La regolamentazione delle spese nei giudizi con cumulo di domande di separazione e divorzio

14 Giugno 2024

Il profilo al quale è dedicato il presente contributo, al pari di altri del rito unico delle persone, delle famiglie e dei minorenni, non è stato espressamente disciplinato dal d.lgs. n. 149/2022 nè con riguardo ai procedimenti contenziosi nè con riguardo ai procedimenti su domanda congiunta.

La prima tesi

Il profilo al quale è dedicato il presente contributo, al pari di altri del rito unico delle persone, delle famiglie e dei minorenni, non è stato espressamente disciplinato dal d.lgs. n. 149/2022 nè con riguardo ai procedimenti contenziosi nè con riguardo ai procedimenti su domanda congiunta.

A ben vedere, però, vi è un dato normativo che, con riguardo alla prima tipologia di giudizi, pare poter offrire uno spunto per la soluzione della questione.

Si tratta dell'art. 473-bis.49 c.p.c. che, al suo ultimo comma, prevede che “La sentenza emessa all'esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”.

Da tale norma pare potersi desumere, almeno in via di prima approssimazione, che il legislatore, nel caso di cumulo contenzioso di domande di separazione e divorzio, abbia imposto un ben preciso iter processuale, secondo il quale andrebbe emessa una sola sentenza definitiva, all'esito dell'intero giudizio, con l'ulteriore conseguenza che il giudice dovrebbe emettere anche alla prima udienza di comparizione, ai sensi  dell'art. 473-bis.22, ultimo comma, c.p.c., una sentenza parziale solo sullo status della separazione, rimettendo la decisione su tutte le altre domande, ed anche quella sulle spese, alla sentenza (definitiva) di divorzio, che dovrebbe contenere autonomi capi per ciascuna domanda (eventuale addebito della separazione, quantificazione dell'assegno di mantenimento con determinazione della relativa durata, quantificazione dell'assegno di divorzio con determinazione della relativa durata, affidamento e mantenimento figli, assegnazione casa familiare, dovendo considerare le domande relative alle prole “uniche”).

In tale prospettiva la previsione sopra citata costituirebbe, a ben vedere, una norma speciale in deroga al disposto dell'art. 279, comma 2, n. 5, c.p.c., in quanto imporrebbe di tenere riunite le due cause (quella di separazione e quella di divorzio) fino all'esito dell'intero giudizio.

La tesi alternativa

La ricostruzione esposta nel precedente paragrafo presenta, ad avviso di chi scrive, una serie di inconvenienti, poco compatibili con lo spirito della riforma, nei casi, non infrequenti, di giudizi di separazione in cui non vi fosse necessità di attività istruttoria in relazione alle questioni ad essi relative perché:

1.  ritarda, e non di poco, la definizione del giudizio di separazione, poiché la differisce all'esito della fase divorzile;

2.  contrasta con l'esigenza di contenere i tempi della decisione di cui è espressione l'art. 473-bis.22, ultimo comma, c.p.c., norma rientrante tra le disposizioni comuni al giudizio di primo grado, che consente al giudice delegato di disporre la discussione orale già alla prima udienza di comparizione delle parti “quando la causa è matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova”; 

3.  incrementa, per effetto di quanto detto al precedente punto, il contenzioso endo-processuale, generando richieste di modifica dei provvedimenti provvisori, richieste di attuazione o ex art. 473-bis.39 c.p.c.;  

4.  si presta a strumentalizzazioni, soprattutto da parte del convenuto, che, se vuole ritardare la decisione, con sentenza, sugli aspetti della separazione, ulteriori rispetto allo status, può essere indotto a proporre domanda riconvenzionale di divorzio;

5. può essere di ostacolo ad una soluzione condivisa perché, seguendola, almeno una delle parti potrà ritenere conveniente attendere la decisione unitaria mentre la prospettiva di subire una condanna alle spese, almeno per la prima fase, potrebbe indurla ad un atteggiamento più conciliante, anche con riguardo alla fase divorzile.

Appare allora assai più ragionevole ritenere che, nei giudizi di separazione, che risultino di pronta soluzione, possa trovare applicazione il combinato disposto degli artt. 279, comma 2, n. 5 c.p.c., 103, secondo comma, e 104, secondo comma, c.p.c., che consente la separazione dei giudizi e l'adozione di una sentenza parziale anche “quando la continuazione delle loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo”.

Il tenore di tale previsione ben si adatta al caso in esame perché la continuazione della riunione delle domande cumulate ritarderebbe la definizione del giudizio di separazione.

Sulla scorta di essa il giudice potrebbe quindi pronunciare una sentenza parziale che definisce tutte le questioni controverse relative alla fase di separazione e non il solo status e disporre la separazione e la prosecuzione della causa di divorzio dopo la scadenza del termine di cui all'art. 3, comma 2, lett. b) l. n. 898/1970.

Tale sentenza andrebbe qualificata come parziale definitiva e, come tale, ben potrebbe contenere la liquidazione delle spese.

Questa soluzione non pare contrastare con esigenze di economia processuale, anzi, a ben vedere, può meglio soddisfarle perché può incentivare le parti a raggiungere una soluzione condivisa delle questioni relative alla fase divorzile.

Né potrebbe obiettarsi che comporti una duplicazione dei procedimenti atteso che  anche la tesi qui contrastata riconosce la necessità dell'adozione di una sentenza parziale, sia pure sul solo status della separazione.

E' indubbio peraltro che la sentenza parziale avente le predette caratteristiche sarebbe passibile di impugnazione.

Deve infatti tenersi presente che, secondo il consolidamento insegnamento della Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 8 ottobre 1999 n. 711; Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2011, n.16734 e più recentemente anche Cass. Sez. Unite n. 10242/2021), è da considerare non definitiva agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale, in ipotesi di domande cumulate tra gli stessi soggetti, il giudice decide una o più delle domande proposte, con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ai sensi dell'art. 279, comma 2, n. 5, c.p.c., e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio.

Ora, la possibilità, conseguente alla lettura qui proposta, che la sentenza parziale sia impugnata non rappresenta di per sé una complicazione perché il giudizio di appello verterà necessariamente su un novero di questioni più limitato di quello sul quale potrebbe vertere l'appello sulla sentenza che definisse unitariamente le questioni relative alla separazione e quelle relative al divorzio.

Ancora, è opportuno rimarcare, quale ulteriore argomento a sostegno della ricostruzione qui esposta, che la liquidazione delle spese già al momento della integrale definizione della fase separativa consente di tener conto delle questioni rilevanti ai fini di una più agevole, e forse anche più corretta, applicazione del principio di soccombenza.

Posporre la liquidazione delle spese all'esito del giudizio comporta invece una contaminazione, difficilmente districabile, tra le questioni relative alla fase della separazione e quelle relative alla fase divorzile, sulla cui definizione può influire anche il fattore temporale.

Occorre infatti considerare che nel tempo necessario a rendere procedibile la domanda di divorzio potrebbero sopravvenire dei mutamenti nelle condizioni economiche delle parti o nei rapporti con i figli che giustificano una decisione diversa da quella adottata in sede di separazione. 

La soluzione che non si condivide conduce anche a conseguenze paradossali che possono cogliersi con un esempio.

Ipotizziamo che, all'esito del giudizio di separazione, che non abbia richiesto attività istruttoria, il convenuto sia totalmente soccombente e che invece, all'esito del giudizio divorzile, che abbia invece richiesto una impegnativa attività istruttoria, egli risulti vittorioso.

Se, in questo caso, la liquidazione delle spese fosse posposta all'esito del giudizio si dovrebbe probabilmente ravvisare una soccombenza reciproca delle parti.

Tale conclusione sarebbe però iniqua perché, se vi fossero stati due distinti giudizi, quella parte sarebbe stata soccombente nel primo e vittoriosa nel secondo.

Peraltro non si potrebbe obiettare che un simile esito sia stato conseguenza di una scelta processuale di tale parte perché, in quanto convenuto, essa ha subito l'iniziativa altrui. 

Secondo la ricostruzione qui proposta, allora, il disposto dell'art. 473-bis.49 c.p.c., ultimo comma, verrebbe in rilievo solo nei giudizi cumulati in cui vi fosse necessità di una attività istruttoria.

Non pare infine di ostacolo ad essa il disposto dell'art. 91, comma 1, c.p.c., che prevede che le spese si liquidano con la sentenza che "chiude" il processo ben potendosi intendere tale espressione come riferibile anche alla sentenza che "definisce" il processo.

La liquidazione delle spese nelle ipotesi di cumulo consensuale di domande

La soluzione esposta nel precedente paragrafo è ben possibile anche nei procedimenti ex art. 473-bis.51 c.p.c., nei quali vengano proposte cumulativamente la domanda di separazione consensuale e quella di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Innanzitutto in essi la sentenza parziale di omologa della separazione definisce necessariamente non solo lo status dei coniugi ma tutti i profili relativi al loro rapporto personale e a quello tra loro e i figli, in conformità al loro accordo.

Ora, è piuttosto frequente che le parti nel ricorso congiunto disciplinino consensualmente anche il profilo delle spese relative alle due fasi del giudizio, ponendole a carico di una sola di esse o addossandole in via solidale ad entrambe, e non si vede perché il giudice non dovrebbe recepire anche tale parte dell'accordo.

Qualora il profilo non fosse disciplinato il giudice ben potrebbe invece disporre la compensazione delle spese della fase di separazione

E' evidente, peraltro, che la sentenza che definirà la fase divorzile potrà regolare le spese ad essa relative secondo il principio di soccombenza, qualora il giudizio dovesse assumere carattere contenzioso a seguito del venire meno del consenso di una delle parti alla soluzione condivisa, sia che si ritenga possibile la sua prosecuzione nelle forme contenziose (sviluppo che è ritenuto possibile da Cass. civ. 16 ottobre 2023, n. 28727)   sia che si ritenga invece che, a seguito della predetta evenienza, esso si debba concludere con una pronuncia di inammissibilità o di rigetto.

La soluzione qui esposta comporta anche che, qualora una od entrambe le parti siano state ammesse al patrocinio a spese dello Stato, il giudice dovrà anche provvedere a due distinte liquidazioni del compenso per il difensore o i difensori delle parti non abbienti, la prima contestualmente alla sentenza parziale di omologa della separazione e la seconda all'esito della fase divorzile.

Se poi la sentenza conclusiva della fase divorzile dovesse contenere, per le ragioni sopra dette, una condanna alle spese della parte non abbiente, essa dovrà essere emessa a favore dello Stato ai sensi dell'art. 133 d.P.R. n. 115/2002.

Infine è opportuno svolgere qualche considerazione anche sui criteri di liquidazione del compenso del difensore nei giudizi in esame, da tener presenti nel rapporto tra difensore e parte o quando una od entrambe le parti siano state ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

Ad avviso di chi scrive andrà escluso il compenso per le fasi di studio ed introduttiva della fase divorzile che rimanga consensuale se per essa le parti, come spesso accade, abbiano concordato le medesime condizioni della separazione.

Spetterà invece un compenso per le fasi di trattazione (udienza cartolare o in presenza) e decisionale delle due fasi (separazione e divorzio), sia pure molto ridotti, oltre alla maggiorazione per la conciliazione.

Riferimenti

Vaccari, Le spese di processi civili, Giuffrè, Milano, 2017;

Vaccari, Il patrocinio a spese dello Stato nei processi civili, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020;

Vaccari, Novità in tema di applicazione dei parametri forensi, IUS Processo civile, 10 aprile 2024.

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