Diritto all’assegno divorzile: come deve valutare il giudice di merito la durata del matrimonio?
28 Agosto 2024
Tizio e Caia restavano uniti in matrimonio per otto mesi, dopodiché si separavano senza nascita di prole. Il Tribunale di Perugia riconosceva all’ex moglie il diritto all'assegno divorzile in funzione assistenziale, pur dando atto in motivazione che la patologia di cui soffriva non era invalidante né ostativa alla prestazione di un'attività lavorativa. La Corte d’appello successivamente adita riduceva l'assegno divorzile, osservando che era mancata l'instaurazione di una comunione di vita effettiva tra i coniugi, in conseguenza della scarsissima durata del matrimonio, peraltro non caratterizzato dalla costante convivenza per volontà dell’ex moglie, la quale non aveva contribuito in alcun modo al patrimonio comune. Inoltre, il titolo di laurea e l’esperienza professionale acquisita dalla donna prima del matrimonio deponevano a favore di sue discrete capacità lavorative. La Corte, in ogni caso, riteneva sussistente il diritto della stessa all’assegno divorzile, in considerazione della rilevante disparità economica tra i due ex coniugi. Ciononostante, la donna ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte ha sottolineato che, sebbene l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità indichi che il giudice di merito – chiamato a concedere o meno l’assegno divorzile – debba valutare la durata del matrimonio quale criterio per determinare la misura dell'assegno, ciò non significa che tale criterio influisca - salvo nei casi eccezionali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi - sul riconoscimento dell'assegno divorzile. Di conseguenza, la Cassazione ha ritenuto inesistente in capo all'ex moglie il diritto a percepire un'assegno divorzile, in considerazione della breve durata del matrimonio (peraltro neanche caratterizzato da una convivenza continuativa), del fatto che la donna non avesse mai contribuito ad un patrimonio comune e, infine, del fatto che questa non soffrisse di alcuna patologia invalidante ma, anzi, che fosse idonea al lavoro, essendo in possesso di un titolo di studio e e dell'esperienza professionale atti ad essere assunta. |