Violazione delle distanze legali: come provare l’esistenza del danno?
30 Luglio 2024
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l'ordinanza in esame. La vicenda da cui origina la questione sottoposta alla Suprema Corte può essere così sintetizzata: la Corte d'appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di risarcimento dei danni causati dall'installazione illegittima di una canna fumaria posta a trentotto centimetri di distanza dal balcone della ricorrente, ritenendo insussistente il danno alla salute e carente di allegazione e prova il danno derivante dalla compromissione del godimento del bene. Di qui, il ricorso in Cassazione della proprietaria dell'immobile, la quale contesta il ragionamento della Corte d'appello, richiamando l'orientamento che riconosce il danno in re ipsa nell'ipotesi di violazione delle distanze. La doglianza coglie nel segno. I Giudici, infatti, ricordano che in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria (ex multis, Cass. n. 17635/2013). Ha, quindi, errato la Corte d'Appello ad escludere la tutela risarcitoria per l'assenza di un danno effettivo alla salute, senza prima valutare se gli elementi presuntivi allegati fossero «astrattamente idonei a compromettere il godimento del bene, come l'intrinseca pericolosità della canna fumaria per la composizione in amianto, la difformità della canna alle prescrizioni di legge ed il suo cattivo stato di conservazione». La sentenza impugnata, dunque, non si pone in linea con l'orientamento giurisprudenziale in tema di presunzione di danno correlato alla normale utilità del bene, basato sull'assunto che «il diritto di proprietà ha insite le facoltà di godimento e disponibilità del bene ne è oggetto, sicché una volta soppresse o limitate tali facoltà, l'esistenza di un danno risarcibile può fondarsi su presunzioni» (Cass. n. 18108/2023). La parola, dunque, passa ai giudici del rinvio, che nel decidere la controversia dovranno uniformarsi al seguente principio di diritto: «in caso di violazione delle distanze, l'esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi - che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall'attore». (tratto da: dirittoegiustizia.it) |