È necessario un collegamento effettivo tra l’offerta pubblicitaria e l’area geografica di operatività dello sponsor per soddisfare il requisito di inerenza?

Giancarlo Marzo
27 Agosto 2024

Con ordinanza n. 18726 del 9 luglio 2024 la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla qualificazione delle spese di sponsorizzazione effettuate nei confronti delle associazioni sportive dilettantistiche, ammettendo una presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria. Tale orientamento giurisprudenziale è stato ribadito negli ultimi anni dalla Sezione Tributaria della Corte di cassazione, ed in particolar modo, fra le varie, dalla sentenza 6 maggio 2020, n. 8540 richiamata in questa sede.

Massima

Le spese di sponsorizzazione di cui all'art. 90 comma 8, della legge n. 289 del 2002, non possono essere configurate come spese di rappresentanza, in quanto assistite da una presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria, a condizione che: 1) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; 2) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; 3) la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine ed i prodotti dello sponsor; 4) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale.

Il caso

La questione controversa trae il suo fondamento logico e fattuale nella sentenza di primo grado della C.T.P. di Viterbo, con cui si accoglieva il ricorso della società (omissis) avverso l'avviso di accertamento con cui si recuperava a tassazione la somma di euro 42.077,00 in relazione all'anno d'imposta 2007, sul totale di euro 56.000,00 afferenti a spese di sponsorizzazione. Nello specifico, si contestava l'incongruità del costo da cui ne derivava l'antieconomicità dell'operazione e, quindi, la non inerenza ai fini della deducibilità. Avverso tale sentenza, l'Agenzia delle Entrate ha proposto appello. I giudici tributari della C.T.R. del Lazio hanno accolto le doglianze dell'Agenzia, ritenendo legittima l'attività accertativa svolta, basata sull'antieconomicità dell'investimento di sponsorizzazione, e, quindi, della conseguente non inerenza dei costi sostenuti. Avverso tale sentenza, la società contribuente ha interposto ricorso in Cassazione.  

La questione e la soluzione giuridica

Investita della questione, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso, evidenziava quale che fosse il consolidato indirizzo giurisprudenziale in ordine al requisito di inerenza per le spese di sponsorizzazione, secondo cui «in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all'art. 90 comma 8, della legge n. 289 del 2002, sono assistite da una «presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale».

Sul punto, è stato inoltre affermato che il già citato art. 90 comma 8, della legge n. 289 del 2002 costituisce «norma speciale, destinata a derogare anche al regime generale di deducibilità dei costi previsto dall'art. 109 del T.U.I.R., trattandosi di disposizione che detta peculiari condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità che rispondono alle specifiche esigenze del settore di riferimento, ossia delle compagini sportive dilettantistiche; la norma intende perseguire finalità diverse che, con tutta evidenza, possono essere rintracciate nella voluntas legis di approntare un regime agevolativo per quei soggetti che decidono di investire nello sport amatoriale e di favorire — tramite la leva fiscale — la diffusione di questo genere di attività giudicate socialmente utili e degne di protezione, stante anche la rilevanza costituzionale dello sport».

In buona sostanza, quindi, è stato espressamente enunciato che il legislatore ha previsto, nel caso delle associazioni sportive dilettantistiche, una presunzione assoluta in ordine alla deducibilità delle spese di sponsorizzazione, non essendo ammessa alcuna sindacabilità in relazione alle scelte economiche imprenditoriali di promuovere il proprio marchio. Sul punto, è stato precisato che «non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa».

La Corte di legittimità, nel caso di specie, ha censurato l'attività accertativa dell'Agenzia delle Entrate, la quale, in punto di fatto, ha contestato che la spesa investita per la sponsorizzazione non fosse inerente e soprattutto, risultasse antieconomica. Tale prassi, infatti, si pone in contrasto aperto con la nozione di inerenza, così come già interpretata da un nutrito orientamento nomofilattico, per cui tale nozione non «poggia sulla necessaria riconducibilità dell'onere di sponsorizzazione alla percezione di ricavi da parte dell'impresa che sostiene il costo» e, soprattutto, «non tiene conto dell'evoluzione delle tecniche pubblicitarie che porta ad escludere che, nell'attuale mercato "globalizzato", ai fini della sussistenza del requisito dell'inerenza delle spese di pubblicità, debba sussistere un legame territoriale tra l'offerta pubblicitaria e l'area geografica in cui l'impresa svolge la propria attività».

Nel caso di specie, quindi, i giudici di legittimità hanno censurato l'attività accertativa dell'Agenzia del Entrate, la quale, invero, non si è adeguata all'orientamento giurisprudenziale maggioritario pronunciatosi in ordine all'art. 90 comma 8, l. n. 289 del 2002 «ratione temporis» vigente, secondo cui l'Agenzia non ha alcun presidio normativo per sindacare nel merito le scelte economiche della contribuente, in virtù di una inerenza legalmente presunta in relazione all'investimento di sponsorizzazione sostenuto.

Osservazioni

L'art. 90 comma 8, l. n. 289 del 1990 «ratione temporis» vigente prevedeva che «Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell'articolo 74 comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917». Tale comma è stato abrogato ed integralmente riportato all'art. 12 comma 3, del d.lgs. n. 36/2021, inserito in tal sede dall'art. 1 comma 6, lett. a), d.lgs. n. 120/2023.

L'art. 12 comma 3, del d.lgs. n. 36/2021 prevede che «il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni e gruppi sportivi scolastici che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni Sportive Nazionali o da Enti di Promozione Sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell'articolo 108 comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917».

Conclusioni

Da una analisi testuale delle norme, imposta agli interpreti dall'art. 12 delle Preleggi, secondo cui «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore», si desume agevolmente una presunzione legale assoluta, predeterminata quindi dal legislatore, nei termini di una presunzione«iuris et de iure» e non«iuris tantum».

Come precisato in sentenza, inoltre, la presunzione legale assoluta di inerenza e congruità delle spese di sponsorizzazione, rese a favore delle imprese dilettantistiche entro i limiti di euro 200.000,00, risponde ad una precisa “ratio” di politica legislativa: si sceglie di “premiare” — tramite una “leva fiscale” — la diffusione e l'investimento nello sport amatoriale e dilettantistico, giudicato socialmente utile ed avente rilevanza di carattere costituzionale, come precisato dalla sentenza della Cass., sez. trib., 27 luglio 2021, n. 21452.

L'ordinanza in esame, quindi, ha confermato il filone giurisprudenziale in ordine alla presunzione di cui all'art. 90 comma 8, l. n. 289/2002 «ratione temporis» vigente.

Oltre a tale dato, la sentenza va salutata con favore anche per avere precisato, ai fini dell'integrazione del requisito dell'inerenza — laddove non sussista una presunzione assoluta — la non necessarietà di un legame territoriale specifico tra il “locus” in cui l'impresa svolge la propria attività ed il “locus” in cui viene espletata l'offerta pubblicitaria. Tale asserzione è stata giustificata alla luce delle innovazioni delle “tecniche pubblicitarie” del “mercato globalizzato”, così ribadendo un orientamento già espresso con sentenza della Cass., sez. trib, 25 febbraio 2015, n. 3770, secondo cui occorre escludere che «nell'attuale mercato “globalizzato”, ai fini della sussistenza del requisito dell'inerenza delle spese di pubblicità debba sussistere un legame territoriale tra l'offerta pubblicitaria e l'area geografica in cui l'impresa svolge la propria attività».

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