Tutela del conduttore retraente, opposizione dell’acquirente e tutela della posizione del proprietario alienante

29 Luglio 2024

Una volta esercitato il diritto di riscatto, il conduttore deve effettuare il versamento del prezzo entro tre mesi che decorrono da un diverso termine a quo, secondo che l'acquirente abbia o non abbia fatto opposizione al riscatto: in caso di non opposizione al riscatto, il termine per il pagamento del prezzo decorre dalla prima udienza del relativo giudizio, o dalla ricezione dell'atto notificato con cui l'acquirente o successivo avente causa comunichi prima di tale udienza di non opporsi al riscatto; in caso di opposizione al riscatto, il termine per il pagamento del prezzo decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. In quest'ottica, la giurisprudenza ha avuto modo di esaminare le varie fattispecie concrete, in cui operano le posizioni del conduttore-retraente, dell'acquirente-retrattato e del locatore-alienante.

Introduzione. Il quadro normativo

L'art. 39 della l. n. 392/1978 (rubricato “Diritto di riscatto”), stabilisce che:

a) qualora il proprietario non provveda alla notificazione dell'atto di denuntiatio di cui al precedente art. 38, o il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, l'avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa;

b) ove sia stato esercitato il diritto di riscatto, il versamento del prezzo deve essere effettuato entro il termine di tre mesi che decorrono, quando non vi sia opposizione al riscatto, dalla prima udienza del relativo giudizio, o dalla ricezione dell'atto notificato con cui l'acquirente o successivo avente causa comunichi prima di tale udienza di non opporsi al riscatto;

c) se, per qualsiasi motivo, l'acquirente o successivo avente causa faccia opposizione al riscatto, il termine di tre mesi decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Dunque, per un verso, tale azione di riscatto ha natura reale, e non personale, atteso che il conduttore agisce contro il terzo acquirente non perché costui è subentrato al cedente nella posizione di locatore, bensì perché il terzo ha illegittimamente acquisito la proprietà del bene in violazione della prelazione, e fa valere il proprio diritto ad essere riconosciuto proprietario dell'immobile nei confronti di chiunque; e, per altro verso, il diritto di riscatto spetta al soggetto titolare del diritto di prelazione, nei cui confronti il riscatto svolge funzioni di tutela succedanea, contemplando espressamente due distinte ipotesi di esercizio del diritto di riscatto, ossia quando il proprietario non provveda alla denuntiatio e quando la denuntiatio rechi l'indicazione di un corrispettivo superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile.

Le condotte tese ad escludere la sussistenza del trasferimento

Di regola, il locatore, il quale ometta di comunicare la sua intenzione di alienare l'immobile locato ad uso non abitativo, qualora tale comunicazione sia dovuta, non è responsabile dei danni subiti dal conduttore che non abbia esercitato il diritto di prelazione, atteso che la possibilità di riscatto, a quest'ultimo concessa, non permette di riconoscere un nesso di causalità tra il suddetto inadempimento ed il pregiudizio dell'interesse del conduttore all'acquisto dell'immobile de quo.

Tuttavia, il locatore-alienante ed il terzo acquirente i quali, attraverso una condotta volta ad ingenerare nel conduttore la rappresentazione che l'immobile non sia stato trasferito, conseguono il risultato del mancato esercizio da parte dello stesso conduttore del diritto di riscatto, sono tenuti al risarcimento dei danni, in applicazione dell'art. 2043 c.c. (c.d. tutela aquiliana).

In questa prospettiva, si è evidenziato che lo spirare del termine per l'esercizio del diritto di riscatto va riguardato, di regola, come la conseguenza di un comportamento proprio del conduttore, che ha omesso di adottare la diligenza necessaria per attuare l'interesse all'acquisto dell'immobile locato facendo valere, appunto, il riscatto, con conseguente esclusione di ogni responsabilità del proprietario locatore.

Può accadere, però, che il mancato esercizio del diritto di riscatto sia il prodotto di un comportamento “ingannevole” del proprietario-locatore e del terzo acquirente: in ragione delle già rilevate esigenze di bilanciamento tra il favore per il conduttore e il più generale interesse della circolazione dei beni, il sistema di protezione dell'interesse del primo attuato dal legislatore, per risultare funzionante ed in concreto non eludibile, deve fare affidamento sulla diligenza dello stesso conduttore quanto al rendersi edotto dell'avvenuto trasferimento, ma, nella strutturazione di tale sistema, va considerato anche che la conoscenza del trasferimento debba aversi, nella generalità dei casi, come normale conseguenza della successione dell'acquirente al locatore e dell'esercizio, da parte del primo, dei diritti inerenti al rapporto di locazione.

Orbene, il nesso causale tra un comportamento del locatore-alienante e del terzo acquirente e l'inattuazione dell'interesse del conduttore all'acquisto del bene - che deve considerarsi mancante tutte le volte che il locatore si sia limitato a non dare comunicazione dell'intenzione di trasferire l'immobile e il conduttore abbia mancato di esercitare tempestivamente il diritto di riscatto - può configurarsi, invece, allorquando il comportamento del locatore-alienante e/o del terzo acquirente, successivo al trasferimento dell'immobile locato ed al subentro del terzo nel rapporto di locazione (art. 1602 c.c.), sia stato tale da ingenerare nel conduttore la rappresentazione che un trasferimento non vi sia stato.

Si profilano, in questo caso, tutti gli elementi necessari alla configurazione del fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c.: è vero che, sulla base del contratto di locazione, in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, nasce per il conduttore il diritto di riscatto, verso l'acquirente ed ogni altro successivo avente causa, diritto potestativo, all'attuazione del quale è logicamente estranea un'obbligazione del locatore-alienante, come del terzo acquirente, intesa a renderla possibile; contrasta, però, in diritto, il principio del neminem laedere la condotta, del locatore e/o del terzo acquirente, volta ad ingenerare nel conduttore la convinzione che l'immobile non sia stato trasferito.

L'inattuazione dell'interesse del conduttore all'acquisto dell'immobile locato, che si ha in conseguenza del mancato tempestivo esercizio del diritto di riscatto, si presta in questo caso ad essere considerata un evento ricollegabile con nesso causale alla condotta preordinata a provocare l'evento medesimo, “dando luogo ad un pregiudizio di ordine patrimoniale, e questo danno è da considerare ingiusto, in quanto è conseguenza di una condotta volta ad impedire l'esercizio di un diritto” (così Cass. civ., sez. III, 16 maggio 1991, n. 5519).

In quest'ordine di concetti, dunque, si è rilevato che l'inosservanza da parte del conduttore del termine previsto a pena di decadenza per l'esercizio del diritto di riscatto comporta la responsabilità aquiliana per il locatore o anche per il terzo acquirente qualora vi sia stata una loro condotta rivolta ad indurlo nel convincimento dell'insussistenza del trasferimento e, quindi, a distoglierlo dall'onere di consultare i registri immobiliari per avere notizia del trasferimento stesso (v., tra le più recenti pronunce di legittimità, Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2008, n. 18233; Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2001, n. 6891; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1997, n. 2872; cui adde, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2022, n. 10136).

Alcuni si sono mostrati contrari a tale assunto, ritenendo, invece, che l'inosservanza dell'obbligo di comunicazione dia luogo senz'altro, ossia indipendentemente ed oltre i rimedi di natura reale di cui all'art. 39 della l. n. 392/1978, all'obbligazione, succedanea, di risarcimento del danno “contrattuale” (ex art. 1218 c.c. e non ex art. 2043 c.c.), sempreché, beninteso, ricorrano gli estremi del danno risarcibile.

A ciò, si replica che, sebbene il diritto di prelazione contemplato dall'art. 38 presupponga l'esistenza di un valido contratto di locazione, la natura di obbligazione ex lege non consente tale conclusione: mancando, nella fattispecie, una libera manifestazione di volontà del locatore, l'inottemperanza all'obbligo della comunicazione non si configura come inadempimento ad un obbligo contrattualmente assunto, bensì come mera inottemperanza ad una prescrizione legale, di per sé, non sanzionata, tant'è che il diritto del conduttore al risarcimento del danno non sorge come conseguenza della mancata comunicazione, ma per effetto di una condotta volta ad indurre una falsa rappresentazione della realtà.

Si dà atto, al contempo, che non è sempre agevole individuare quando, nel caso concreto, il locatore ed il terzo acquirente abbiano posto in atto una condotta fraudolenta volta, appunto, ad ingenerare nel conduttore la convinzione che la vendita non ha avuto luogo: si può pensare all'ipotesi in cui non solo si è taciuto circa la vendita e si è omessa la comunicazione, ma il locatore, dopo aver venduto l'immobile, abbia continuato a percepire il canone fintanto che non era decorso il termine per l'esercizio dell'azione di riscatto (fattispecie analizzata da Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1992, n. 6293).

La simulazione del prezzo dichiarato nel contratto

L'art. 39 della l. n. 392/1978, nel prevedere che, in caso di violazione del diritto di prelazione spettante al conduttore, l'eventuale diritto di riscatto dell'immobile debba essere esercitato in riferimento al prezzo formalmente dichiarato nel contratto definitivo di alienazione, anche se tale prezzo risulti simulato, ha evidente carattere sanzionatorio.

Da ciò discende che la simulazione relativa del prezzo è irrilevante ai fini della determinazione del prezzo del riscatto: in tal senso (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1992, n. 8292), si è ritenuta manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 41 e 42 Cost., la questione di legittimità costituzionale del comma 1 che, in caso di violazione del diritto di prelazione del conduttore, consente il riscatto dell'immobile al prezzo legale (risultante dal contratto) anche quando questo sia simulato, trattandosi di una norma che, per il carattere sanzionatorio, non può considerarsi irrazionalmente discriminante o arbitrariamente ablativa del diritto di proprietà.

Invero, giusta la lettera dell'art. 39, comma 1, il prezzo di riferimento ai fini dell'esercizio del riscatto è esclusivamente quello risultante dall'atto e non il prezzo effettivamente pagato, tant'è che il riscatto è ammissibile anche qualora il prezzo indicato nella denuntiatio sia superiore a quello risultante dall'atto, mentre, se si dovesse tener conto solo del prezzo effettivamente pagato, è a questo prezzo che si sarebbe dovuto far riferimento (Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1998, n. 11552).

E', pertanto, assodato (Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2003, n. 6882; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2002, n. 3175) che il diritto di riscatto, che spetta al conduttore dell'immobile oggetto di compravendita, va esercitato con riferimento al prezzo formalmente dichiarato nel contratto definitivo di alienazione, rimanendo irrilevante che tale prezzo risulti anche notevolmente inferiore rispetto a quello effettivamente convenuto dalle parti, atteso che una tale disciplina persegue perspicuamente lo scopo di sanzionare le prassi contrattuali volte, attraverso la simulazione del prezzo, ad eludere il pagamento degli oneri fiscali effettivamente dovuti.

L'adesione alla domanda di riscatto

Dunque, qualora il conduttore si rivolga al giudice per esercitare il riscatto, una volta proposta la domanda, al fine di stabilire il dies a quo del pagamento del prezzo da effettuarsi da parte del conduttore, prelazionario pretermesso, che propone azione di riscatto nei confronti dell'acquirente dell'immobile urbano da lui condotto in locazione, l'art. 39, comma 2, della l. n. 392/1978 prevede, in caso di non opposizione da parte del retrattato, due situazioni distinte, consistenti: l'una, nella comunicazione con cui l'acquirente dichiari, anteriormente alla prima udienza del giudizio di riscatto, di non opporsi al riscatto, ponendo così in essere un comportamento positivo; e l'altra, nella mancanza di una siffatta comunicazione e nella non opposizione del retrattato alla prima udienza, alla quale il giudizio sia pervenuto.

In questa seconda ipotesi, è richiesta una condotta esclusivamente negativa, che può attuarsi anche con la mancata comparizione alla prima udienza, oltre che con la costituzione senza un'esplicita presa di posizione contro la pretesa del retraente, per cui il termine di tre mesi per il pagamento del prezzo decorre dalla suddetta prima udienza, ancorché non vi sia stata una manifestazione positiva di adesione al riscatto.

In effetti, la norma regolatrice del primo caso di non opposizione del retrattato non suscita dubbi interpretativi (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1986, n. 7463), perché in essa sono specificati il tempo e il modo del comportamento considerato: quando, cioè, il convenuto manifesti, chiaramente e con prontezza, la volontà di adesione alla domanda con la conseguenza di evitare il giudizio, a questa condotta, che riconosce la fondatezza della pretesa del retraente, è giusto che corrisponda il pronto adempimento di costui nel pagamento del prezzo.

Diverso è il secondo caso, disciplinato dal comma 2 dell'art. 39, che riguarda il comportamento del convenuto in giudizio alla prima udienza “quando non vi sia opposizione al riscatto”: al riguardo, non potrebbe sostenersi che solo la comunicazione esplicita della non opposizione da parte del retrattato, comportando l'assoluta certezza dell'esistenza del diritto al riscatto, segna il termine di decorrenza di tre mesi per il pagamento del prezzo, in perfetta consonanza con quanto stabilito nel caso di comunicazione della non opposizione anteriormente alla prima udienza, mentre, nell'ipotesi, invece, di non comparizione dell'intimato, senza perciò alcuna sua presa di posizione rispetto alla domanda del retraente ed al problema sostanziale posto dall'azione di riscatto, non sarebbe possibile far scattare il termine di tre mesi per il pagamento del prezzo, in mancanza dell'adesione del convenuto alla pretesa dell'istante.

Invero, così l'equiparazione, nella sostanza e negli effetti, dei comportamenti del retrattato previsti per i due casi di non opposizione del convenuto, si raggiunge attraverso un'inammissibile forzatura del testo letterale che, invece, quei due casi nettamente distingue nei rispettivi presupposti.

Se, dunque, il legislatore avesse inteso stabilire il tempo del pagamento del prezzo ancorandolo sempre all'unico dato della certezza del fondamento dell'azione di riscatto, raggiunta con l'adesione esplicita del retrattato o attraverso la pronuncia giudiziaria definitiva, non avrebbe mancato di adottare, anche per l'ipotesi di costituzione del convenuto alla prima udienza, un'espressione equivalente a quella che, per il caso di non opposizione anteriore alla prima udienza, prevede che il retrattato “comunichi di non opporsi al riscatto”, senza alcuna particolare forma, con la conseguente cessazione della materia del contendere.

Per contro, nel caso in cui si pervenga alla prima udienza senza che vi sia stata una simile comunicazione del retrattato, lo stesso legislatore, al fine della decorrenza del termine per il pagamento del prezzo, richiede unicamente che “non vi sia opposizione al riscatto”, cioè una condotta esclusivamente negativa (mancata comparizione alla prima udienza, costituzione in giudizio senza un'esplicita presa di posizione contro la pretesa del retraente); e la norma, così interpretata, si inserisce armonicamente nel sistema prevedendo che, in concomitanza con il non contrastato esercizio del diritto potestativo di riscatto, cui è connesso l'acquisto della proprietà dell'immobile, sorga il diritto del retrattato alla riscossione del prezzo.

Si è, altresì, affermato - da parte degli stessi giudici di legittimità (Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 1991, n. 13779) - che la dichiarazione da parte dell'acquirente di non opporsi al riscatto e la successiva accettazione dell'offerta reale del prezzo non impediscono al retrattato di eccepire la nullità del riscatto per carenza dei presupposti di legge, perché l''art. 39 ricollega alla non opposizione del retrattato solo l'effetto di far decorrere il termine per il pagamento del prezzo e questo pagamento perfeziona la fattispecie acquisitiva posta in essere con l'esercizio del riscatto senza renderla inimpugnabile, se affetta da nullità.

In altri termini, la dichiarazione di non opposizione al riscatto ha il mero effetto di fare decorrere il termine per il versamento del prezzo; d'altro canto, nel silenzio della legge, al successivo pagamento può riconoscersi il ruolo di esaurimento della fattispecie acquisitiva posta in essere, con efficacia immediata, con l'esercizio del riscatto, ma non quello, ulteriore, di rendere inimpugnabile per nullità la fattispecie medesima; e sovviene anche il ricorso ai principi codificati, in quanto, nella disciplina generale, la conclusione e persino l'esecuzione del contratto non comportano perdita o impedimento dell'azione o dell'eccezione di nullità di quel negozio.

Inoltre, poiché le decadenze sono di stretta interpretazione, la perdita di quella facoltà di agire o di eccepire non è rinvenibile sulla sola labile traccia dell'implicita previsione, che potrebbe presupporsi sottostare alla disciplina dei commi 2 e 3 dell'art. 39, della stabile composizione degli interessi scaturente dalla dichiarazione di non opposizione al retratto e, meglio, dell'avvenuta riscossione del prezzo relativo.

Resta fermo che la non opposizione al riscatto non solo fa decorrere il termine per il versamento del prezzo, ma agevola il conduttore sul versante probatorio, nel senso che quest'ultimo non avrà l'onere di dimostrare con i fatti un diritto che, in buona sostanza, non gli viene contestato (anche se non si esclude che possa vedersi respinta la domanda, dopo aver già versato il prezzo al convenuto, essendo appunto tenuto a corrisponderlo prima che sia pronunciata la sentenza che operi un trasferimento in suo favore).

L'opposizione da parte del retrattato

Il legislatore non si è limitato, all'art. 39, comma 2, della l. n. 392/1978, a prevedere l'opposizione al riscatto da parte del retrattato - al fine di far decorrere il termine per il versamento del prezzo dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - ma ha precisato che tale opposizione al riscatto può far capo a “qualsiasi motivo” (ovviamente, la decorrenza del termine dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio presuppone che quest'ultima sia di accoglimento della domanda del conduttore, perché, in caso di rigetto, nessun termine deve decorrere).

L'ampia formulazione legislativa, per avere una sua ratio, sicuramente non può riguardare soltanto gli stretti motivi che investono la sussistenza di tutte le condizioni soggettive o oggettive necessarie ai fini di un utile esercizio di riscatto, ma necessariamente deve considerare tutte quelle opposizioni che, in qualsiasi modo, operano perché il diritto potestativo del retraente di subentrare nella qualità di acquirente del bene con effetti ex tunc, mediante la dichiarazione unilaterale recettizia rivolta al retrattato, non trovi immediata e diretta soddisfazione, come nel caso in cui il retrattato sostiene che il prezzo debba essere maggiorato di tutti gli esborsi, preliminari, inerenti e conseguenti alla compravendita, da provare in corso di causa (Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 1987, n. 1212).

Certamente, si ha opposizione al riscatto qualora l'acquirente-retrattato contesti il titolo in base al quale il retraente esercita il riscatto, o contesti l'applicabilità alla fattispecie della normativa sul riscatto, oppure contesti la ritualità o tempestività dell'esercizio del diritto di riscatto.

Eguali conclusioni sono state raggiunte (da parte di Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1999, n. 7031) riguardo alla dichiarazione dell'acquirente, il quale, pur affermando di non opporsi al riscatto, aveva aggiunto che il prezzo doveva essere maggiorato dell'importo delle spese notarili e di quelle sostenute per lavori eseguiti sull'immobile, in quanto l'esatta determinazione della somma da versare ai fini del riscatto risultava subordinata alla statuizione del giudice.

Anche se la legge considera solo il caso in cui il conduttore eserciti l'azione di riscatto con un atto giudiziale, nulla esclude che, a seguito di un'apposita richiesta da parte dello stesso conduttore, il terzo acquirente si dichiari pronto ad aderire stragiudizialmente al riscatto, ossia mediante la stipula di un nuovo contratto di trasferimento dell'immobile oggetto del diritto di prelazione, stabilendo, in maniera del tutto autonoma, le modalità ed i termini del pagamento del prezzo; ciò vale solo ove il retrattato non si opponga, perché, altrimenti, il conduttore rischierebbe di perdere qualsiasi tutela e, qualora nel frattempo fossero già trascorsi sei mesi dalla trascrizione del primo contratto e la domanda sarebbe proposta fuori termine, sarebbe esposto alla declaratoria di inammissibilità.

Altri, invece, ritengono che, qualora la dichiarazione del conduttore di volersi avvalere del diritto di riscatto fosse comunicata stragiudizialmente, ma in forma scritta ai sensi dell'art. 1350 c.c. - norma applicabile anche agli atti unilaterali in forza dell'art. 1324 c.c. - l'esercizio dell'azione dovrebbe ritenersi sempre consentito; in fondo, l'art. 39 della l. n. 392/1978 non pone limiti espressi alla forma del riscatto, in quanto quello che conta è la dichiarazione di volontà del conduttore di esercitare il proprio diritto e la citazione in giudizio del terzo rappresenterebbe un elemento irrilevante.

A ciò si oppone che una comunicazione scritta ha, quantomeno, l'effetto di rendere edotto il terzo della volontà del conduttore di riscattare il bene acquistato dal primo, ma il problema sorge ove il terzo non aderisca a tale richiesta; l'atto giudiziale è inteso, invece, dall'art. 39 non tanto per la sua funzione di dichiarazione a carattere recettizio - funzione condivisa dalla comunicazione stragiudiziale - bensì ai precipui fini del rispetto del termine di sei mesi, decorrenti dalla trascrizione della vendita, e del termine di tre mesi per il versamento del prezzo, sicché la forma non può che essere quella l'atto giudiziario, prevista dalla norma speciale, che, del resto, si riferisce alla “prima udienza del relativo giudizio”.

L'irrilevanza della posizione dell'alienante

Non rileva - secondo Cass. civ., sez. III, 21 luglio 1995, n. 7966 - ai fini del decorso del termine di pagamento del prezzo, l'opposizione da parte dell'alienante, che è estraneo ai rapporti tra conduttore e terzo acquirente, destinatario dell'azione di riscatto; d'altronde, è irrazionale che non solo l'opposizione dell'acquirente, ma anche quella del venditore sia produttiva di effetti ed esoneri il conduttore dell'immobile, legittimato al riscatto, dal pagamento del prezzo, sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Tale impostazione contrasta sia con un dato letterale della norma, sia con la ricostruzione sistematica della natura dell'azione di riscatto e dei soggetti ivi coinvolti.

Sotto il primo profilo, l'art. 39 della l. n. 392/1978, nel disciplinare l'ipotesi della decorrenza del termine della dichiarazione del soggetto, passivamente legittimato, di non volersi opporre, lo individua espressamente nell'acquirente o in un suo avente causa, sicché è ovvio che è allo stesso soggetto, ed esclusivamente ad esso, che è riferibile anche la distinta e diversa ipotesi del comportamento processuale meramente passivo, idoneo ad integrare il requisito della non opposizione.

Ma ciò che soprattutto interessa, in consonanza con il suddetto dato letterale, sono la struttura stessa e la funzione del diritto di riscatto ed i suoi modi di esercizio: la giurisprudenza (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 1986, n. 896) ha, infatti, affermato, in materia di retratto agrario, che il diritto di riscatto si realizza con una dichiarazione unilaterale recettizia del retraente, per effetto della quale si ha una modificazione soggettiva degli effetti traslativi del negozio di alienazione, sicché il retraente subentra nella posizione soggettiva dell'acquirente retrattato ed acquista il diritto dall'alienante per effetto dell'unico atto di alienazione; il relativo giudizio si conclude, perciò, con una sentenza di accertamento pronunciata direttamente nei confronti dell'acquirente retrattato, senza che debba partecipare al giudizio l'alienante.

La Suprema Corte (v., in particolare, Cass. civ., sez. III, 18 marzo 1987, n. 2721) si è anche espressa nel senso che, conformemente all'analogo istituto del retratto agrario, il riscatto da parte del conduttore di un immobile urbano, ex art. 39 della l. n. 392/1978, si concreta nell'esercizio di un diritto potestativo e attiene ad un rapporto bilaterale fra retraente e retrattato, rispetto al quale il locatore-venditore rimane estraneo, tanto sul piano sostanziale che su quello processuale.

Ne consegue, perciò, anche nell'àmbito di un'interpretazione sistematica, che il requisito della non opposizione, di cui al comma 2 dell'art. 39, attiene esclusivamente alla posizione soggettiva assunta dall'acquirente-retrattato, mentre rimane del tutto irrilevante giuridicamente, ai fini della decorrenza del termine per il pagamento del prezzo - dovuto, d'altronde, al retrattato e non ad altri - l'eventuale opposizione manifestata dal venditore, che abbia partecipato, pur non essendo litisconsorte, al giudizio.

L'acquisto della proprietà in capo al retraente

A seguito del positivo esito dell'azione di riscatto, il conduttore perde la posizione di titolare del diritto personale di godimento sul bene locato, per assumere quella di proprietario, sostituendosi, appunto, al terzo acquirente; in altri termini, l'esercizio del diritto di riscatto comporta l'acquisto, da parte del retraente, della proprietà del bene da lui condotto in locazione, ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978.

Si discute, però, se l'acquisto della proprietà avvenga con effetto ex tunc o con effetto ex nunc e se, in tema di riscatto urbano, con riferimento al quale l'esercizio del diritto avviene mediante proposizione dell'azione giudiziaria, la sentenza che definisce il giudizio abbia natura dichiarativa o costitutiva.

La giurisprudenza ha risposto ad entrambi i problemi, affermando (da parte di Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 1987, n. 1212, e di Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1995, n. 2898), da un lato, che il retraente, mediante la dichiarazione unilaterale recettizia rivolta al retrattato, subentra a quest'ultimo, con effetti ex tunc, nella qualità di acquirente, e, dall'altro, la natura di “mero accertamento” del giudizio conseguente all'azione di riscatto, volto soltanto a sancire l'effetto della dichiarazione unilaterale del retraente (v. anche Cass. civ., se. un., 20 dicembre 1991, n. 13757; Cass. civ., sez. III, 18 marzo 1987, n. 2721).  

In buona sostanza, la sentenza non è diretta a risolvere il contratto di compravendita tra locatore e terzo, né a trasferire l'immobile da questi al conduttore, che ha agito per il riscatto, ma a riconoscere a quest'ultimo lo stesso diritto che il terzo ha nei confronti dell'alienante, con effetto retroattivo.

Dovendosi giudicare, invece, degli effetti del mancato pagamento del prezzo nel termine di tre mesi, stabilito dall'ultimo comma dell'art. 39, con la pronuncia della sentenza, il trasferimento del diritto di proprietà in capo al retraente è oramai avvenuto o per effetto della sola dichiarazione o per effetto della sentenza stessa.

Quest'ultima osservazione (a giudizio di Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1992, n. 4535) dà, però, ragione del perché non possa parlarsi di decadenza dal diritto di riscatto per il mancato pagamento del prezzo nel termine di tre mesi dalla sentenza: invero, la pronuncia del giudice, con effetto dichiarativo o costitutivo - a seconda dell'opinione che si intenda seguire - ha ormai accertato che il diritto di riscatto è stato legittimamente esercitato con riferimento alle condizioni indicate nel comma 1 dell'art. 39 citato, per cui il mancato pagamento del prezzo non può più incidere sulla validità del riscatto, giudizialmente riconosciuta, ma semmai sui suoi effetti.

Pertanto, il mancato pagamento del prezzo può incidere, in ipotesi, o quale condizione sospensiva o quale condizione risolutiva dell'effetto traslativo della proprietà conseguente al legittimo esercizio del diritto di riscatto; sennonché, a differenza del riscatto agrario, per il quale, secondo la disciplina dettata dall'art. 8, comma 5, della l. n. 590/1965, come autenticamente interpretato dall'articolo unico della l. n. 2/1979, il pagamento del prezzo costituisce condizione sospensiva del trasferimento della proprietà, nella prelazione urbana manca una disposizione di uguale tenore.

Né la configurazione del pagamento del prezzo quale condizione del trasferimento della proprietà potrebbe ipotizzarsi in base ad un principio generale dell'ordinamento secondo cui, in ogni trasferimento coattivo, la perdita della proprietà è subordinata al versamento del corrispettivo o dell'indennizzo: nell'ordinamento, infatti, si rivengono casi in cui l'effetto traslativo, a seguito dell'esercizio di riscatto, si verifica a prescindere dal pagamento del prezzo (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 1966, n. 1665).

Né, ancora, argomento decisivo potrebbe trarsi dal fatto che, in tema di riscatto urbano, a differenza che per il retratto successorio, sia previsto un termine per il pagamento del prezzo: infatti, la fissazione del termine non può mutare la natura dell'obbligo, né attribuire natura di condizione all'adempimento, poiché il valore condizionante di un determinato fatto giuridico, avendo natura eccezionale, non può ritenersi implicito ma deve essere espressamente previsto, come accade nell'ipotesi della prelazione agraria.

Tirando le fila degli argomenti svolti, gli ermellini pongono i seguenti punti fermi:

a) il diritto di riscatto ex art. 39 è validamente esercitato ricorrendo i presupposti di cui al comma 1 della citata norma;

b) l'esercizio del diritto di riscatto comporta l'acquisto della proprietà del bene da parte del retraente;

c) dall'esercizio del diritto e dal conseguente acquisto della proprietà, nasce in capo al retraente un'obbligazione di corrispondere il prezzo al retrattato;

d) il mancato rispetto del termine fissato dalla legge per il pagamento del prezzo non comporta decadenza da un diritto già legittimamente esercitato e giudizialmente riconosciuto, né condiziona gli effetti di esso in mancanza di un'espressa previsione;

e) il termine fissato dalla legge per il pagamento del prezzo costituisce soltanto un termine dilatorio (e non perentorio) per l'adempimento, la cui mancata osservanza produce le conseguenze tipiche dell'inadempimento delle obbligazioni.

Nel quadro delle obbligazioni, dunque, quella di pagare il prezzo del riscatto trova la sua fonte - non in un contratto o in un fatto illecito, ma - nella legge in conseguenza dell'esercizio del diritto potestativo spettante al retraente (art. 1173 c.c.); il suo mancato adempimento non può, quindi, comportare la risoluzione ex art. 1453 c.c., ma fa nascere il diritto nel retrattato all'adempimento coattivo ed al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 1224 c.c., trattandosi di obbligazione pecuniaria.

Negli stessi identici termini, si è poi ribadito (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2017, n. 655; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19132; Cass. civ., sez. III, 4 settembre 1998, n. 8809) che il mancato pagamento del prezzo, da parte del conduttore di immobile destinato ad uso non abitativo, il quale abbia esercitato il riscatto a seguito di vendita in violazione del diritto di prelazione di cui è titolare, nel previsto termine di tre mesi che ha natura dilatoria, dalla sentenza che ha accolto la domanda di riscatto non comporta, in mancanza di un'espressa previsione, decadenza dal diritto legittimamente esercitato e giudizialmente riconosciuto, né condiziona gli effetti della sentenza, ma concreta solo un inadempimento dell'obbligazione pecuniaria del retraente, dal quale può derivare il diritto del retrattato all'adempimento coattivo ed al risarcimento del danno, ma non certo alla risoluzione del rapporto, trattandosi di obbligazione nascente dalla legge.

Il diritto di riscatto disciplinato dall'art. 39 appartiene, infatti, alla categoria dei diritti potestativi, essendo riconosciuto ad un soggetto (nella specie, il conduttore di cui sia stato violato il diritto di prelazione) il potere di operare una modificazione nella sfera giuridica di un altro soggetto (nella specie, l'acquirente del bene locato), a prescindere dalla volontà (o anche contro la volontà) di quest'ultimo.

Il rimborso delle spese sostenute per l'acquisto

Si è avuto anche modo di precisare che, in tema di riscatto dall'acquirente dell'immobile locato ad uso diverso da quello abitativo, esercitato dal conduttore ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, la mancata previsione del diritto del retrattato al rimborso delle spese sostenute per l'acquisto manifestamente non pone la citata norma in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto al locatore, o rispetto all'ipotesi del riscatto convenzionale (nel quale il riscattante è tenuto al suddetto rimborso, ai sensi dell'art. 1507 c.c.), in considerazione della non assimilabilità delle rispettive situazioni oggettivamente differenziate.

La censura di illegittimità costituzionale si fondava sul rilievo che gli artt. 38 e 39 determinano una disparità di trattamento tra conduttore e locatore: in caso di prelazione, infatti, l'uno è costretto a sopportare le spese di vendita e quelle accessorie, mentre il locatore non subisce alcun danno; in caso di riscatto, il conduttore non va soggetto ad alcuna spesa, mentre l'acquirente deve sostenere in ogni ipotesi delle spese, dato che, anche quando l'atto viene dichiarato nullo, la legge sull'imposta di registro impone di corrispondere l'imposta con diritto di restituzione della sola parte eccedente la misura fissa, circostanza che può verificarsi anche quando il venditore abbia volontariamente omessa la comunicazione al conduttore.

A ciò, la Suprema Corte - Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 1988, n. 837; Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 1984, n. 177 - ha replicato valorizzando la diversa situazione soggettiva delle due parti, alle quali la legge, sulla base di un criterio discrezionale non soggetto a sindacato di costituzionalità, ben può riservare un diverso trattamento, le cui conseguenze eventualmente sfavorevoli possono, d'altra parte, essere evitate realizzando un comportamento diligente consistente nell'accertarsi che il conduttore abbia ricevuto la prescritta comunicazione.

Se si tiene conto che, da un lato, si ha il titolare di un diritto (di prelazione), e, dall'altro, un soggetto destinatario degli effetti dell'esercizio di tale diritto, si conviene che manca la pari condizione tutelate dalla Costituzione nell'ipotesi che due soggetti si trovino in eguale posizione giuridica; si è aggiunto, poi, che, nei confronti dell'alienante, è sempre possibile un'azione per danni in grado di assicurare l'idoneo risarcimento.

Ad avviso di alcuni, il conduttore dovrebbe, però, corrispondere eventuali somme spese dal terzo per riparazioni o miglioramenti arrecati all'immobile, purché essi sussistano al tempo della restituzione, ma eventuali somme aggiuntive, se e in quanto dovute, lo sono per il diverso titolo di cui all'art. 1150 c.c., poiché il prezzo da versare al terzo è solo quello pagato da quest'ultimo come indicato nell'atto notarile di trasferimento, salve eventuali pretese del terzo retrattato, da far valere, però, al di fuori dello schema giuridico del retratto.

Resta inteso - ad avviso di Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2001, n. 2336 - che, ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione (con il conseguente riscatto), ai sensi dell'art. 38, il conduttore non è tenuto a corrispondere al locatore-venditore, oltre al prezzo della compravendita in base alla denuntiatio, anche la mediazione corrisposta all'agente intermediario per l'avvenuta cessione dell'immobile locato, salvo, però, che tale compenso non sia previsto nelle “condizioni di vendita” oggetto della denuntiatio medesima (v., altresì, Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2016, n. 19226).

In conclusione

Per completezza, va accennato alla questione del pagamento del canone nel corso del giudizio di riscatto di cui all'art. 39, commi 2 e 3, della l. n. 392/1978, perchè è sorto il dubbio circa l'individuazione del soggetto a cui il conduttore, di immobile destinato ad uso diverso da quello di abitazione, debba corrispondere il relativo importo.

Un primo orientamento - di cui sono espressione Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11348; Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1991, n. 300 - ha ritenuto che il conduttore il quale, a seguito della violazione del diritto di prelazione di cui è titolare, abbia esercitato il riscatto, è tenuto a corrispondere il canone di locazione al terzo acquirente - il quale è subentrato nella medesima posizione del locatore-alienante, in conformità al principio generale enunciato dall'art. 1602 c.c. - in pendenza del relativo giudizio, al cui esito favorevole soltanto consegue l'acquisto della proprietà dell'immobile locato (l'azione di riscatto, infatti, conseguirebbe effetto solo ex nunc all'esito positivo del giudizio).

Tale orientamento trova conforto nella giurisprudenza - v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2010, n. 699;Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19156; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2001, n. 5913; Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 1996, n. 8713 - la quale afferma che il conduttore di immobile urbano adibito ad uso non abitativo che, ai sensi dell'art. 39, ha esercitato il diritto di riscatto del bene, alienato ad un terzo in violazione del suo diritto di prelazione, e che ha continuato anche dopo l'alienazione a detenere l'immobile in forza del contratto di locazione, deve nei termini di legge corrispondere al retrattato il solo prezzo non rivalutato, e non anche interessi compensativi sullo stesso, da quest'ultimo pretesi in analogia con la disposizione contenuta nell'art. 1499 c.c., poiché la detenzione e il godimento della cosa dopo l'alienazione avevano titolo nel pagamento dei canoni, corrisposti in forza del rapporto di locazione (v., altresì, Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 1996, n. 8713).

Un secondo orientamento - di cui è espressione Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2011, n. 25230 - ha, invece, ritenuto che il conduttore il quale, anche dopo l'alienazione del bene locato in violazione del suo diritto di prelazione, abbia continuato a detenere l'immobile in forza del contratto di locazione, deve corrispondere al retrattato solo il prezzo di acquisto, e non i canoni di locazione, sostituendosi egli con effetto ex tunc nella medesima posizione che il terzo aveva nel negozio concluso (v., in passato, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5369; Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 2008, n. 28907; Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2006, n. 410).

A quest'ultimo orientamento sembra che gli ermellini (Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2018, n. 25376) abbiano, successivamente, dato seguito, sul rilievo fondante per cui l'unico titolo che legittima il retraente a godere del bene è quello dominicale, insorto fin dal momento dell'originaria compravendita (effetto sostitutivo ex tunc), sicchè è da escludere che il conduttore-retraente sia obbligato a versare al retrattato i canoni di locazione, sussistendo, per converso, l'obbligo dello stesso retraente di corrispondere al retrattato gli interessi compensativi sul prezzo dell'immobile, in analogia con quanto previsto dall'art. 1499 c.c., che stabilisce il diritto del venditore a pretendere gli interessi sul prezzo anche quando la cosa produca frutti ed il prezzo non sia immediatamente esigibile.

In quest'ordine di concetti, si è, da ultimo, ribadito (Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2021, n. 40252) che l'esercizio del diritto di riscatto, previsto a favore del conduttore pretermesso nel caso di vendita del bene locato, ha come effetto -  non la risoluzione del contratto traslativo a vantaggio del terzo e la contestuale formazione di un titolo di acquisto ex nunc a favore del retraente, né un nuovo trasferimento del diritto sul bene dal terzo acquirente al titolare del diritto di riscatto, bensì - la sostituzione con effetto ex tunc di detto titolare al terzo nella stessa posizione che questi aveva nel negozio concluso, sulla base della propria dichiarazione unilaterale recettizia, sicché la pronuncia, che decida positivamente sul valido esercizio di detto diritto potestativo del conduttore, è di mero accertamento del già avvenuto trasferimento e il conduttore vittorioso non è, pertanto, tenuto a pagare al retrattato i canoni di locazione maturati nelle more tra la vendita ed il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento della domanda di riscatto.

Riferimenti

Masoni, Prelazione e riscatto del conduttore: quali le condizioni e i limiti applicativi, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 7, 40;

Izzo, Il diritto di riscatto del conduttore commerciale spetta anche per la vendita con “contratto ad oggetto plurimo”, in dirittoegiustizia.it, 2010;

Gozzoli, Prova testimoniale di accordi simulatori e condizioni per l'esercizio del diritto di prelazione e riscatto nella alienazione di immobili urbani ad uso non abitativo, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 56;

Scripelliti, Tutela del conduttore-acquirente nella locazione con riscatto, in Arch. loc. e cond., 2013, 413;

Krasna, Locazioni: chi esercita il riscatto del bene non perde la proprietà se paga in ritardo - L'irregolarità nel versamento del prezzo fa scattare solo l'obbligo del risarcimento, in Guida al diritto, 1998, fasc. 38, 50;

Santersiere, Prelazione e riscatto dell'immobile non abitativo locato: versamento del prezzo al retrattando, in Arch. loc. e cond., 1997, 839;

Grumetto, Non sempre chi tace acconsente: osservazioni sulla contumacia del retrattato alla prima udienza del giudizio di riscatto ex art. 39 l. n. 392 del 1978, in Giur. merito, 1996, 700;

De Tilla, Esercizio del diritto di riscatto ed azione di simulazione, in Rass. equo canone, 1992, 186;

Groppi, Simulazione dell'alienazione e diritto di riscatto, in Arch. loc. e cond., 1992, 278;

Mancini, Il riscatto dell'immobile da parte del conduttore ai sensi dell'art. 39 l. 27 luglio 1978, n. 392, in Giur. merito, 1981, 642.

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