 2, c.c.i.i.

Del tema ci eravamo già occupati con un precedente contributo (Morri, I crediti tributari e contributivi nel concordato in continuità aziendale, ovvero della portata eversiva del CCII, in IUS Crisi d'impresa, 24 luglio 2023) nel quale sostenevamo che l'art. 112 comma 2 prevaleva sul contenuto sostanziale dell'art. 88 quando era in gioco un concordato in continuità; e segnatamente ne prevaleva la lett. b) sul secondo e terzo periodo del comma 1 dell'art. 88.  In sostanza, quindi, nel concordato in continuità ai creditori pubblici doveva essere assegnato un trattamento “complessivamente” – cioè a dire comprensivo e della parte privilegiata e della parte degradata al chirografo – pari a quello dei creditori di pari grado e superiore a quello dei creditori di grado inferiore, senza che fosse necessario che la parte degradata del credito venisse considerata autonomamente dalla parte privilegiata, come invece vuole, nel concordato liquidatorio, l'art. 88 comma 1. In quel contributo concludevamo, di conseguenza, sostenendo che tra art. 88 e 112 comma 2 non vi fosse contrasto ma semplice riparto di competenze, operando il primo, e con riguardo al concordato in continuità, nel campo della procedura da seguirsi per a) proporre al fisco e agli enti suddetti il desiderato trattamento del credito e b) processare il contenuto di questa proposta negli interna corporis dei creditori.

Le sentenze in commento evidenziano un altro problema di coordinamento tra le due norme: quello della “estendibilità” al concordato in continuità dell'istituto del cram down fiscale e contributivo regolato, dopo il d.lgs. n. 83/2022 (o “secondo correttivo”), dal comma 2-bis dell'art. 88 c.c.i.i.

Tale norma, che sostituisce la previsione prima contenuta nell'art. 48 comma 5, sull'omologazione anche in assenza di adesione dell'erario e degli enti previdenziali e assistenziali, così recita: “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'articolo 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento  della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria”.

La questione che precisamente si pone è se tale norma possa agire anche nel contesto del concordato in continuità, allo scopo di raggiungere le maggioranze – rectius le “configurazioni di consenso” – previste dalla lett. d) del comma 2 dell'art. 112 e segnatamente: i) quella – che definiremmo di maggioranza rafforzata – che vuole il voto della maggioranza delle classi di cui almeno una privilegiata (prima parte della lett. d); e ii) quella - che definiremmo di minoranza qualificata – operante in difetto della prima, che vuole il voto a favore di almeno una classe che, applicando la regola di priorità assoluta, sarebbe “in the money” anche rispetto al valore eccedente quello di liquidazione (tale classe deve essere caratterizzata dal subire un semplice pregiudizio, cioè una perdita di valore del credito - cfr. il considerando 54 della direttiva Insolvency - , e non essere necessariamente “interessata”, cioè pregiudicata, nel riparto del valore eccedente la liquidazione rispetto a quanto le spetterebbe applicando la regola di priorità assoluta.  Il legislatore nazionale infatti, nell'alternativa concessa dalla direttiva - art. 11, paragrafo 1, lett. b) - come anche spiegato dal citato considerando, ha scelto l'opzione più liberale per il debitore, identificando la  classe costituente la minoranza qualificata con quella che subisce un mero pregiudizio – alias una perdita di valore del credito, che può anche essere costituita dalla postdatazione del pagamento dei privilegiati – e non anche una perdita superiore a quella che le deriverebbe dall'applicazione della absolute priority rule, caso in cui la classe sarebbe non solo pregiudicata, ma anche interessata alla ristrutturazione – cfr. art. 2, paragrafo 1, n. 2) della direttiva Insolvency).

Le tesi del tribunale di Lucca

Il tribunale di Lucca risolve la questione sostenendo che il comma 2-bis dell'art. 88 c.c.i.i. si applica solo nei concordati liquidatori, fondando la propria posizione su argomenti letterali e sistematici.  Quanto ai primi, rileva che l'incipit dell'art. 88, come introdotto dal secondo correttivo, fa salve le previsioni dell'art. 112 comma 2, c.c.i.i. per la ristrutturazione trasversale, e il suo comma 2-bis richiama l'art. 109, comma 1 – che si riferisce alle maggioranze del concordato liquidatorio – e non anche il comma 5 – che si riferisce a quelle del concordato in continuità - e soprattutto l'art. 112, comma 2, lett. d), che tratta delle maggioranze da raggiungere per la ristrutturazione trasversale.

Circa le tesi di carattere sistematico, osserva in particolare il tribunale lucchese che l'applicazione della regola di priorità relativa deroga ai principi base dell'ordinamento italiano (art. 2741 c.c. e 24 Cost.) e costituisce pertanto norma eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica.  Al medesimo modo, le norme in materia di cram down, forzando l'adesione di un creditore, anche contro la sua volontà, sono di carattere eccezionale, non interpretabili analogicamente.

Unica possibilità di ampliamento del senso dell'art. 88 comma 2-bis, c.c.i.i. sta dunque nella interpretazione estensiva, che è diversa da quella analogica e possibile anche per le norme a portata eccezionale.

Il tribunale esclude che l'interpretazione estensiva porti in qualche dove, in questa materia.

In primo luogo, la direttiva Insolvency, all'art. 11, quello sulla ristrutturazione trasversale, mai fa riferimento alla possibilità di “fare ingoiare” a un creditore dissenziente una proposta che non ha approvato, ma regola semplicemente le condizioni perché il consenso di una maggioranza rafforzata o anche una minoranza qualificata di classi possa aprire alla ristrutturazione trasversale del credito.  In altre parole, il meccanismo pensato dal legislatore europeo si basa comunque sul consenso effettivamente dato da almeno una parte dei creditori, per costruirci sopra la forzatura della ristrutturazione trasversale.

In secondo luogo, il cram down fiscale e previdenziale è il frutto di un'azione del legislatore nazionale tesa a temperare i rigori della absolute priority rule, e non è armonica con un sistema in cui invece agisca la relative.  Quest'ultima, infatti, è già di per sé sufficiente a facilitare il successo di un concordato non approvato da tutte, e financo dalla maggioranza delle classi, per aversi la necessità di ricorrere ad una fictio iuris che sovverte la volontà di un creditore. Che poi sia necessario il consenso esplicito delle classi, sembra voluto dal legislatore europeo (art. 11 paragrafo 1, lett. b) della direttiva Insolvency).

Seguono altre considerazioni che fanno riferimento alla disciplina degli accordi di ristrutturazione e del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, con argomenti il cui sviluppo sarebbe troppo complesso da trattare in questa sede.

La tesi del tribunale di Napoli

Il tribunale di Napoli è stato chiamato a decidere sulla omologazione di un concordato in continuità che vedeva cinque classi di creditori, tre delle quali costituite da creditori “pubblici” (Inps ed erario) e altre due da creditori chirografari “comuni”.

Tutte e cinque le classi rigettavano la proposta: ciononostante il debitore chiedeva che si accedesse alla ristrutturazione trasversale del debito instando affinché il tribunale esercitasse il potere di cram down sulle classi erariali e previdenziali, richiesta che il tribunale accoglieva, previa verifica delle condizioni di convenienza della proposta rispetto alla alternativa liquidatoria.

“Creato” così il consenso di tre classi su cinque, di cui due privilegiate, il tribunale procedeva alla verifica delle ulteriori condizioni poste dal comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i. giungendo all'omologazione del concordato.

Il tribunale partenopeo sostiene la sua posizione anzitutto neutralizzando il richiamo operato dall'art. 88 comma 2-bis all'art. 109 comma 1, come “frutto di un difetto di coordinamento conseguente alla modifica dell'art. 109 comma 1, che precedentemente stabiliva le regole di approvazione di tutti i tipi di concordato” da parte del secondo correttivo, il tutto non senza avere messo in luce come l'art. 88 si occupi anche del concordato in continuità – si veda il richiamo al “trattamento non deteriore” contenuto nel comma 2.

Ma il vero cuore dell'argomentazione della sentenza sta in questo passaggio:  “E comunque, su tutte le precedenti considerazioni di ordine tecnico risulta preminente l'argomentazione che fa leva sulla ratio dell'istituto del cram down fiscale e previdenziale, che ha evidentemente la sua matrice nella necessità di superare ingiustificati dinieghi da parte degli enti finanziari e previdenziali al cospetto di soluzioni di carattere transattivo non peggiorative rispetto all'alternativa liquidatoria, ma che consentano la salvaguardia dei valori aziendali e la tutela dei conseguenti livelli occupazionali, che sono i principi informatori della stessa direttiva comunitaria”.

La nostra opinione

Rimandando alle riflessioni contenute nel nostro precedente contributo sopra richiamato, pensiamo che il punto di partenza per affrontare il problema sia la constatazione che, tra art. 88 c.c.i.i. e art. 112 comma 2, c.c.i.i. esiste un rapporto di complementarietà e non di reciproca esclusione.  Cioè a dire: l'art. 88 regola in generale l'istituto del trattamento dei crediti tributari e contributivi, sia in punto di procedura che di merito, in specie nell'aspetto del trattamento non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria, mentre l'art. 112 comma 2 regola l'istituto della ristrutturazione trasversale nei concordati in continuità, prevalendo, in caso di conflitto, sull'art. 88

In particolare, l'art. 112 comma 2 supera la previsione della doppia tutela del grado di soddisfazione e della parte privilegiata del credito e della parte degradata al chirografo (secondo e terzo periodo del comma 1 dell'art. 88).  Esso, infatti, pone il semplice requisito che il credito pubblico sia “complessivamente” trattato come quello di pari grado e meglio di quello di grado inferiore.  Differenza di non poco conto, sul piano della misura minima di soddisfazione da offrire nel concordato liquidatorio rispetto a quello in continuità.

In questa luce, ci pare che il meccanismo del cram down non sia in conflitto con l'art. 112 comma 2 ma possa con esso convivere in quelle situazioni nelle quali il diniego di consenso dei creditori pubblici vada contro l'interesse che essi sono chiamati a tutelare. È vero quanto dice il giudice di Lucca, e cioè che la direttiva Insolvency non prevede questo meccanismo, ma è anche vero che non lo esclude, lasciando al legislatore nazionale la facoltà di normare in tal senso, peraltro nel solco di una corrente legislativa molto diffusa sul piano internazionale.

Tale orientamento ci pare anche opportuno, sul piano della politica giudiziaria, in un contesto come quello italiano, caratterizzato da una certa inefficienza della burocrazia e soprattutto dalla “paura della firma” per lo spauracchio della responsabilità erariale, allo scopo di dare al giudice la possibilità di salvare procedure che appaiono convenienti per il ceto creditorio e per i diversi portatori di interessi che si affollano intorno all'impresa in crisi.

Data la rilevanza dell'argomento è ovviamente auspicabile che il nuovo correttivo in arrivo risolva il conflitto.

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