L’usucapione dei diritti immobiliari, tra possesso “escludente” e mera tolleranza

24 Giugno 2024

Il trascorrere del tempo assume rilievo non solo in una accezione “negativa”, connessa alla decadenza dall’esercizio di un diritto ovvero alla sua estinzione, per prescrizione, ma anche ”positiva”, quando esso rappresenta, cioè, uno degli elementi fondanti l’acquisizione del diritto di proprietà (ovvero di altro diritto reale) mediante il meccanismo dell’usucapione. Resta, da chiarire se e come far valere, in sede processuale, le circostanze impeditive (in specie, la tolleranza) al perfezionamento della fattispecie acquisitiva. 

Massima

In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, la deduzione del proprietario che il bene sia stato goduto dal preteso possessore per mera tolleranza costituisce un'eccezione in senso lato ed è, proponibile per la prima volta anche nelle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.

Il caso

Tizia evoca in giudizio Caia, al fine di sentirsi dichiarare proprietaria esclusiva, oltre che comproprietaria di talune consistenze immobiliari; Caia, nel costituirsi, contesta, nel merito, le avverse richieste e spiega domanda riconvenzionale di usucapione rispetto ad alcuni degli immobili oggetto di lite.

Con la seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., quindi, l'attrice, convenuta in riconvenzionale, eccepisce l'inoperatività della invocata usucapione, per effetto della mera tolleranza prestata da essa Tizia rispetto al “possesso” (recte, detenzione) esercitato da Caia sugli immobili in contesa: il Tribunale, ritenendo tale difesa fondata, rigetta la domanda riconvenzionale.

Caia propone, quindi, appello avverso la decisione di prime cure, lamentando, tra l'altro, l'errata valutazione, sia in diritto che in fatto, della presunzione di tolleranza relativamente al potere esercitato sulle aree oggetto della spiegata riconvenzionale: il gravame viene, tuttavia rigettato. Conseguentemente, Caia propone ricorso per cassazione, contestando, in termini di error in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., l'erroneità della decisione impugnata, per non essere stata l'eccezione concernente la mera tolleranza giudicata tardiva, siccome proposta solo con le memorie istruttorie.

La questione

La questione di interesse affrontata dalla Corte di cassazione concerne, dunque, la natura dell’eccezione con cui si deduca l’inidoneità, ai fini dell’usucapione, del possesso esercitato, per essere stata la relazione di fatto con il bene consentita quale atto di mera tolleranza.

Le soluzioni giuridiche

Affinché si abbia possesso ad usucapionem è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto che dimostri inequivocabilmente l'intenzione di esercitare il potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena e, quindi, una signoria sulla cosa che permanga per tutto il tempo indispensabile per usucapire, senza interruzione, sia per quanto riguarda l'animus che il corpus; è necessario, altresì, che tale rapporto non sia dovuto a mera tolleranza, la quale è da ravvisarsi tutte le volte che il godimento della cosa, lungi dal rivelare l'intenzione del soggetto di svolgere un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, tragga origine da spirito di condiscendenza.

In particolare, onde stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione - dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'art. 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione –rileva che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, circostanza che assume efficacia di valore presuntivo circa l'esclusione dell'esistenza di una mera tolleranza e che non ricorre, secondo una classica presunzione giurisprudenziale, nel caso in cui la suddetta relazione di fatto si fondi su rapporti caratterizzati da vincoli particolari tra le parti, quali quelli scaturenti da un rapporto societario (Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2019, n. 17880) o di parentela (Cass., sez. II, 29.5.2015, n. 11277).

Quanto, poi, al riparto dell'onere della prova, poiché l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest'ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, è consolidato il principio per cui, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa, spetta a chi lo abbia subito l'onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza (Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9275), , fermo restando che l'indagine volta a stabilire se determinate attività pongano in essere una situazione di possesso, utile ai fini dell'usucapione, ovvero siano dovute a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi è indagine riservata al giudice di merito, implicando un apprezzamento in fatto (Cass. civ., sez. II, 18.7.2013,n. 17630).

Sulla base di tali premesse va affrontata la questione sottoposta al vaglio della Corte, consistente nella individuazione della natura dell'eccezione con cui si alleghi l'esistenza di uno stato di tolleranza, se essa sia, cioè, da qualificare in termini di eccezione in senso stretto ovvero in senso lato.

Costituiscono, invero, eccezioni in senso stretto, rilevabili ad istanza di parte, quelle che possono essere sollevate soltanto dalle parti per espressa disposizione di legge ovvero quelle il cui fatto integratore corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare e, quindi, presuppone una manifestazione di volontà di quest'ultimo per essere produttivo di effetti modificativi, impeditivi o estintivi del rapporto giuridico (Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2023, n. 9810). Le eccezioni in senso lato, al contrario, sono rilevabili d'ufficio e sono sottratte al divieto stabilito dall'art. 345, comma 2, c.p.c., sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo, non essendo invece necessario (pena la vanificazione della distinzione tra queste e le eccezioni in senso stretto) che tali fatti siano stati oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 2023, n. 34053).

Orbene, in assenza, nella previsione di cui all'art. 1144 c.c., così come nelle norme dettate in materia di usucapione, di una espressa manifestazione di volontà del legislatore di condizionare il rilievo della tolleranza all'iniziativa esclusiva della parte, né corrispondendo la stessa ad un fatto integratore corrispondente all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal solo titolare, la Corte di cassazione ha da tempo precisato (Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2018, n. 31638) che la questione relativa all'esercizio del potere di fatto sulla cosa per effetto della tolleranza del proprietario, ben può essere introdotta per la prima volta anche in grado di appello, trattandosi della “mera” sollecitazione al rilievo, anche officioso, della relativa eccezione, sia pure nei limiti di quanto già emergente ex actis.

Ciò a maggior ragione implica - per venire al caso di specie - che alcuna preclusione esiste per la parte attrice/convenuta in riconvenzionale in ordine alla introduzione della questione nel giudizio di primo grado solo con la seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. (oggi seconda memoria ex art. 171-ter c.p.c.)

In altri termini, purché gli elementi a sostegno della circostanza emergano dal materiale istruttorio legittimamente acquisito agli atti (cfr. anche Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2017, n. 7107), la tolleranza ben può essere rilevata dal giudice ex officio, non maturando, pertanto, a carico delle parti, alcuna preclusione in punto di relativa allegazione, che sia connessa allo spirare del termine per la tempestiva costituzione del convenuto ovvero, in alternativa, al decorso infruttuoso dell'udienza di comparizione e trattazione (cfr. l'art. 183, comma 4, c.p.c.) o, all'attualità, del primo termine ex art. 171-ter c.p.c.

Osservazioni

I principi suesposti, costantemente affermati a proposito del possesso individualmente esercitato sul bene, vanno ribaditi, sebbene ulteriormente raffinati, in ipotesi di compossesso di più soggetti sulla medesima res. Benché il nostro ordinamento non disciplini espressamente tale figura (nonostante la sua iniziale previsione nell'art. 523 del progetto preliminare al codice civile – il quale prevedeva la possibilità che il possesso potesse appartenere a più persone per quote indivise o in solido, a seconda che il corrispondente diritto fosse divisibile o indivisibile, con l'ulteriore precisazione per cui, “nel primo caso si ha compossesso anche senza determinazione di quote quando tutti intendono possedere insieme l'intero”), cionondimeno esso è pacificamente riconosciuto, quale situazione di possesso esercitato congiuntamente da più soggetti sulla medesima cosa, in relazione ad uno stesso diritto reale e riconducendo a tale ipotesi l'uso della cosa comune da parte dei comproprietari, ex art. 1102 c.c., dei beni indivisi da parte dei coeredi, ex art. 714 c.c., dei beni facenti parte della comunione legale fra i coniugi e, per l'appunto, delle parti comuni degli edifici ad opera dei condomini.

In tale evenienza, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è – di per sé – idoneo a fare ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando al contrario necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso una attività durevole, apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2009, n. 17462).

Non sono a tal fine sufficienti, però, atti soltanto di gestione, siccome ex lege consentiti al singolo partecipante (cfr. gli artt. 1102, comma 1, e 1105, comma 1, c.c.), o atti che comportano solo il soddisfacimento di obblighi o l'erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune (Cass., sez. II, 12 aprile 2018, n. 9100) o l'assunzione degli oneri di ordinaria e straordinaria amministrazione ovvero, ancora, atti familiarmente tollerati dagli altri (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2009, n. 17462), o l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 8 aprile 2021, n. 9359).

Riferimenti

Amendolagine, Usucapione: requisiti, fattispecie, principali aspetti fiscali e tributari, in Giur. It., 2016, 1254 ss.;

Sicchiero, Tolleranza, in Digesto (disc. priv.), 1999, vol. XIX, 371 ss.

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