Salviamo il danno da perdita di chance non patrimoniale dalla sua indeterminatezza

03 Luglio 2024

Appare oggi essenziale salvare il danno da perdita di chance non patrimoniale, prima che possa rimanere vittima della sua indeterminatezza. Per fare questo, risulta necessario circoscrivere al meglio il suo ambito di operatività, anche al costo di ridurre i casi di suo riconoscimento, e, soprattutto, individuare dei facili criteri di determinazione del suo valore economico. 

Lo stato dell'arte a distanza di sei anni dalla Sentenza n. 5461/2018 della Corte di cassazione

Sono trascorsi sei anni dalla sentenza n. 5641/2018 della terza sezione civile della Corte di cassazione. Con questa pronuncia, il Dott. Travaglino, suo estensore, aveva dato alla luce la tassonomia del danno da perdita di chance non patrimoniale.

In un elenco di cinque lettere, teso a riassumere i cinque possibili scenari del rapporto causale fra azione o omissione del sanitario ed evento morte, la descrizione della perdita di chance trovava spazio alla lettera e) : “La condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto: le conclusioni della CTU risultano, cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all'eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo. Tale possibilità – i.e. tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) - sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta - se provato il nesso causale (certo ovvero "più probabile che non"), tra la condotta e l'evento incerto (la possibilità perduta) nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza (supra, sub 3.6.)”.

Dopo sei anni, tuttavia, siamo ben lontani dall'aver raggiunto un punto fermo in questa materia. Ogni giorno leggiamo relazioni di CTU in materia di responsabilità medica ove si vedono professionisti annaspare nel descrivere tale voce di danno e sentenze di merito in cui la medesima voce di danno, quando la si ritiene sussistente, è liquidata nei modi più disparati e tra di loro contraddittori.

Del resto, in questo lasso di tempo, la Corte di cassazione non ha offerto altri significativi chiarimenti sul punto, e si è ben guardata dal pronunciarsi circa i possibili metodi liquidatori per questa categoria di danno. E d'altronde, nell'eterna latitanza del legislatore sul punto, anche i Tribunali di Roma e Milano, pur avendo nel frattempo rilasciato numerose tabelle su varie voci del danno non patrimoniale, non hanno mai corso il “rischio” di proporre dei criteri concreti per liquidare il danno da perdita di chance non patrimoniale.

In questo scenario di grande incertezza e confusione, si percepisce il rischio che questa voce di danno con il tempo possa lentamente evaporare e diventare di così difficile percezione da non essere più riconosciuta. E dato che processo caratteristico della psiche umana è negare l'esistenza di ciò che non riusciamo facilmente a capire, non è escluso che il danno da perdita di chance non patrimoniale possa fare la fine del danno tanatologico, prima criticato e poi soppresso dalle Sezioni Unite del 2015 (Cass. civ., sez. un., n. 15350/2015).

Perdita di chance di cosa?

Parere di chi scrive è che appare oggi essenziale salvare il danno da perdita di chance non patrimoniale, prima che possa essere rimanere vittima della sua indeterminatezza.

Per fare questo, appare necessario circoscrivere al meglio il suo ambito di operatività, anche al costo di ridurre i casi di suo riconoscimento, e, soprattutto, individuare dei facili criteri di determinazione del suo valore economico.

Sicuramente, con l'intento di conseguire questo obiettivo, appare fondamentale completare la frase. Sono troppi gli atti di causa, le relazioni di CTU e le sentenze che parlano di danno da perdita di chance … . Perdita di chance di cosa? La frase molto spesso finisce qui, monca.

Solo terminando la frase, aggiungendo alla fine una realtà fenomenica percepibile con i nostri sensi, si può comprendere la natura del danno e il suo valore.

A tal fine non basterà nemmeno riferirsi, come al massimo si fa, al danno evento (chance di sopravvivenza o di guarigione), ma dovrà farsi riferimento solo al danno conseguenza, nei limiti dei danni risarcibili nel sistema della responsabilità civile.

Per fare questo, dobbiamo partire dall'unica indicazione normativa esistente sul punto, l'art. 138 del Codice delle Assicurazioni Private. Dal dettato di questo articolo, esteso espressamente dalle Legge Balduzzi (e poi Gelli-Bianco) al sottosistema della responsabilità medica, si evince che uniche conseguenze risarcibili sono “la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato” e “la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica”. Altro non è risarcibile, come previsto dalla disposizione di chiusura contenuta al quarto comma dell'art. 138 CDA: “4. L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno conseguente alle lesioni fisiche”.

Tale duplice natura del danno non patrimoniale, sussiste, del resto, anche per i danni non patrimoniali non derivanti dalla lesione alla salute, come ad esempio il danno parentale da morte o lesione alla salute del congiunto. Così è possibile leggere al punto 10 del noto “decalogo” di Rossetti: “Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est, il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso” (Cass. civ., sez. III, n. 7513/2018).

In sintesi, il danno da perdita di chance non patrimoniale risarcibile sarà solo quello relativo alla possibilità perduta di patire una minore limitazione della dimensione ione dinamico-relazionale o una minore sofferenza soggettiva.

Qualunque altro lemma, come chance di sopravvivenza o guarigione, andrebbe eliminato per consentire a questa particolare voce di danno di godere della qualità della determinatezza. 

I principali errori medico-legali

Prima di passare ad ipotizzare dei criteri concreti per la risarcibilità del danno da perdita di chance non patrimoniale, appare opportuno esaminare quali sono gli errori più comuni riscontrabili nelle relazioni di consulenza tecnica, e a cascata nelle sentenze, che hanno dato luogo al fenomeno dell'esplosione del riconoscimento del danno da perdita di chance non patrimoniale.

Se, come ricordato anche dalla Suprema Corte di cassazione (Cass. civ. n. 28993/2019), “la chance è la misura della nostra ignoranza”, gli albi dei CTU medico legali andrebbero stilati selezionando i professionisti aventi il tasso di riconoscimento più basso di danno da perdita di chance.

Il principale errore riscontrabile deriva dalla confusione fra il concetto di danno da perdita di chance e quello di anticipazione del momento morte. Appare utile riportare qui la lettera b) della già citata tassonomia del Presidente Travaglino: “La condotta colpevole ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata) bensì una significativa riduzione della durata della sua vita ed una peggiore qualità della stessa per tutta la sua minor durata. In tal caso il sanitario sarà chiamato a rispondere dell'evento di danno costituito dalla minor durata della vita e dalla sua peggior qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance - senza, cioè, che l'equivoco lessicale costituito dal sintagma "possibilità di un vita più lunga e di qualità migliore" incida sulla qualificazione dell'evento, caratterizzato non dalla "possibilità di un risultato migliore", bensì dalla certezza (o rilevante probabilità) di aver vissuto meno a lungo, patendo maggiori sofferenze fisiche e spirituali”. (Cass. civ., n. 5641/2018).

Nella prassi quotidiana dei procedimenti di responsabilità medica per decesso del paziente, ci troviamo, invece, in una situazione tale per cui ogni volta che si ha a che fare con paziente anziano e pluripatologico vittima di infezione nosocomiale, si finisce per discorrere di perdita di chance di sopravvivenza anche se, magari, il ricovero in Ospedale era dovuto ad un semplice controllo o ad un intervento routinario privo di rischi quoad vitam

Il troppo facile “rifugio” nella perdita di chance andrebbe combattuto con un utilizzo maggiore, ma sempre scientificamente fondato, delle statistiche di sopravvivenza. Tutte le volte in cui, secondo il criterio del più probabile che non, il CTU medico legale potrà affermare che il paziente, per le sue condizioni di base, non avrebbe potuto raggiungere gli anni di sopravvivenza previste dalle tavole di mortalità Istat, dovrà offrire questo dato al Giudicante.

Solo così facendo, il danno da perdita di chance tornerebbe ad acquistare un suo valore medico legale senza ridursi a mero stratagemma per superare la scelta fra l'“all or nothing”.

Questa necessità di valorizzare il danno da anticipazione del momento morte è stata di recente avvertita anche dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione. Con la sentenza 26851/2023, pubblicata il 19/9/2023, è stata riconosciuta la contestuale riconoscibilità del danno da anticipazione del momento morte e del danno da perdita di chance non patrimoniale: “c) il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l'accertamento si sia concluso nel senso dell'esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile”.

Alla luce della citata giurisprudenza di Cassazione, i quesiti da porre ai CTU nei casi di lamentata responsabilità medica per il decesso del paziente andrebbero così scanditi:

1) In assenza del contestato errore medico, le patologie di base del paziente avrebbero permesso, secondo il criterio del più probabile che non, il raggiungimento dell'età prevista dalle tavole di mortalità Istat? (EVENTO MORTE).

2) In assenza del contestato errore medico, ed in caso di risposta negativa al quesito 1, quale sarebbe stata la sopravvivenza attesa secondo il criterio del  più probabile che non? (EVENTO ANTICIPAZIONE).

3) Sussiste un nesso di causa fra il contestato errore medico e l'evento morte o l'evento anticipazione?

4) In caso di impossibilità a rispondere al quesito 3 per insanabile dubbio scientifico, il contestato errore medico ha aumentato le possibilità di verificazione dell'evento morte o dell'evento anticipazione? (PERDITA DI CHANCE).

Altro momento di confusione medico legale, riguarda, inoltre, i casi di così detta “chance aperta”, facendo rientrare in questa categoria i casi in cui l'errore medico ha comportato l'aggravamento della patologia in essere in modo da renderla idonea a concretizzare un rischio quoad vitam.

È il caso, purtroppo frequente, di una tardiva diagnosi oncologica, che condanna il paziente non solo a subire un intervento chirurgico più radicale ed invasivo, ma lo espone anche ad un maggior rischio di recidiva metastatica e, quindi, lo pone in pericolo di vita. Spesso, in questi casi, troviamo scritto nelle consulenze e nelle sentenze che l'errore medico ha comportato un danno da perdita di chance di sopravvivenza o guarigione.

Anche in questo caso, l'espressione chance di sopravvivenza o guarigione crea solo confusione in quanto non permette di agganciare la chance ad una delle due categorie di danno non patrimoniale risarcibili, dinamico relazionale e sofferenziale.

La possibilità, priva del giudizio del più probabile che non, di poter sviluppare una metastasi in futuro non può essere risarcita nel nostro ordinamento in quanto danno futuro e incerto.

“Perché il danno futuro sia risarcibile, non basta una pura e semplice eventualità, o un generico od ipotetico pericolo, ma occorre la certezza (alla quale può equipararsi un elevato grado di probabilità) della insorgenza di un danno, che, per quanto non verificatosi in tutto o in parte, trovi ragionevole fondamento in una lesione già avvenuta, ovvero in fatti obiettivi che si ricolleghino direttamente al fatto illecito e rappresentino una causa efficiente già in atto”. (Cassazione civile sez. II, 15/12/2021, n. 40120).

Fattispecie come quella appena descritta andrebbero valutate dal punto di vista medico legale non ipotizzando un diverso danno da perdita di chance, ma valorizzando adeguatamente il danno biologico patito dal paziente.

Ancora una volta è la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, che ci offre indicazioni su come rappresentare correttamente al Giudicante il danno patito dal paziente, spiegando il concetto di “rischio latente”.

“Le indicazioni che precedono ci vengono dalla medicina legale, per la quale tra i "postumi permanenti" causati da una lesione della salute rientra anche il maggior rischio di una ingravescenza futura. Così è, ad esempio, per le gravi fratture, le quali espongono la vittima al rischio di fenomeni artrosici precoci; così è pure per le infezioni da HCV od HIV, che espongono il paziente al maggior rischio -rispettivamente - di cirrosi epatica o di polmoniti e tubercolosi, al termine della fase di latenza clinica. Si tratta del c.d. rischio latente, già noto in tema di patologie rilevanti sul piano previdenziale (Cass. civ., sez. lav., sent., 2 aprile 1986, n. 2260). Esso consiste nella possibilità, oggettiva e non ipotetica, che l'infermità residuata all'infortunio possa improvvisamente degenerare in un futuro tanto prossimo quanto remoto, e differisce dal mero peggioramento dipendente dalla naturale evoluzione dell'infermità. Il peggioramento è la naturale evoluzione fisiologica dei postumi; il rischio latente è invece la possibilità che i postumi provochino a loro volta un nuovo e diverso danno, che può consistere tanto in una ulteriore invalidità, quanto nella morte. Dunque, il patire postumi che, per quanto stabilizzati, espongano per la loro gravità la vittima ad un maggior rischio di ingravescenza o morte ante tempus costituisce per la vittima una lesione della salute (così, ampiamente, Cass. civ., sez. III, sent., 14 novembre 2019, n. 29492). Se il rischio di contrarre malattie in futuro o di morire ante tempus, a causa dell'avverarsi del rischio latente, costituisce un danno alla salute, di esso si deve tenere conto nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, secondo le indicazioni della medicina legale. Se dunque il grado di invalidità permanente suggerito dal medico-legale, e condiviso dal Giudice, venga determinato tenendo conto del suddetto rischio, insito nei postumi a causa della loro natura o gravità, la liquidazione del danno biologico dovrà avvenire tenendo conto della (minore) speranza di vita in concreto, e non di quella media. Se così non fosse, il medesimo danno sarebbe liquidato due volte: dapprima attraverso l'incremento del grado di percentuale di invalidità permanente; e poi tenendo conto della speranza di vita media, invece che della speranza di vita concreta. Può accadere tuttavia che il rischio latente non sia stato tenuto in conto del grado percentuale di invalidità permanente: vuoi perché non contemplato dal barème utilizzato nel caso concreto; vuoi per maltalento del medico-legale. In tal caso del pregiudizio in esame dovrà tener conto il giudice, maggiorando la liquidazione in via equitativa: e nell'ambito di questa liquidazione equitativa non gli sarà certo vietato scegliere il valore monetario del punto di invalidità previsto per una persona della medesima età della vittima: e dunque in base alla vita media nazionale, invece che alla speranza di vita del caso concreto” (Cass. civ., sez. XI, 27 settembre 2021, n. 26118).

Occorre abbandonare, quindi, il concetto di “chance aperta” e sostituirlo con quello di “rischio latente”, confinando nel non risarcibile le ipotesi di danno futuro solo ipotetico. Ovviamente, è bene precisare, il rischio di un danno futuro ipotetico generato dall'errore medico potrà rendere risarcibile, come danno morale, lo stato di stress patito dal paziente una volta conosciuta l'ipotetica possibilità del peggioramento della sua condizione. 

Ipotesi di criteri di liquidazione

Una volta fatta chiarezza sull’ontologia del danno da perdita di chance non patrimoniale risarcibile, è possibile lanciarsi nell’elaborazione di criteri pratici per la sua liquidazione.

L’unico, timido, riferimento sul punto è possibile rinvenirlo nella più volte citata sentenza n. 5641/2018.

Il risarcimento non potrà essere proporzionale al risultato perduto, ma commisurato, in via equitativa, alla possibilità perduta di realizzarlo: possibilità che, per integrare gli estremi del danno risarcibile, dovrà necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà, consistenza, rispetto ai quali il valore statistico/percentuale – se in concreto accertabile – potrà costituire al più criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto…. In tal senso può convenirsi con quella attenta dottrina che qualifica la perdita di chance come un diminutivo astratto dell'illecito: diminutivo, peraltro (inevitabilmente astratto, poiché il suo risarcimento non potrà che avere fondamento equitativo, sia pur "in diminuzione") del danno, e non del rapporto causale con la condotta colpevole”.

Mettendo in fila le predette indicazioni, possiamo sintetizzare affermando che qualunque criterio liquidativo deve avere due riferimenti, il danno conseguenza in astratto risarcibile, che dovrà avere un valore sempre superiore al danno da perdita di chance, e il valore statistico percentuale rinvenibile dalla letteratura medica, che non potrà essere applicato direttamente al valore del danno conseguenza di riferimento e che dovrà superare una soglia minima di consistenza.

Come già detto in precedenza, quindi, dovremo partire dal valore del danno conseguenza che sarebbe stato risarcibile in assenza di insanabile incertezza circa la verificazione dell’evento, potendo utilizzare a tal fine solo i danni da limitazione della sfera dinamico relazionale e da sofferenza soggettiva. Andrà, di conseguenza, espulso dalla creazione di tali criteri di liquidazione ogni riferimento al così detto “valore uomo”, ad esempio tramite l’utilizzo del valore di un danno biologico del 100% (cfr. Tribunale di Latina 16/10/2016; Tribunale di Arezzo 8/8/2017 n. 943; Tribunale di Forlì 13/1/2020 n. 28).

Fino a quando le Sezioni Unite della Cassazione o il legislatore, non reintrodurranno nel nostro ordinamento il danno tanatologico quale danno conseguenza, ogni riferimento ad un ipotetico danno del 100%, non realmente patito, non potrà essere utilizzato.

Il danno da perdita di chance non patrimoniale non potrà essere definito di per sé un danno iure hereditatis o iure proprio, ma sarà iure hereditatis se il danno conseguenza “da diminuire” sarà stato patito in vita dal paziente e iure proprio, se patito dai congiunti del paziente deceduto o vittima di lesioni.

Per quanto riguarda, i valori statistici da poter utilizzare, si dovranno eliminare dal range 0-100% quelle fasce di percentuale non idonee a superare il giudizio di apprezzabilità, serietà e consistenza.

Potrà essere eliminata, quindi la fascia 0-10%, per mancanza del requisito della consistenza, e la fascia 85-100% in mancanza di riferimenti in letteratura e nella prassi quotidiana di una sua applicabilità. Non si rinvengono, infatti, casi in cui a fronte di una possibilità statistica di verificazione dell’evento superiore all’85%, sia stato formulato un giudizio di insanabile incertezza circa la possibilità che nel caso concreto l’evento potesse realizzarsi come conseguenza della condotta contestata.

Al fine di soddisfare i desiderata della Corte di Cassazione, si ritiene che il residuo range 15-85% possa essere diviso in tre fasce omogenee fra di loro suddivise in modo che la percentuale del 50% possa trovarsi al centro della fascia mediana.

Avremo così una prima fascia di riferimento, definibile CHANCE BASSA, comprensiva delle percentuali dal 10 al 35%, una seconda fascia, CHANCE MEDIA, comprensiva delle percentuali dal 36 al 50% e una terza fascia, CHANCE ALTA, comprensiva delle percentuali dal 51 all’85%.

Una volta creati i tre gradi del valore della chance, dovrà essere associata ad ogni fascia una percentuale di diminuzione del danno. A tal fine appare congruo associare una percentuale di diminuzione del 50% alla fascia media e due percentuali “equidistanti” del 75% per la fascia bassa e del 25% per la fascia alta.

Nel caso in cui, ad esempio, in seguito all’errore medico, il paziente deceduto in corso di ricovero sia stato privato della possibilità (stimata in letteratura nel 30%) di raggiungere l’età media di sopravvivenza, cosa sarà quindi risarcibile?

La moglie del defunto, che in base alla tabelle di Milano avrebbe avuto diritto, iure proprio, per la morte del coniuge, ad € 250.000,00, potrà chiedere una somma abbattuta del 75% e quindi 62.500,00 €. La stessa attrice, in quanto unica erede, potrà ottenere una quota del danno biologico terminale patito dal paziente in vita, ove venga accertato che senza l’errore medico, lo stesso avrebbe potuto patire un danno biologico temporaneo o morale minore.

L’ammontare di tale seconda quota di danno, tuttavia, non sarà necessariamente determinata dalla stessa percentuale usata per il danno iure proprio, ben potendo il medico legale ritenere che il paziente avrebbe sofferto il medesimo danno terminale. Al contrario, tale quota potrà essere anche del 100%, nel caso in cui il medico legale accerti che, in assenza di errore medico, il paziente non avrebbe patito alcun danno terminale.

In conclusione

In conclusione, si ritiene che il danno da perdita di chance non patrimoniale meriti di essere salvato in quanto idoneo ad offrire una soluzione a casi di contenzioso che non possono essere risolti a causa di una oggettiva incapacità della scienza di dare spiegazione a fenomeni complessi come, ad esempio, processi patologici dalla trama causale oscura.

Sono casi in cui l’impossibilità di ricostruire la dinamica degli eventi non è addebitabile a nessuna delle due parti in causa e, di conseguenza, appare equo liquidare ciò che è risarcibile nei limiti concessi dalla scienza, e quindi la mera possibilità di verificazione dell’evento.

L’obiettivo di breve termine è quello di ridurre l’ambito di riconoscimento del danno da perdita di chance non patrimoniale per salvare la sua esistenza (ed essenza), ed evitare che a causa della sua attuale indeterminatezza venga rigettato dal sistema del risarcimento civile. La speranza di lungo termine è, invece, che il progresso nelle conoscenze scientifiche e, in particolare, nelle scienze mediche possa condurre al disuso del danno da perdita di chance non patrimoniale per estinzione dei casi di insuperabile incertezza scientifica.  

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