Eristress e nozione costituzionalmente orientata di salute: un nuovo passo avanti della giurisprudenza di legittimità
12 Giugno 2024
Il caso Una nuova pronuncia della Corte di cassazione interviene gettando luce sul tema della conflittualità lavorativa. Il punto di partenza per l'opera chiarificatrice degli ermellini è il caso di una dipendente del Ministero dell'Istruzione, la quale agiva in giudizio per conseguire il risarcimento del danno derivante dalle presunte vessazioni datoriali subite, che venivano tuttavia rigettate sia in primo grado sia dalla Corte d'Appello di Bologna. La cornice entro cui si colloca la vicenda è quindi costituita da un trasferimento per incompatibilità ambientale originariamente annullato dal Tribunale di Forlì per mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del Ministero, nonché da una sanzione disciplinare annullata per meri vizi procedurali e da due provvedimenti disciplinari invece confermati in sede giudiziale. Sulla base di questi presupposti, il giudice del gravame non solo rilevava l'insussistenza della prova dell'intento persecutorio ai danni della lavoratrice ma desumeva anche l'esistenza di difficoltà relazionali, di un difficile clima lavorativo e di un degrado dei rapporti professionali imputabile anche alla dipendente. Le questioni giuridiche Cerchiamo di estrapolare le caratteristiche “cliniche” del caso concreto, isolandone i seguenti “elementi di base”: - la presenza di conflittualità sul posto di lavoro, di cui la dipendente è una delle parti in causa direttamente coinvolte; - l'evoluzione del conflitto che non si esaurisce in un singolo diverbio, ma si sostanzia in una pluralità di contrasti tra le parti in causa, intensi e prolungati nel tempo, culminati nell'attuazione di molteplici provvedimenti di natura disciplinare. Si tratta di elementi che potrebbero (il condizionale è d'obbligo, vedremo più avanti il perché) consentire di individuare i contorni dell'eristress, ovverosia dello stress da conflittualità lavorativa, in cui - per riprendere la definizione coniata da Harald Ege - si configura “una situazione lavorativa di alta conflittualità caratterizzata da un'accesa litigiosità che, come potenza e come durata, supera un semplice e unico diverbio”. In particolare, nell'eristress “la situazione lavorativa è dominata da una condizione conflittuale che si distingue per la sua rivalità rispetto ad una condizione collaborativa. Lo stress esercitato dalla conflittualità può scatenare conseguenze negative a livello psicosomatico sia sui partecipanti attivi al conflitto sia sugli spettatori passivi che assistono a tale situazione” (EGE, TAMBASCO, L’eristress, ovvero dello stress da conflittualità lavorativa: l’emersione di un nuovo fenomeno nel recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, in IUS Lavoro, 17 aprile 2024). Partendo proprio dal rilievo della Corte d'Appello di Bologna che aveva comunque accertato, sul piano fattuale, la sussistenza di un clima lavorativo difficile e di un degrado dei rapporti professionali, la Corte di cassazione annulla la pronuncia sulla base della mancata valorizzazione, da parte del giudice del gravame, della natura stressogena dell'ambiente lavorativo. Analizziamo i principi di diritto enunciati nella pronuncia in esame, che si rivelano di particolare interesse. Osservazioni I principi di diritto La sentenza mette ordine nella “cassetta degli attrezzi” in uso agli ermellini, distinguendo tra: - mobbing e straining , che sono nozioni di natura medico-legale, che non hanno autonoma rilevanza ai fini giuridici e che si configurano nella realtà fenomenica quando, rispettivamente, i comportamenti vessatori siano intenzionalmente (recte, “ scientemente”) attuati nei confronti di un lavoratore, rispettivamente con una pluralità di azioni (mobbing) o con una sola condotta con effetti permanenti nel tempo (straining); - ambiente lavorativo stressogeno, che richiama la nozione costituzionalmente orientata dell'obbligo di protezione di cui all'art. 2087 c.c., nel cui ampio perimetro rientra anche l'obbligo di valutare e accertare l'eventuale responsabilità della condotta datoriale che “colposamente consenta il mantenersi di un ambiente di lavoro stressogeno fonte di danno alla salute” (cfr. Cass., 11 novembre 2022, n. 33428; analogamente, cfr. Cass., 7 febbraio 2023, n. 3692; Cass. 12 febbraio 2024, n. 3791; Cass. 12 febbraio 2024, n. 3822; Cass. 16 febbraio 2024, n. 4279). Ecco che in questa seconda e “polifunzionale” (ROSIELLO, TAMBASCO, Il danno da stress lavorativo: una categoria polifunzionale all'orizzonte? In IUS Lavoro, 8 novembre 2022) categoria giuridica, emergono “tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2870; Cass., 7 febbraio 2023, n. 3692; ROSIELLO, TAMBASCO, Lo SLC nella giurisprudenza di legittimità: nuovi sviluppi, in ISL, 2023, n. 5, p. 247 e ss.). Operata questa necessaria precisazione terminologica e tassonomica, la Cassazione fa un passo avanti, recuperando le radici normative più profonde di questo recente - e innovativo - revirement giurisprudenziale. L'invenzione (intendendosi con questo termine l'inventio, ovverosia la scoperta - e non la creazione - del diritto preesistente insita nell'opera ermeneutica giudiziale, come evidenziato da GROSSI, L'invenzione del diritto, Roma-Bari, 2017) dello stress (nella sua traduzione sistemico/organizzativa dell'ambiente lavorativo stressogeno) ha un referente codicistico nell'art. 2087 c.c., ma non solo. Esso, infatti, ha un saldo - e precipuo - addentellato costituzionale e sovranazionale, fondandosi su quella che è definibile come una concezione evoluta della salute. Partendo dal generale riconoscimento del diritto alla salute quale “fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività” (art. 32 Cost.), l'ordinamento giuridico italiano ha formato nel tempo, attraverso alluvionali stratificazioni normative e giurisprudenziali di derivazione tanto comunitaria quanto internazionale, una nozione “positiva” di salute, consistente nello “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”, che si oppone alla originaria definizione negativa di “semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”. L'origine di questo percorso evolutivo, secondo la pregevole analisi operata dagli ermellini, si trova nell'immediato secondo dopoguerra con la Costituzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (c.d. Protocollo di New York, entrato in vigore il 7 aprile 1948, reso esecutivo in Italia con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato del 4 marzo 1947, n. 1069) e ha il suo punto di arrivo nel testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, che ne ha riprodotto testualmente la definizione con l'articolo 2, comma 1, lett. o). Nel mezzo di questo cammino, si pongono plurimi interventi normativi che hanno favorito un'opera di progressiva maturazione della sensibilità giuridica sul tema della salute (v. il contributo di C. SGARZI, La concezione di salute nell'ordinamento italiano e la forma di protezione che ne discende: prevenzione primaria e organizzazione del lavoro, in olympus.uniurb.it), e in particolare:
La sintetica ricostruzione storico-giuridica operata nella sentenza in commento non è dunque fine a se stessa; al contrario, essa fornisce una “bussola” per orientare la difficile opera di ermeneutica giudiziale: se, infatti, l'interprete nell'applicazione dell'art. 2087 c.c. dovrà sempre operare un attento bilanciamento tra “il diritto al lavoro e alla salute del dipendente (art. 4 e 32 Cost.) e la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro privato (art. 41 Cost.) ovvero per il datore di lavoro pubblico le esigenze organizzative e i limiti di spesa”, tuttavia “l'elemento di base di questa operazione” non potrà che essere la nozione evoluta di salute come l'abbiamo poc'anzi descritta. Le ricadute di ordine pratico sono immediate: per escludere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. non sarà più sufficiente limitarsi a rilevare l'assenza dell'intento persecutorio (eventualmente deducendo l'esistenza di difficoltà relazionali del dipendente) ma, al contrario, sarà imprescindibile vagliare la colposa configurabilità (o meno) di un ambiente lavorativo stressogeno quale “fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie […] ancorché apparentemente lecite o solo episodiche”.
Lo stress da conflittualità lavorativa e il suo accertamento giudiziale Quali operazioni, in concreto, dovrà svolgere l'operatore del diritto per accertare l'esistenza di una conflittualità stressogena e la correlativa responsabilità contrattuale del datore di lavoro? Sarà opportuno, a tal fine, individuare una serie di operazioni preliminari che potranno costituire un'utile check list per lo scrutinio giudiziale, che dovrà quindi articolarsi nei seguenti tre passaggi:
Ecco i tre punti di riferimento dell'interprete, che nella i) conflittualità potenzialmente stressogena, nella ii) colpevole inerzia datoriale e nella iii) concreta situazione stressogena avrà degli indici obiettivi, funzionali all'accertamento di quello che, con termine medico-legale, è stato di recente “battezzato” con il nome di eristress (cfr. EGE, TAMBASCO, cit.). È una prospettiva inedita rispetto a quella invalsa per oltre un ventennio in materia di condotte persecutorie, essendo tesa all'analisi obiettiva dei fattori organizzativi e ambientali attraverso la “norma di chiusura” dell'art. 2087 c.c., che permette di tradurre la responsabilità del datore di lavoro per le condotte lesive della personalità morale del prestatore anche nel mantenimento di condizioni di lavoro oggettivamente stressogene (cfr. Cass. 19 gennaio 2024, n. 2084 che parla di “contribuzione causale alla creazione di un ambiente logorante e determinativo di ansia”). In definitiva, siamo di fronte a un orientamento che, come ribadito anche di recente, è ormai diretto “ad ampliare la tutela risarcitoria in favore del lavoratore, condannando tutti quei comportamenti datoriali idonei a creare un ambiente lavorativo “stressogeno” e lesivo della salute e della dignità del lavoratore, quali beni primari tutelati dalla Costituzione” (cfr. Corte dei Conti Trentino-Alto Adige, sez. giurisdiz., 16 gennaio 2024, n. 1). |