Brevi note sulla revisione delle sanzioni doganali amministrative

28 Agosto 2024

Il contributo fornisce un'analisi delle novità presenti nello schema di decreto legislativo in corso di esame definitivo al Parlamento in tema di revisione del sistema sanzionatorio doganale amministrativo.

Premessa

Garantire la proporzionalità delle sanzioni è uno degli obiettivi principali della legge delega per la riforma fiscale italiana (l. n. 111/2023) che si è prefisso il compito di aggiornare — con un riassetto globale — la normativa nazionale, allineandola a quella europea.

La legge delega ha ispirato lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri in stesura preliminare ed in corso di esame definitivo al Parlamento che porterà all'abrogazione del TULD (d.p.r. n. 43/1973) sostituito da disposizioni complementari al Codice doganale dell'Unione (Reg.952/2013) applicabili per quanto non espressamente previsto dalla regolamentazione europea.

Sul piano punitivo amministrativo entra in rilievo il rispetto dei principi enunziati nell'art. 42 CDU (effettività , proporzionalità e dissuasività delle sanzioni) al fine di rapportare la portata delle misure necessarie a conseguire gli obiettivi con la natura e la gravità delle infrazioni contestate, tanto implicando raccordi anche con i principi di collaborazione e buona fede richiamati dallo Statuto riformato dei diritti del contribuente (d.lgs. n. 219/2023).

In particolare, viene riscritta la disciplina sanzionatoria in termini più equilibrati, vengono eliminate passate ambiguità interpretative, viene riqualificata l'Iva all'importazione e rivalutato il “cumulo” a fini applicativi delle penalità in misura più equa.

I criteri direttivi dell'art. 42 del Codice doganale dell'Unione

Non esiste, a livello UE, un sistema “armonizzato” di sanzioni doganali.

Manca una disciplina unitaria europea in materia di sanzioni amministrative doganali risultando al riguardo solamente deliberata — nel quadro giuridico dell'Unione — una proposta di direttiva (Com.2013/0884 final) che affronta le tematiche delle infrazioni commesse con negligenza (colpa) e intenzionali (dolo) stabilendo delle soglie pecuniarie di sanzionabilità.

Il Codice doganale dell'Unione (CDU) — approvato in concomitanza (REG. UE 9 ottobre 2013, n. 952) — rimanda quindi alle singole regolamentazioni nazionali per la repressione delle relative violazioni.

Ogni Stato membro dell'UE è libero di contrastare le violazioni applicando il regime sanzionatorio che ritiene più appropriato per cui nei paesi membri operano tanti differenti sistemi sanzionatori quanti sono gli Stati unionisti. 

Il gruppo di analisi istituito dalla Commissione nel 2013 constatava — ad esempio — che 2/3 degli Stati membri (in allora 24) prevedevano sanzioni penali ed amministrative, 1/3 solo sanzioni amministrative e per tutti risultavano differenziate le soglie finanziarie.

La Corte di Giustizia si è sempre pronunciata a favore della necessità di conformare le sanzioni doganali applicate dagli Stati membri al diritto eurounitario (ex multis Corte Giust. UE, 4 marzo 2020, C-655/18Schenker; e 17 luglio 2014, C-272/13, Equoland).

Dalla lettura di tali pronunce emerge che gli Stati membri sono tenuti a vigilare affinché le sanzioni applicabili nel proprio ordinamento interno siano il più possibile uniformi nel rispetto dei principi di effettività, proporzionalità e dissuasività, in pratica non eccedano quanto necessario per conseguire gli obiettivi tenuto conto della natura e della gravità dell'infrazione commessa.

Regola questa espressamente riportata nell'art. 42 del CDU che resta il parametro di riferimento per il legislatore nazionale.

Per  valutare se una sanzione interna  sia compatibile con il "principio di proporzionalità" occorre, perciò, che l'Autorità che deve applicarla tenga conto della natura e della gravità dell'infrazione che detta sanzione mira a penalizzare nonché delle modalità di sua determinazione, verificando che la sanzione comporti un sacrificio equo per chi la subisce rispetto al bene pubblico danneggiato affinché il rapporto tra azione del privato e reazione del pubblico sia confinata entro margini di ragionevolezza.

D'altro canto, in nome del "principio di effettività" va garantita anche la portata e l'efficacia del diritto unionale facendo sì che la norma sanzionatoria interna sia in grado di tutelare in concreto il bene giuridico protetto imponendo al trasgressore una condotta esigibile.

L'osservanza del "principio di dissuasività" esige, infine, che la norma possieda un grado di severità tale da risultare idonea a distogliere il soggetto dal proposito di commettere l'infrazione.

Buona fede e affidamento

Utili indicazioni sul rispetto del principio di “proporzionalità” provengono dalla Corte di giustizia che — partendo dal presupposto che le sanzioni doganali devono essere proporzionate all'importo dei dazi non versati e alla condotta dell'operatore — ha messo in rilievo anche l'importanza dell'elemento soggettivo: così una sanzione del 50% dei diritti contestati può ritenersi “proporzionata” se rapportata al livello di diligenza dell'importatore (Corte Giust. UE, 23 novembre 2023, C-653/22 Mali).

In altra occasione è stato precisato che — nella qualificazione giuridica dell'infrazione — per assicurare che le sanzioni applicabili rispettino i principi dell'art. 42 CDU — occorre sempre valutare la buona fede del dichiarante (Corte Giust. UE, 8 giugno 2023 C-640/21 Zollner).

Anche nei c.d. recuperi a posteriori in presenza di certificati di origine inesatti la buona fede dell'importatore — purché in regola con tutte le disposizioni vigenti (art.119 CDU) — assume un ruolo importante per giustificare la “deroghe daziarie” ancorché vada coniugata con l'ulteriore elemento dell'errore imputabile a comportamento attivo dell'autorità doganale che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore.

La giurisprudenza di legittimità in linea con quella europea ha infatti più volte affermato che un certificato basato su una situazione fattuale “inesatta”  riferita dall'esportatore è ininfluente perchè l'altrui fatto doloso o raggiro (ancorché ignorato) non esime dall'adempimento dell'obbligazione doganale (Cass., sez. trib., 6 novembre 2005, n. 21775).

La severità delle sanzioni che trovano disciplina unitaria nell'ancora vigente art. 303 del TULD (d.p.r. n. 43/73) ha poi indotto numerose pronunzie di merito e di legittimità a ritenerle scarsamente compatibili con il principio di proporzionalità (rispetto al disvalore dell'illecito).

È compito infatti del giudice nazionale valutare se le sanzioni irrogate siano proporzionali ai maggiori dazi accertati e alla condotta dell'operatore potendo essere altrimenti disapplicate o rideterminate, se non vengono osservati i principi eurounitari consacrati nell'art.42 CDU.

La materia doganale rientra infatti nella competenza principale dell'Unione europea e nel contrasto tra diritto interno e diritto unionale la norma nazionale incompatibile va disattesa a favore dell'applicazione della regola europea che ha la supremazia (Corte Giust. UE, 15 luglio 1964, C- 6/64, Costa).

Così  —  in ipotesi di evasione di diritti pari o superiore ad €.4000 dove la penalità minima  —  a sensi dell'art.303 TULD —  va da €.30.000 a 10 volte l'accertato la Suprema Corte (Cass., sez. VI, 11 maggio 2022, n. 14908) ha ritenuto che la impossibilità di adeguamento della misura punitiva al caso specifico (dove non era stato neppure considerato l'atteggiamento collaborativo dell'operatore) legittimava la rideterminazione del minus intangibile (fissato in misura pari ai diritti evasi) per superare la illogica rigidità dei criteri  stabiliti dalla norma interna.

Come si vede la valutazione giudiziaria è transitata anche dal comportamento dell'operatore in perfetta sintonia —  del resto — con i principi dello Statuto riformato dei diritti del contribuente (d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219) che sancisce nell'art.10 la tutela dell'affidamento affinché i rapporti tra fisco e contribuente restino improntati ai principi di collaborazione e buona fede (con rilevanza esimente degli errori imputabili all'Amministrazione estesa — nel contrasto con la giurisprudenza unionale — financo ai tributi.

La riforma doganale nazionale

Garantire la proporzionalità delle sanzioni è uno degli obiettivi principali della legge delega per la riforma fiscale italiana (l. 9 agosto 2023, n. 111) che si è prefisso il compito di aggiornare — con un riassetto globale — la normativa nazionale, allineandola a quella europea.  

La legge delega ha ispirato lo schema di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri (ed in corso di esame definitivo al Parlamento)che porterà all'abrogazione del TULD (352 articoli) e del Regolamento di esecuzione (378 articoli) sostituiti dall'Allegato A contenente “disposizioni complementari” al CDU (122 articoli) applicabili per quanto non sia espressamente previsto dai Regolamenti Unionali che formano il “pacchetto” composto dal Reg. base 952/2013 cit. con i regolamenti attuativi ed esecutivi (Reg. 2446/2015 e 2447/2015).

La nuova disciplina sanzionatoria

In attesa che la riforma riscriva l'assetto dell'intero sistema è l'art. 303 TULD (norma cardine della regolamentazione punitiva amministrativa) quello che trova  riformulazione — in conformità ai principi della legge delega — nella complessa disciplina contenuta nel novello art. 96 (sanzioni di natura amministrativa) con ivi rinvio agli artt. 78 e 79 (sanzioni di natura penale) secondo lo schema del decreto di revisione.

Va premesso che l'attuale art. 303 distingue tra (primo comma) violazioni “formali” (difformità tra dichiarato ed accertato non comportante rideterminazione dei diritti di confine oltre una certa soglia) punite con una lieve sanzione amministrativa e violazioni “sostanziali” (terzo comma che costituisce aggravante del primo) quando i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l'accertamento portino una differenza rispetto all'accertato di oltre il 5%.

In questo ultimo caso le sanzioni amministrative non risultano affatto proporzionali all'entità dell'accertato ma parametrate a scaglioni superiori allo stesso accertato.

Sulla base di tale disposizione, l'Agenzia delle dogane potrebbe — infatti — arrivare ad applicare sanzioni — salvo l'intervento correttivo giudiziale — che superano in maniera esorbitante l'ammontar dei tributi accertati, anche per semplici errori di natura colposa, ponendosi in evidente contrasto — come si è detto — con il principio di proporzionalità ed i suoi corollari di natura soggettiva.

Ora — con la riforma — vengono dettate disposizioni comuni alle sanzioni amministrative e penali, con integrazione fra le diverse fattispecie sanzionatorie.

La nuova disciplina — in pratica — si rivolge solo a due specifiche macro-fattispecie: il contrabbando per omessa dichiarazione, e il contrabbando per dichiarazione infedele, in luogo dell'attuale ripartizione in molteplici fattispecie (articoli da 282 a 300 del vigente TULD). 

In estrema sintesi, nelle due ipotesi è prevista una sanzione amministrativa dal 100% al 200% dei diritti di confine (al pari della multa) ed ogniqualvolta non sia possibile rilevare, nella fattispecie illecita, un intento doloso, la violazione andrà punita esclusivamente nell'ambito degli illeciti amministrativi, con sanzioni ricomprese tra l'80 % ed il 150% dei diritti doganali accertati.

Il confine fra le due ipotesi sanzionatorie, penale e amministrativa, è rappresentato dalla soglia dei diritti contestati (il limite di 10.000 euro costituisce discrimine coerente con quanto previsto dalla direttiva PIF 2017/1371) e dall'elemento soggettivo del reato, ossia dolo o colpa.

La novità più significativa è però rappresentata dal vaglio preventivo e obbligatorio dell'autorità giudiziaria.

Attualmente l'Agenzia delle dogane opera una preliminare verifica sull'elemento soggettivo della violazione, trasmettendo gli atti alla Procura della Repubblica ove ritenga sussistente il reato di contrabbando, il quale implica la presenza del dolo.

Questa valutazione non sarà più svolta direttamente dalle Dogane, ma sarà l'autorità giudiziaria a decretare se la fattispecie ha rilevanza penale.

L'Autorità doganale sarà così obbligata a trasmettere a quest'ultima la “notitia criminis” in tutti i casi in cui l'ammontare dei diritti di confine accertati sia superiore a € 10.000 o quando ricorrono i presupposti del contrabbando aggravato (mano armata, ostacoli frapposti all'accertamento, delitti di falso ecc.).

A seguito di questo sindacato preliminare l'Autorità giudiziaria — se riterrà sussistenti gli elementi del dolo — tratterrà a sé il relativo fascicolo mentre, in caso contrario, (colpa) ritrasmetterà gli atti alla Dogana, per l'irrogazione della sanzione amministrativa.

In ogni caso, risultano sensibilmente ridotte le sanzioni previste dall'art. 303 TULD (e quindi garantita una giusta proporzionalità), viene attenuato il carico ricondotto alle ipotesi effettivamente lesive dei beni tutelati, resta meglio distribuita l'attività di controllo tra le varie autorità competenti.

La specificazione dell'«origine» della merce

L'art. 303 TULD è stato oggetto di ampio dibattito anche sotto altri profili.

Tra le condotte sanzionate la norma menziona le violazioni sulla qualità, quantità e valore della merce ma nulla dice su quelle riguardanti il 4° elemento costitutivo dell'obbligazione doganale cioè la origine dove di regola si annidano i meccanismi   elusivi per sfruttare indebite agevolazioni.  

La dottrina e parte della giurisprudenza di merito avevano talora richiamato il principio di tassatività con divieto di analogia in malam partem ritenendo che la scelta legislativa (di ricomprendere, cioè, tra le condotte da reprimere  solo tre dei quattro fattori principali che concorrono a costituire la base imponibile del calcolo daziario) confermasse la volontà del legislatore di escludere dal regime sanzionatorio gli errori dichiarativi  inerenti l'individuazione della corretta origine doganale della merce.

Questa impostazione non era però accolta dalla giurisprudenza di legittimità che si pronunziava in senso opposto, cioè' che la norma andava interpretata secondo intrinseci criteri di logicità e ragionevolezza (art. 3 Cost.)  per cui doveva escludersi una voluntas legis intesa a giustificare la sottrazione, dalla fattispecie illecita, della “inesattezza" della dichiarazione sulla origine dei prodotti.

La Corte di cassazione — con ripetute pronunzie (ex multis Cass., sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14030, Cass., sez. lav., 24 giugno 2013, n. 15779, Cass., sez. trib., 22 gennaio 2013, n. 1397) — riteneva infatti trattarsi di ipotesi “implicitamente” contenuta nella formulazione normativa della qualità, avuto riguardo alla identica rilevanza che le “inesattezze” (a qualunque tipologia appartengano) rivestono ai fini dell'accertamento e liquidazione dei tributi doganali. 

In pratica il termine qualità veniva a ricomprendere ogni differenza fra la merce dichiarata e la merce importata concernente i requisiti intrinseci della merce stessa donde l'origine era da considerare uno degli elementi caratterizzanti la qualità della merce che, se diversa da quella dichiarata, ricadeva nel processo sanzionatorio dell'art. 303 TULD.

Lo schema del nuovo codice doganale ha inteso comunque risolvere ogni incertezza interpretativa al riguardo prevedendo — con il nuovo art. 76 — una più puntuale specificazione inclusiva di tutte le 4 voci costitutive dell'obbligazione doganale (valore, quantità, qualità, origine) oggetto delle violazioni da contestare.

Il superamento del «singolo per singolo»

La nuova disciplina sanzionatoria codifica anche il principio secondo cui le sanzioni doganali devono essere calcolate sull' “importo complessivo” dei dazi contestati, e non “singolo per singolo”.

Questa regola per la verità era stata da ultimo riconosciuta dalla stessa Amministrazione doganale e anche dalla giurisprudenza (Cass., sez. trib, 12 novembre 2020, n. 25509) secondo cui — quando la bolletta doganale faceva a riferimento a partite di merci differenti (c.d. singoli) — la sanzione andava commisurata all'importo complessivo dei dazi non versati e non sullo scostamento relativo ai singoli prodotti.

La prassi — precedentemente in vigore — di considerare, in caso di bollette doganali cumulative (contenenti, cioè, più prodotti) ogni singolo come una dichiarazione doganale a sé stante, avrebbe determinato infatti — a seguito della somma aritmetica delle sanzioni — penalità assolutamente sproporzionate, ancora una volta in contrasto con i criteri dettati dall'art. 42 CDU.

Ora la nuova disciplina positivizza il principio secondo il quale la Dogana non potrà più calcolare la sanzione su ogni singola tipologia di prodotto importato, ma dovrà parametrare la sanzione all'importo per l'intero effettivamente dovuto all'Erario.

Dopo aver individuato tante violazioni quanti sono i singoli che hanno concorso a determinare l'eccedenza, l'Ufficio sarà perciò tenuto ad irrogare unica sanzione, prevista per la violazione più grave, applicando la pena più grave, aumentata da un quarto al doppio in applicazione del regime del cumulo giuridico (art. 12 d.lgs. n. 472/1997) ,solo nel caso in cui tale sanzione risulti più gravosa della somma delle sanzioni previste per ogni singolo, sarà possibile adottare il criterio del cumulo materiale.

Iva all'importazione e responsabilità del rappresentante

Va infine segnalata una altra importante novità riguardante l'Iva all'importazione, che il nuovo sistemar riporta tra i diritti di confine, (salvo che le merci siano destinate a una successiva immissione in consumo in un altro Stato UE o siano introdotte in un deposito Iva).

L'art. 27 dello schema definisce, infatti, i “diritti doganali” come tutti i diritti riscossi dall'Agenzia delle dogane in forza dei vincoli derivanti dall'ordinamento UE o nazionali e ricomprende tra essi espressamente l'Iva.

Il legislatore nazionale nell'art. 34 del TULD aveva già definito i diritti doganali come “tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali" ed in passato non si era mai dubitato che vi rientrasse anche l'IVA assolta sulle importazioni (dai paesi terzi) prevista dall'art. 70 del TULD.

Si sosteneva infatti la diversità, nel sistema impositivo, tra l'Iva all'importazione e l'Iva interna: l'una accertata e riscossa dall'Ufficio doganale all'atto dell'importazione con riversamento di quota parte alla Comunità, l'altra versata ed autoliquidata dal contribuente sulla massa di operazioni attive e passive inserite nella dichiarazione periodica.

Questo orientamento veniva peraltro a mutare avendo la giurisprudenza più recente (Cass., sez. trib., 24 luglio 2019, n. 19987) ritenuto che l'IVA all'importazione fosse in realtà equiparabile all'IVA nazionale perchè il rinvio alle disposizioni delle leggi doganali sarebbe avvenuto soltanto quoad penam, mentre l'IVA aveva natura di tributo interno ed erano irrilevanti le diverse modalità liquidatorie.

Tanto in conformità ai precedenti della Corte di Giustizia che avevano già chiarito come IVA interna ed IVA all'importazione rappresentassero il medesimo tributo e di conseguenza il meccanismo di inversione contabile (reverse charge) integrasse una modalità di effettivo assolvimento d'imposta (Corte Giust. UE, Equoland cit.).

Da questo principio era fatta così discendere la conseguenza che il rappresentante doganale indiretto non poteva essere ritenuto responsabile dell'Iva ma solo dei dazi che dichiarava (per conto dell'importatore) stante la ontologica diversità dei due tributi.

Il legislatore è ora intervenuto a ripristinare la equiparazione stabilendo la solidarietà degli operatori per la riscossione di dazi ed Iva in risposta alle indicazioni del giudice europeo (Corte Giust. UE, 12 maggio 2022, C-714/20) secondo il quale ai sensi dell'art. 201 della direttiva Iva (CE 2006/112) non poteva essere riconosciuta la responsabilità del rappresentante doganale indiretto in assenza di disposizioni nazionali che lo designassero o lo riconoscessero, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore di tale imposta.

Ed è appunto quanto lo schema di decreto legislativo ha appunto previsto esplicitamente inserendo, tra i diritti di confine, l'IVA, al fine di chiarire che anche a questo tributo, per le operazioni di importazione, si applica la normativa unionale in materia di individuazione del debitore e di estinzione dell'obbligazione doganale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario