Opponibilità della transazione (anche giudiziale) stipulata tra creditore e un condebitore solidale nei confronti degli altri condebitori
06 Settembre 2024
Massima La dichiarazione del condebitore solidale di voler profittare della transazione novativa stipulata tra il creditore e altro condebitore non necessita di forme particolari e può manifestarsi anche con la mera adesione all'accordo transattivo, senza che il successivo inadempimento delle obbligazioni da parte del debitore che ha transatto faccia rivivere l'originario assetto negoziale, fatta salva l'espressa previsione di una clausola che contempli la risoluzione del contratto. Il caso La fattispecie attenzionata dalla Corte di cassazione, nella ordinanza in esame, ha avuto genesi da un ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c. azionato da alcuni proprietari di diverse unità abitative nei confronti del direttore dei lavori per ottenerne la condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni prodotti nei singoli immobili e nel complesso condominiale, accertati nel corso di un precedente giudizio di accertamento tecnico preventivo, celebrato anche nel contraddittorio con l'impresa esecutrice dei lavori. La peculiarità del caso si riscontra nel fatto che, nel suddetto giudizio di istruzione preventiva, le parti - accertati i vizi lamentati all'esito delle operazioni peritali - addivenivano ad una conciliazione, laddove la sola impresa si obbligava, nei confronti dei proprietari, ad eseguire i lavori necessari e ad eliminare i vizi emersi e a corrispondere una somma di danaro a titolo di risarcimento del danno, mentre il direttore dei lavori si limitava a partecipare all'accordo, senza obbligarsi ad alcuna prestazione. Il ricorso in primo grado - intentato dai proprietari solo a seguito dell'inadempimento all'accordo transattivo da parte dell'impresa esecutrice dei lavori - veniva accolto dal Tribunale, il quale condannava il direttore dei lavori al risarcimento dei danni subiti dai committenti, dando atto che questi ultimi avevano anche già attivato il titolo esecutivo (costituito dal verbale di conciliazione redatto in sede di a.t.p.) nei confronti dell'impresa. La Corte di appello successivamente invocata respingeva il gravame interposto dal direttore dei lavori, ritenendo ancora sussistente, nei confronti del medesimo, l'originaria obbligazione solidale - notoriamente insistente sia in capo all'impresa che al direttore dei lavori allorquando le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento (si veda Cass. 21 settembre 2016 n.18521 -, da considerarsi non estinta in ragione dell'intervenuto accordo transattivo (inidoneo a costituire una «cessata materia del contendere» ab origine), il quale aveva lasciato immutata la situazione giuridica passiva dell'appellante, limitatosi a partecipare all'accordo senza assumere alcun impegno nei confronti dei committenti/danneggiati. La questione Con la devoluzione della vicenda dinanzi al giudice di legittimità, viene posta all'attenzione della Corte, tra l'altro, la questione concernente la violazione degli artt. 1965, 1300 e 1304 c.c., sostenendo il ricorrente l'illegittimità del ragionamento seguito dal giudice di secondo grado il quale, nella sentenza impugnata, non avrebbe considerato la possibilità - normativamente prevista - del terzo condebitore di voler profittare della transazione, oltre che ravvisando erroneamente la riviviscenza dell'obbligazione originaria del medesimo pur in difetto dell'essenziale presupposto di tale effetto, costituito dalla risoluzione della transazione stipulata nel giudizio di accertamento tecnico preventivo. L'interrogativo posto alla Suprema Corte, dunque, ha riguardato:
Tali doglianze, invero, reggevano le proprie motivazioni in virtù del contenuto dell'accordo transattivo raggiunto in sede di istruzione preventiva, laddove risultava chiara la sussistenza di «reciproche concessioni» tra le parti coinvolte, dal momento che la ditta costruttrice si era obbligata ad effettuare tutta una serie di interventi riparatori e a corrispondere una somma di danaro a titolo risarcitorio ai proprietari degli immobili interessati dagli interventi; veniva, quindi, espressamente previsto che l'adempimento di tali obbligazioni veniva soddisfatta ogni pretesa scaturente da quello specifico rapporto obbligatorio, con rinuncia ad ogni altra richiesta, anche nei confronti del direttore dei lavori. La soluzione giuridica La Corte di cassazione ha condiviso le censure del ricorrente direttore dei lavori, affermando che, in fase transattiva, il nesso commutativo desumibile dal contenuto dell'accordo raggiunto in via giudiziale (da un lato, l'obbligo di facere e di dare assunto dall'impresa esecutrice dei lavori e, dall'altro, una «rinuncia abdicativa» da parte dei committenti di ogni diritto e pretesa nei confronti del direttore dei lavori), si era inverato proprio nella volontà, espressa da tutte le parti, di incidere sull'assetto normativo scaturente dagli effetti del contratto di appalto. La individuazione, sotto il profilo sia oggettivo (facere e dare) che soggettivo (impresa appaltatrice quale unico soggetto obbligato), di obbligazioni «sostitutive» di quelle precedentemente concordate rappresenta, secondo il giudice di legittimità, il proprium dell'accordo transattivo in esame, con un chiaro effetto novativo incidente sulla posizione del direttore dei lavori; con tale nuovo assetto, dunque, i proprietari avevano espressamente rinunciato preventivamente alla solidarietà passiva nei confronti del ricorrente - seppur condizionandone l'efficacia liberatoria all'adempimento degli obblighi assunti dall'impresa - assumendosi il rischio dell'inadempimento da parte della ditta costruttrice rispetto agli obblighi che la stessa si era accollata. Inoltre, la Corte - pur non pronunciandosi sulla qualità di «parte» del direttore dei lavori nell'accordo transattivo, ritenendolo concluso inter alios - ha sottolineato l'importanza, ai fini della decisione, della mancata assunzione, da parte del ricorrente, di una sua responsabilità, anche solo concorrente, nella determinazione dell'evento dannoso o di obblighi riparatori o risarcitori; a tali elementi ha aggiunto l'importanza della sottoscrizione apposta dal medesimo, dalla quale poter ricavare un'implicita volontà di voler profittare della transazione tra i committenti e l'impresa. Proprio tale ultimo aspetto ha spinto la Corte di cassazione a condividere le censure del ricorrente, individuando nella sottoscrizione nel verbale di conciliazione l'esplicazione della sua intenzione di voler profittare dell'altrui volontà di definizione transattiva della vicenda, in piena applicazione dell'ipotesi prevista d all'art. 1304 c.c., attribuendo all'accordo effetto necessariamente novativo, avendo lo stesso coinvolto l'intero debito e i soggetti solidamente obbligati. A tale conclusione, la Cassazione è giunta anche osservando che, seppure si volesse attribuire alla transazione natura non novativa bensì meramente conservativa, la soluzione giuridica non avrebbe avuto esito differente atteso che, a norma dell'art. 1976 c.c., per la «reviviscenza» delle possibili distinte posizioni di responsabilità risarcitoria tra l'impresa e il direttore dei lavori sarebbe stata necessaria una risoluzione consensuale o giudiziale del contratto. Osservazioni La lettura dell'ordinanza in commento consente di approfondire la portata applicativa della disposizione normativa prevista dall'art. 1304 c.c. inserita nella disciplina generale delle obbligazioni solidali e riguardante gli effetti scaturenti sul rapporto obbligatorio plurisoggettivo nell'ipotesi in cui il condebitore o il concreditore concludano una transazione. Per quanto qui di interesse, secondo il primo comma del citato articolo, «La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare». Come osservato da attenta dottrina, tale norma - che attribuisce un diritto potestativo al debitore solidale non contraente - ribadisce, da un lato, il principio di relatività del contratto (art. 1372 c.c.), dall'altro derogandovi al tempo stesso, aprendo il contratto a coloro che ritengano conveniente parteciparvi, purché legati ad una delle parti dal vincolo solidale; la disciplina in esame, quindi, si risolve in un limite all'autonomia dei contraenti, postulando l'eccezionale incidenza, rispetto a terzi, di un accordo che, di norma, dovrebbe avere efficacia solo inter partes ed attribuendo ai condebitori e concreditori estranei un diritto potestativo. Trattasi, in sostanza, di una riduzione dell'ammontare del debito complessivo, di cui i consorti possono profittare; ed è proprio la comunanza di interessi data dalla solidarietà che consente di derogare al principio di relatività del contratto, attribuendo ai non transigenti il diritto potestativo di avvalersi dell'accordo, senza che ciò possa essere impedito da clausole di senso contrario. A tal proposito, si afferma che tale diritto non può essere pattiziamente escluso, trovando la sua fonte nella legge; per l'effetto, dalla sola dichiarazione di volerne profittare discende un peculiare risultato liberatorio dell'adempimento dello stipulante rispetto ai consorti estranei, nei cui confronti il transigente manterrà azione di regresso. Delineati i tratti generali della fattispecie normativa in esame, risulta pertinente il richiamo alla notoria distinzione tra la transazione «novativa» e «conservativa»; invero, come osservato proprio dalla Corte nella condivisibile ordinanza in esame, solo nella seconda ipotesi (ma anche nella prima, solo se pattuito, ai sensi dell'art. 1976 c.c.) si sarebbero potuti verificare effetti di reviviscenza delle obbligazioni solidali originarie, previa risoluzione, anche stragiudiziale, del contratto transattivo medesimo; ipotesi, nondimeno, non riscontrata nel caso di specie. Assume, quindi, valore preminente la dichiarazione di voler profittare dell'accordo transattivo avvenuto quest'ultimo, a parere della Corte, inter alios; tale conclusione - come già evidenziato - muove la sua logica dalla partecipazione «passiva» del direttore dei lavori all'accordo inserito nel verbale conciliativo, non avendo questi acquisito diritti o assunto obblighi dalla conclusione del medesimo. In altri termini, la partecipazione del condebitore (mediante la sola sottoscrizione) secondo la Cassazione sarebbe risultata neutra, dal momento che lo stesso avrebbe potuto comunque profittare dei benefici dell'accordo in virtù della citata disposizione normativa. Tuttavia, sia consentito osservare che, come emerge dal contenuto dell'accordo riportato nell'ordinanza della Corte qui commentata, la sottoscrizione del coobbligato potrebbe assumere anche un ulteriore significato specifico, ovvero non solo rappresentativo dell'implicita volontà di voler profittare degli effetti benefici dell'accordo, ma anche come accettazione o mera comunicazione della rinuncia «abdicativa» effettuata dal creditore del proprio diritto di agire Tale fattispecie, astrattamente, richiama un'ipotesi di estinzione dell'obbligazione diversa dall'adempimento e, in particolare, l'istituto della remissione del debito, prevista all'art. 1236 c.c. e ss.; in tal caso, non necessitando l'accettazione del debitore, l'effetto estintivo dell'obbligazione è collegato alla dichiarazione del creditore medesimo (ipotesi individuabile anche nel caso in esame), salvo che il debitore dichiari in un congruo termine di non volerne profittare. In definitiva, sotto il profilo meramente qualificatorio, la fattispecie al vaglio della Corte avrebbe potuto essere anche inquadrata in un'ipotesi di remissione del debito del coobbligato, accettata dall'altro debitore, atteso che l'ipotesi contemplata dall'art. 1304, comma 1, c.c. presuppone la mancata partecipazione del coobbligato all'accordo transattivo; ipotesi, invero, non verificatasi nel caso in esame. DOTTRINA
GIURISPRUDENZA
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