Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: l’obbligo di repêchage non comporta il dovere di formazione professionale a carico del datore di lavoro
26 Giugno 2024
Massima L'obbligo di repêchage si estende alle mansioni anche inferiori compatibili con il bagaglio professionale del dipendente con esclusione di qualsivoglia obbligo formativo a carico del datore di lavoro. Il caso Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repêchage Un addetto a laboratorio calzature ricorre in giudizio per accertamento della illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a seguito di riorganizzazione aziendale dovuta a calo di attività e di fatturato, che aveva determinato la soppressione del reparto magazzino e la riduzione del reparto calzature e plantari – sottoreparto calzoleria. In primo grado il Tribunale accoglie le istanze del lavoratore. In secondo grado la Corte d'appello di Venezia dichiara legittimo il licenziamento per le seguenti ragioni: in primo luogo la società ha adempiuto l'onere di ripescaggio, in quanto ha provato in giudizio che le mansioni cui era adibito il ricorrente non erano fungibili con quelle degli addetti alla vendita e degli stagisti successivamente assunti; in secondo luogo, non sarebbe stata dedotta alcuna violazione dei principi di buona fede e correttezza nelle assunzioni a termine effettuate nei sei mesi successivi al licenziamento, a fronte peraltro del fatto che si trattava di assunzioni di breve durata; le mansioni affidate all'addetta al web assunta a termine per il periodo di un anno (successivamente alla risoluzione del rapporto) erano del tutto estranee a quelle svolte dal ricorrente e quindi non vi sarebbe stata alcuna possibilità che fossero allo stesso affidate. Il lavoratore ricorre per Cassazione per i seguenti motivi:
La società resiste con controricorso. La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Le questioni Obbligo di repêchage: dovere di formazione professionale? L'obbligo di repêchage comporta per il datore di lavoro obbligo di fornire al lavoratore altra formazione professionale al fine di salvaguardare il posto di lavoro? Le soluzioni giuridiche L'obbligo di repêchage si estende esclusivamente alle mansioni riferibili alla professionalità posseduta La Corte di cassazione rigetta il ricorso sulla base di due ragioni di motivi. In primo luogo, affronta la questione processuale relativa alla definizione di violazione di legge. La Corte rammenta che l'accoglimento di tale vizio presume una problematica interpretativa, ossia la deduzione di erronea ricognizione della fattispecie astratta descritta dalla norma di legge che si ritiene violata. Nel caso concreto, invece, il ricorrente ha allegato erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: tale allegazione riguarda la valutazione svolta del giudice di merito, dunque questione estranea all'interpretazione della legge. Ne consegue l'inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso. In secondo luogo, la Corte ribadisce che l'interpretazione conforme alla giurisprudenza consolidata dell'art. 3 l. n. 604/1966 vuole che all'obbligo di repêchage vengano ricondotte esclusivamente le mansioni concretamente attribuibili al lavoratore alla luce del suo effettivo bagaglio professionale, senza che il datore di lavoro sia tenuto a fornire al dipendente ulteriore formazione volta a renderlo adatto all'esecuzione di mansioni ulteriori (come invece è previsto dalla nuova formulazione dell'art. 2103 c.c. per la differente ipotesi di esercizio dello ius variandi). La Cassazione rileva pertanto che la Corte d'Appello ha correttamente precisato che l'unica posizione disponibile a seguito della riorganizzazione aziendale era quella di “addetto al web”, che tuttavia non poteva essere affidata al ricorrente in quanto del tutto estranea alla professionalità dallo stesso posseduta. Ne consegue la legittimità del licenziamento intimato e il rigetto del ricorso. Osservazioni Obbligo di repêchage e art. 2103 c.c. La pronuncia in commento ribadisce un principio del tutto condivisibile, tuttavia, non così pacifico in giurisprudenza. Come noto, il c.d. repêchage consiste nell'obbligo per il datore di offrire mansioni alternative al lavoratore la cui posizione lavorativa sia soppressa a causa di riassetto organizzativo: dunque, il datore di lavoro, al fine di evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve verificare le posizioni libere in azienda e di conseguenza proporre al dipendente l'espletamento di altre mansioni. Secondo consolidata giurisprudenza, poi, tali mansioni offerte possono altresì essere inferiori rispetto a quelle di assunzione o a quelle effettivamente svolte. Solo se impossibilitato a ricollocare il dipendente in altre posizioni caratterizzate da mansioni equivalenti o inferiori il datore può procedere al licenziamento per motivi economici. A seguito della riformulazione dell'art. 2103 c.c. disposta con il d.lgs. n. 81/2015, in tema di ius variandi, il legislatore ha stabilito che, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali incidenti sulla posizione del lavoratore, quest'ultimo può essere assegnato anche a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale. Il novellato art. 2103 c.c., in sostanza, eleva a livello legislativo la soluzione, sino ad allora solo giurisprudenziale (ex multis, Trib. Roma, sez. lav., 24. Luglio 2017) in forza della quale l'obbligo di ripescaggio ha ad oggetto anche le mansioni appartenenti a livelli di inquadramento inferiore, con il limite che siano previste nella medesima categoria legale. Ciò di cui si discute, tuttavia, è l'eventuale effetto che sull'obbligo di repêchage potrebbe avere il comma 3 dell'art. 2103 c.c., che prevede che il mutamento di mansioni è “accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni”. Difatti, si rammenta la recente sentenza resa dal Tribunale di Lecco in data 31 ottobre 2022 secondo la quale il datore di lavoro, nel momento in cui si appresta a licenziare un lavoratore la cui professionalità risulta obsoleta a seguito di riorganizzazione aziendale, è tenuto, in virtù dei principi di buona fede e correttezza, non solo a valutare l'impossibilità del ripescaggio, ma anche l'impossibilità (intesa anche quale antieconomicità) della riqualificazione professionale del dipendente ad esempio a mezzo di corsi di formazione o di affiancamento ad altri colleghi. Tuttavia, è bene notare, come già osservato dal Tribunale di Roma con la citata sentenza del 24 luglio 2017, “in un contesto relativo alla sussistenza di ragioni organizzative e produttive idonee a giustificare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l'obbligo di attribuire al lavoratore mansioni che necessitino di adeguata formazione significherebbe infatti imporre al datore di lavoro un ulteriore costo economico”. Obbligo di repêchage dunque confermato ma a condizione che ciò non comporti oneri formativi che costituirebbero un aggravio ingiustificato per parte datoriale. |