Riparto delle spese condominiali: è nulla la delibera che lo stabilisce pro futuro in difformità dai criteri legali?

03 Giugno 2024

Con l'ordinanza in commento, il Supremo Collegio - sul solco dell'insegnamento nomofilattico del 2021, che peraltro non si discostava, sul punto, dal precedente del 2004 - ha confermato la sentenza di merito, la quale ha ritenuto “nulla” la delibera condominiale che aveva imposto, a carico di alcuni condomini, spese non dovute perché relative all'utilizzo di beni a loro non comuni nonché a servizi di cui essi non fruivano (in particolare, si trattava delle spese relative alla guardiania, all'amministrazione del parco, alla manutenzione delle strade interne, all'impianto di illuminazione, nonché al cancello di ingresso e al citofono, spettando, invece, agli stessi condomini le spese di amministrazione ed assicurazione degli impianti comuni).

Massima

In tema di ripartizione delle spese condominiali, le attribuzioni dell'assemblea non comprendono il potere di introdurre criteri di riparto differenti da quelli previsti ex lege, conseguendone che la delibera assembleare che stabilisca, a mera maggioranza, di modificare, in astratto e pro futuro, i criteri legali è affetta da nullità per difetto assoluto di attribuzioni dell'assemblea medesima.

Il caso

La causa - giunta all'esame della Suprema Corte - traeva origine da una domanda, proposta da un Supercondominio, il quale aveva convenuto in giudizio alcuni soggetti, indicandoli come “condomini”, perché proprietari di villette comprese nel complesso immobiliare, chiedendone, per tale qualità, la condanna al pagamento degli oneri condominiali.

I convenuti, invece, deducevano: a) che non erano condomini; b) che gli immobili di loro proprietà erano ubicati oltre il muro di recinzione del complesso immobiliare, con un diverso accesso, senza possibilità di fruire dei servizi di guardiania e dell'impianto citofonico; c) che le tabelle non erano loro opponibili e, in conseguenza, neppure la ripartizione delle spese, perché essi non avevano partecipato al loro procedimento formativo.

Il Tribunale, istruita la causa con l'espletamento di una prova testimoniale, richiamata la CTU in altro precedente giudizio intercorso tra le stesse parti, aveva accolta la domanda attorea.

La Corte d'appello, in accoglimento dell'appello dei convenuti, aveva riconosciuto unicamente il credito per spese di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete fognaria delle acque nere e delle acque bianche, nonché delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria delle spese idriche di adduzione.

Come risultava dalla suddetta CTU - acquisita per accordo delle parti - si era accertato che le unità immobiliari degli appellanti, facenti parte del lotto X, erano esterne al muro di confine del Supercondominio, non erano collegate all'impianto citofonico dello stesso e non avevano accesso dall'ingresso chiuso da una sbarra e da un cancello elettrico regolati dalla portineria; di contro, la rete fognaria a servizio delle villette a schiera era collegata al pozzetto sito all'interno del Supercondominio ed era stata progettata fin dall'inizio per servire tutti i lotti di cui alla convenzione di lottizzazione, ed anche la rete idrica serviva sia il Supercondominio, sia gli immobili degli appellanti, tanto che, all'inizio, era stato installato un unico misuratore con contratto di fornitura intestato al Supercondominio e, soltanto dopo, erano stati stipulati contratti per le singole utenze; del pari, l'impianto di illuminazione era stato realizzato sulla strada di collegamento ed utilizzato sia dai condomini, sia dai proprietari delle villette, come era pure regolabile soltanto dall'interno della portineria del condominio.

Ciò stabilito, si rimarcava che l'impianto fognario, la rete di illuminazione del viale esterno e la rete idrica risultavano in comune, così che, al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 ss. c.c., anche il Supercondominio, in mancanza di titolo contrario, era venuto in essere ipso iure et facto senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari.

Si statuiva, quindi, che le delibere di approvazione dei bilanci, poste dal Supercondominio a fondamento della di pagamento, erano nulle in quanto imponevano ai convenuti spese inerenti l'utilizzo di beni a loro non comuni o di servizi di cui invece non fruivano, e si rideterminava l'ammontare delle spese dovute dai convenuti, limitandole, però, alle spese di amministrazione e assicurazione degli impianti comuni.

Il Supercondominio proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se il giudice distrettuale fosse incorso in una violazione di legge, per un verso, per aver dichiarato d'ufficio, senza specifica impugnativa degli appellanti, la nullità delle delibere di approvazione dei bilanci e, per altro verso, per aver ritenuto la nullità e non l'annullabilità, delle delibere di approvazione dei bilanci medesimi nonostante non fossero stati modificati i criteri di calcolo dell'attribuzione delle spese, ma soltanto fossero state imposte quote non dovute a condomini c.d. parziali.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tali doglianze infondate.

Si ricorda che, in tema di condominio degli edifici, le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell'oggetto ove l'assemblea, esorbitando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere anche per il futuro, mentre sono, invece, semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato.

In proposito, si osserva che le attribuzioni dell'assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte dall'art. 1135, nn. 2 e 3, c.c. alla verifica e all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, modifiche consentite dall'art. 1123 c.c. soltanto mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio.

Pertanto, l'assemblea che deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative) si troverebbe ad operare in “difetto assoluto di attribuzioni”.

Nella fattispecie - ad avviso degli ermellini - la Corte di merito aveva correttamente applicato i principi giurisprudenziali di cui sopra, concludendo nel senso che le delibere di bilancio, poste a fondamento della domanda di pagamento, avevano imposto ai convenuti spese da loro non dovute perché inerenti all'utilizzo di beni a loro non comuni o di servizi di cui invece non fruivano (e segnatamente, quelle individuate nella tabella C, relative alla guardiania, all'amministrazione del parco, nonché quelle della tabella D, relative alla manutenzione e riparazione delle strade interne al parco, alla pulizia e agli arredi, all'impianto di illuminazione, al cancello di ingresso ed al citofono).

Peraltro, la ripartizione era avvenuta in base a tabelle millesimali contenute in un regolamento condominiale non opponibile agli appellanti, perché non predisposto dal costruttore delle villette in loro proprietà, né recepito nei loro atti di compravendita o trascritto.

D'altronde, il giudice distrettuale aveva esaminato i beni e servizi comuni con dettagliata motivazione, sulla scorta della CTU esperita in altro giudizio, ma acquisita agli atti per comune accordo tra le parti, ricostruendo i titoli del complesso immobiliare e del diverso lotto X in cui si trovano le villette, l'ubicazione, la funzione e l'utilizzo dei servizi cui le spese pretese inerivano.

Osservazioni

La decisione in commento si pone sulla stessa lunghezza d'onda dell'insegnamento nomofilattico del 2021, che, peraltro, non si discostava molto dall'autorevole pronunciamento del 2005 (v., rispettivamente, Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839; Cass. civ., sez. un. 7 marzo 2005, n. 4806).  

In realtà, nella specie, non si era in presenza di una delibera che aveva “derogato” ai criteri legali di riparto delle spese condominiali, quanto piuttosto in una delibera che aveva “attribuito” l'imputabilità delle spese afferenti a beni/impianti/servizi ad alcuni soggetti che, invece, non ne erano titolari perché a loro non comuni o che, comunque, non ne usufruivano, per cui, a rigore, non potevano definirsi nemmeno “condomini”.

La questione sottesa riguarda il tipo di invalidità che inficia la delibera dell'assemblea che ripartisca le spese tra i condomini in violazione dei criteri dettati negli artt. 1123 ss. c.c. o dei criteri convenzionalmente stabiliti: in particolare, si tratta di stabilire se una delibera siffatta debba ritenersi affetta da “nullità”, come tale rilevabile d'ufficio e deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, oppure da mera “annullabilità”, deducibile nei modi e nei tempi previsti dall'art. 1137, comma 2, c.c.

Sul punto, la giurisprudenza tradizionale aveva affermato il principio secondo cui, riguardo alle delibere assembleari, aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con cui vengono stabiliti i criteri di ripartizione ex art. 1123 c.c. o sono modificati i criteri fissati in precedenza, per le quali è necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini, da quelle con cui, nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135, nn. 2 e 3, c.c., vengono in concreto ripartite le spese medesime, atteso che solo queste ultime, ove adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza, di 30 giorni, previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1995, n. 1455; Cass. civ., sez. II, 1° febbraio 1993, n. 1213).

Lo stesso supremo organo di nomofilachia (Cass. sez. un. n. 4806/2005 cit., peraltro sull'abbrivio di Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 31), nel ribadire il principio appena richiamato, ha avuto cura di tracciare il discrimen tra le delibere assembleari “nulle” e quelle “annullabili”, nel senso che devono qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), quelle con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, quelle che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, quelle comunque invalide in relazione all'oggetto, mentre devono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, e quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.

Nella motivazione di tale autorevole arresto, si individua il criterio distintivo tra nullità e annullabilità nella contrapposizione tra “vizi di sostanza”, come tali afferenti al contenuto delle delibere, e “vizi di forma”, afferenti invece alle regole procedimentali per la formazione delle delibere assembleari: i primi ricorrerebbero quando le delibere presentano un oggetto impossibile o illecito, mentre i secondi ricorrerebbero quando le delibere sono state assunte dall'assemblea senza l'osservanza delle forme prescritte dall'art. 1136 c.c. per la convocazione, la costituzione, la discussione e la votazione in collegio, ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120,1121,1129,1132,1135 c.c.

Tuttavia, tale criterio distintivo si è rivelato inadeguato specie con riferimento alle delibere aventi ad oggetto la ripartizione, tra i condomini, delle spese afferenti alla gestione delle cose e dei servizi comuni in violazione dei criteri stabiliti dalla legge (artt. 1123 ss. c.c.) o dal regolamento condominiale contrattuale.

È avvenuto così che, proprio nella materia dell'invalidità delle delibere che ripartiscono le spese condominiali in violazione dei criteri legali o convenzionali, si è delineato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Un primo indirizzo giurisprudenziale - rimasto fedele alla giurisprudenza tradizionale - ha affermato che sono affette da nullità soltanto le delibere attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono meramente annullabili - e, come tali, impugnabili nel termine di cui all'art. 1137, comma 2, c.c. - le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135, nn. 2 e 3, c.c., determina “in concreto” la ripartizione delle spese medesime in violazione dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c. o stabiliti convenzionalmente da tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 21 luglio 2006, n. 16793; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17101; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2007, n. 7708; Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2010, n. 6714).

Un secondo orientamento ha affermato - in senso opposto - che le delibere dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese sono da considerare nulle per impossibilità dell'oggetto, e non meramente annullabili, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, trattandosi di invalidità da ricondursi alla “sostanza” dell'atto e non connessa con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2017, n. 19651); d'altra parte, tali delibere finiscono per incidere negativamente sulla sfera patrimoniale del singolo condomino, allo stesso modo delle delibere c.d. normative - che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese per il futuro - cosicché l'adozione di esse necessiterebbe dell'accordo unanime di tutti i condomini.

A fronte di questo rinnovato contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite hanno ritenuto di ribadire i principi già affermati con la propria sentenza n. 4806/2005, sia pure nei termini e con le precisazioni che seguono.

Al riguardo, si ricorda che, nel condominio, la volontà collettiva si forma mediante il metodo collegiale, che assegna ogni potere decisionale all'assemblea dei condomini, la quale delibera secondo il principio maggioritario: la volontà della maggioranza, formatasi secondo le regole ed i criteri previsti dalla legge, è infatti vincolante per tutti i condomini, anche per quelli assenti o dissenzienti (art. 1137, comma 1, c.c.).

La preoccupazione del legislatore di assicurare la certezza dei rapporti giuridici di un'entità così complessa, come il condominio degli edifici, spiega perché la relativa disciplina normativa sia improntata ad un chiaro favor per la stabilità delle delibere dell'assemblea dei condomini, che sono efficaci ed esecutive finché non vengano rimosse dal giudice (art. 1137, comma 3, c.c.), e perché tale disciplina non contempli alcuna ipotesi di nullità delle delibere dell'assemblea condominiale, che renderebbe le medesime esposte in perpetuo all'azione di nullità, proponibile senza limiti di tempo da chiunque vi abbia interesse.

La recente riforma della normativa condominiale (l. n. 212/2012) ha, poi, accentuato il disfavore per le figure di nullità delle delibere assembleari: invero, il novellato art. 1137 c.c. configura ora espressamente l'impugnazione delle suddette delibere come una azione di “annullamento” - il testo originario non ne parlava espressamente - da proporre “contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio”.

Il tenore amplissimo della disposizione non lascia dubbi sull'intento del legislatore di ricondurre ogni forma di invalidità delle delibere assembleari, senza distinzioni, alla figura della “annullabilità” e di porre così a carico del singolo condomino l'onere - esigibile sul piano della diligenza - di verificare, una volta ricevuta comunicazione di una delibera dell'assemblea, la sussistenza di eventuali vizi della stessa e, in caso positivo, di impugnarla, chiedendone l'annullamento.

Il tenore dell'art. 1137 c.c. non deve, tuttavia, ingannare: esso non consente di ritenere che la categoria della nullità sia interamente espunta dalla materia delle delibere dell'assemblea dei condomini, poiché esistono categorie, nel mondo del diritto, che non sono monopolio del legislatore, ma scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge, come, per esempio, con riferimento alle delibere dell'assemblea condominiale affette dai vizi più gravi.

Si tratta, allora, di verificare in quali termini le fattispecie di nullità, previste dall'art. 1418 c.c. per il contratto, possano valere per le delibere dell'assemblea del condominio ed in quali termini esse siano compatibili col carattere collegiale dell'assemblea e con il principio maggioritario, tenendo presente che l'ambito in cui esse possono operare è, comunque, circoscritto dalla disciplina posta dall'art. 1137 c.c.: in particolare, nel compiere tale verifica, va tenuto presente che, con la disposizione dell'art. 1137 c.c., il legislatore - mosso dall'intento di favorire la sanatoria dei vizi ed il consolidamento degli effetti delle delibere dell'assemblea condominiale - ha elevato la categoria della annullabilità a “regola generale” dell'invalidità delle delibere assembleari, confinando così la nullità nell'area della residualità e dell'eccezionalità (ciò trova conferma nel fatto che, con la citata riforma del 2013, sono state introdotte - agli artt. 1117-ter, comma 3, e 1129, comma 14, c.c. - alcune speciali fattispecie di nullità, in tema, rispettivamente, di modificazioni delle destinazioni d'uso e di nomina dell'amministratore di condominio).

Tenendo presente quanto appena detto, le Sezioni Unite si danno carico di ricercare lo spazio che, nella disciplina codicistica del condominio, residua per la categoria della “nullità” con riguardo alle delibere dell'assemblea dei condomini.

Innanzitutto, proprio considerando il fatto che la categoria dell'annullabilità è stata elevata dal legislatore a regola generale delle delibere assembleari viziate, è possibile cogliere l'inadeguatezza del criterio distintivo tra nullità e annullabilità fondato sulla mera contrapposizione tra “vizi di sostanza” e “vizi di forma”.

Invero, l'art. 1137 c.c. sottopone inequivocabilmente al regime dell'azione di annullamento, senza distinzioni, tutte “le delibere contrarie alla legge o al regolamento condominiale”, per cui sono annullabili non solo le delibere assembleari che presentano vizi di forma, afferenti cioè alle regole procedimentali dettate per la loro formazione, ma anche quelle che presentano vizi di sostanza, afferenti al contenuto del deliberato.

Afferiscono senz'altro al contenuto delle delibere dell'assemblea condominiale le numerose disposizioni di legge che disciplinano la ripartizione delle spese tra i condomini: così, innanzitutto, l'art. 1123 c.c., che detta il criterio generale, ma anche le altre disposizioni particolari che dettano specifici criteri di ripartizione con riferimento all'oggetto della spesa, come l'art. 1124 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la sostituzione delle scale e degli ascensori, l'art. 1125 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai, e l'art. 1126 c.c., in tema di ripartizione delle spese per le riparazioni o le ricostruzioni dei lastrici solari di uso esclusivo.

La violazione di tali disposizioni dà luogo a delibere assembleari “contrarie alla legge” con riferimento al loro “contenuto” e, perciò, affette da un vizio di “sostanza”, ma ciò non esclude che tale vizio rientri, in via di principio, tra quelli per i quali l'art. 1137 c.c. prevede l'azione di annullamento.

D'altra parte, deve escludersi che le delibere che ripartiscano le spese tra i condomini in contrasto con i criteri legali o convenzionali siano adottate in carenza di potere da parte dell'assemblea: infatti, il codice civile espressamente riconosce, tra le attribuzioni dell'assemblea condominiale da adottare con il metodo maggioritario, l'approvazione e la ripartizione delle spese per la gestione ordinaria e straordinaria delle parti e dei servizi comuni (artt. 1135, nn. 2 e 4, 1120, 1123, 1128 c.c.), e tali attribuzioni non vengono meno quando l'assemblea incorra in un “cattivo esercizio del potere ad essa conferito”, adottando un errato criterio di ripartizione delle spese, contrastante con la legge o con il regolamento condominiale.

Invero, l'attinenza di una delibera alle attribuzioni assembleari va apprezzata avendo riguardo alla corrispondenza della materia deliberata a quella attribuita dalla legge, ossia avendo riguardo all'esistenza del potere, e non al “modo in cui il potere è esercitato”; neppure le delibere che ripartiscono le spese tra i condomini in violazione dei criteri di legge o convenzionali potrebbero ritenersi nulle per il fatto che esse finiscono per incidere negativamente, pregiudicandola, sulla “sfera patrimoniale” dei singoli condomini.

In proposito, le Sezioni Unite ritengono che la categoria giuridica della nullità, riguardo alle delibere dell'assemblea dei condomini, abbia un'estensione del tutto residuale rispetto alla generale categoria della annullabilità, attenendo a quei vizi talmente radicali da privare la delibera di cittadinanza nel modo giuridico.

In particolare, la delibera condominiale deve ritenersi affetta da nullità nei seguenti casi:

1) per mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali - volontà della maggioranza, oggetto, causa, forma - tale da determinare la deficienza strutturale della delibera;

2) per impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della delibera: l'impossibilità “materiale” dell'oggetto della delibera va valutata con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato, mentre l'impossibilità “giuridica” dell'oggetto va valutata in relazione alle attribuzioni proprie dell'assemblea;

3) per illiceità, laddove la delibera assembleare, pur essendo stata adottata nell'àmbito delle attribuzioni dell'assemblea, risulti avere un “contenuto illecito” (art. 1343 c.c.), nel senso che il decisum risulta contrario alle norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.

Orbene, al di fuori di tali ipotesi, deve ritenersi che ogni violazione di legge determina la mera annullabilità della delibera, che può essere fatta valere solo nei modi e nei tempi di cui all'art. 1137 c.c.

Rimane, da ultimo, da stabilire nello specifico, alla luce dei criteri appena enunciati, se le delibere assembleari che ripartiscono le spese condominiali in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dal regolamento condominiale contrattuale configurino o meno una delle ipotesi di nullità sopra esaminate.

Il massimo organo di nomofilachia - così confermando quanto già affermato nel precedente dal 2005, ma con un'opportuna chiosa - chiarisce che le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell'oggetto ove l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere - oltre che per il caso oggetto della delibera - anche “per il futuro”, mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi “nel singolo caso deliberato”.

In proposito, si osserva che le attribuzioni dell'assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte, dall'art. 1135, nn. 2 e 3, c.c., alla verifica ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l'art.1123 c.c. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio.

Ne consegue che l'assemblea, la quale deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative), si trova ad operare in “difetto assoluto di attribuzioni”, mentre, al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell'assemblea la delibera che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, in quanto tale delibera non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dagli artt. 1123 ss. c.c. o stabiliti convenzionalmente, né è contraria a norme imperative, sicché la stessa va ritenuta semplicemente annullabile e, come tale, va impugnata, a pena di decadenza, nel termine di 30 giorni di cui all'art. 1137, comma 2, c.c.

Riferimenti

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