Rosaria Giordano
04 Aprile 2017

Il sequestro conservativo rientra, accanto all'azione surrogatoria ed all'azione revocatoria, nella più ampia categoria dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica sui beni del debitore ed è collegato all'esecuzione forzata, in quanto volto ad assicurare la fruttuosità dell'eventuale esecuzione per espropriazione, sottraendo i beni oggetto del provvedimento alla libera disponibilità del debitore proprietario.
Inquadramento

Il sequestro conservativo rientra, accanto all'azione surrogatoria ed all'azione revocatoria, nella più ampia categoria dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica sui beni del debitore ed è collegato all'esecuzione forzata, in quanto volto ad assicurare la fruttuosità dell'eventuale esecuzione per espropriazione, sottraendo i beni oggetto del provvedimento alla libera disponibilità del debitore proprietario (cfr. Trib. Bari 26 agosto 2013, in dejure.giuffre.it). Si tratta, quindi, di una misura cautelare tipicamente “conservativa”.

La concessione del sequestro conservativo comporta, sul piano giuridico, un vincolo di indisponibilità sul bene sequestrato, gli atti di disposizione relativi al quale, infatti, pur validi tra le parti e gli altri terzi, saranno inefficaci nei confronti del creditore sequestrante. In altre parole, gli effetti del sequestro conservativo sono del tutto analoghi a quelli del pignoramento: tuttavia quest'ultimo determina un “vincolo a porta aperta” sui beni del debitore in quanto l'inefficacia degli atti di disposizione relativi ai beni oggetto di pignoramento riguardano non soltanto il creditore pignorante ma anche gli altri creditori eventualmente intervenuti nel processo esecutivo.

La formula generica adottata dal legislatore circa l'oggetto del sequestro conservativo, comprensiva di qualsiasi elemento utile del patrimonio del debitore, sembra manifestare l'indifferenza per la considerazione del bene nella sua individualità, con la conseguenza che il giudice, nel concedere il sequestro, può non riferirsi a specifici beni del debitore, determinando soltanto il valore del credito sino alla concorrenza del quale il sequestro potrà essere eseguito su qualsivoglia bene del debitore (Trib. Trani, 22 gennaio 2011, in dejure.giuffre.it). La giurisprudenza più recente appare persino incline a ritenere inammissibile il sequestro conservativo, volto a garantire le ragioni creditorie, mediante l'imposizione di un vincolo sul complessivo patrimonio del debitore, è inammissibile se avente ad oggetto l'aggressione di uno specifico bene (Trib. Nola, sez. II, 26 luglio 2010, in Giur. Merito, 2011, n. 3, 715; Trib. Modena, sez. I, 20 dicembre 2007, in dejure.giuffre.it).

Fumus boni juris

Ai fini della concessione del sequestro conservativo occorre effettuare, come per gli altri provvedimenti cautelari, un accertamento sommario da parte del giudice della cautela circa la sussistenza del diritto di credito del quale è domandata la tutela, sussistenza che dovrà valutarsi su un piano di mera verosimiglianza della pretesa creditoria, trattandosi di misura cautelare (Cass., sez. I, 11 marzo 1987, n. 2523; Cass., sez. I, 19 aprile 1983, n. 2672, in Giust. Civ., 1983, I, 2345).

Peraltro non è necessario né che il credito sia liquido (cioè determinato nel suo ammontare) né che sia esigibile (i.e. non sottoposto a termine o a condizione), essendo sufficiente che sia attuale, e non meramente ipotetico ed eventuale (Trib. Nola, sez. II, 23 marzo 2011, in dejure.giuffre.it).

Periculum in mora

Il periculum in mora è tipizzato dall'art. 671 c.p.c. nel “fondato timore di perdere la garanzia del credito”: la relativa valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, il quale può utilizzare sia elementi di carattere oggettivo che soggettivo. E' infatti consolidato in giurisprudenza l'orientamento secondo il quale il periculum in mora che giustifica la concessione di un sequestro conservativo può essere desunto sia da elementi obiettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito, sia da elementi soggettivi evincibili dal comportamento del debitore, tali da lasciare presumere che egli, al fine di sottrarsi all'adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l'eventuale deprezzamento del proprio patrimonio, sottraendolo all'esecuzione forzata (Trib. Bari, sez. III, 18 ottobre 2012, in dejure.giuffre.it; Trib. Nocera Inferiore, 9 novembre 2005, in dejure.giuffre.it; Trib. Trani, 3 agosto 1995, in Giust. Civ., 1996, I, 2, 758).

PERICULUM IN MORA NEL SEQUESTRO CONSERVATIVO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Il concetto di “perdita delle garanzie” di cui all'art. 671 c.p.c. implica necessariamente una diminuzione delle stesse che non può consistere nella mera oggettiva sproporzione tra il credito ed il patrimonio già “ab origine” esistente ma devono ravvisarsi ragioni specifiche per temere la sottrazione o dispersione del patrimonio.

Trib. Torino 14 settembre 2013, in dejure.giuffre.it

La circostanza che la parte debitrice si spogli di un bene costituente l'unico cespite del proprio patrimonio facilmente assoggettabile ad esecuzione forzata non può, in sé considerata, ritenersi sufficientead integrare gli estremi del periculum in mora previsto quale requisito per la concessione del sequestro conservativo, in quanto occorre a tal fine considerare quell'atto nel contesto del complessivo contegno della parte debitrice.

Trib. Milano, 8 luglio 2004, in Giur. it.,2005, I, 574, con nota di CONTE

A fronte di una diminuzione, anche significativa, del patrimonio del debitore, non sussiste il periculum quando non vi siano elementi in base ai quali ritenere che il debitore, per sottrarsi all'adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l'eventuale depauperamento del suo patrimonio, sottraendolo alla esecuzione forzata.

Trib. Larino, 21 aprile 2010, in dejure.giuffre.it

Circa gli elementi soggettivi dai quali è possibile desumere il pericolo di perdita della garanzia del credito che legittima la concessione del sequestro conservativo, si è ritenuto che occorre che lo stesso si inserisca in un comportamento che renda verosimile il rischio di un depauperamento del patrimonio del debitore (Trib. Roma 26 luglio 2004, in dejure.giuffre.it).

A fronte di obbligazioni solidali dal lato passivo non è pacifico se il giudice debba valutare la ricorrenza del pericolo avendo riguardo al patrimonio, globalmente considerato, di tutti i condebitori in solido (in tal senso, in quanto l'obbligazione solidale dà luogo ad un'unica situazione giuridica passiva facente capo a più soggetti e non ad una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito tra loro distinti ed autonomi, v. Tribunale S. Maria Capua Vetere, 20 gennaio 2004, in Giur. Napoletana, 2004, 241) ovvero se debba comunque valutare la consistenza patrimoniale del singolo condebitore solidale, anche in omaggio alla possibilità per il creditore di richiedere indifferentemente l'adempimento a ciascun condebitore solidale.

Possibilità di ottenere il sequestro da parte del creditore munito di titolo esecutivo

In ragione della funzione principale del sequestro conservativo, ovvero quella di assicurare la fruttuosità di un'azione esecutiva per espropriazione, è oggetto di dibattito la questione relativa alla legittimazione del creditore già munito di titolo esecutivo a richiedere il sequestro, potendo egli procedere direttamente ad esecuzione forzata.

Due sono le argomentazioni sulla scorta delle quali nella prassi e nell'ambito della dottrina più recenti si tendono a superare gli ostacoli espressi in tempi risalenti e consistenti nella possibilità per il creditore munito di titolo esecutivo di tutelarsi nell'ambito dell'esecuzione con lo strumento del sequestro conservativo.

In primo luogo, si è rilevato che sussiste un concreto interesse del creditore munito di titolo esecutivo stragiudiziale a proporre ricorso per sequestro conservativo finalizzato ad un'azione di merito volta ad ottenere una sentenza di condanna e, quindi, un titolo esecutivo giudiziale, in relazione al quale sono più limitati tenendo conto del principio di cui all'art. 161 c.p.c. i motivi deducibili in sede di opposizione all'esecuzione (Trib. Napoli, sez. XI, 7 novembre 2006, in dejure.giuffre.it). Invero, con l'opposizione avverso l'esecuzione fondata su titolo giudiziale, il debitore non può sollevare eccezioni inerenti a fatti estintivi od impeditivi anteriori a quel titolo, i quali sono deducibili esclusivamente nel procedimento preordinato alla formazione del titolo medesimo. In sostanza, il titolo esecutivo giudiziale è “più resistente” in sede esecutiva rispetto a quello giudiziale.

Secondo una parte della dottrina la domanda volta alla concessione di un sequestro conservativo relativa sarebbe poi giustificata, anche per il creditore munito di un titolo esecutivo giudiziale, in una serie di situazioni, ovvero, ad esempio nelle more della registrazione della sentenza di condanna nell'ipotesi di accoglimento soltanto parziale della domanda in primo grado ai fini della tutela cautelare in sede di gravame della parte di credito non ancora riconosciuta; nel caso di sospensione ex art. 283 della sentenza di condanna in appello.

Sequestro c.d. in mani proprie

E' discussa l'ammissibilità del sequestro conservativo presso sé stesso o c.d. in mani proprie, ossia il sequestro richiesto dal debitore sulle somme dovute che assuma, a propria volta, di essere titolare di un controcredito.

In senso affermativo si è espressa, anche di recente, una parte della giurisprudenza (Trib. Reggio Calabria, sez. I, 30 marzo 2009, in Giur. Merito, 2010, n. 1, 99; Trib. Roma, 18 agosto 1994, in Giust. Civ., 1995, I, 1931, con nota di SANTAGADA, in conformità a Cass., sez. lav., 8 febbraio 1992, n. 1407, in Giur. it., 1992, I, 1, 2176 ).Analogamente, si è ritenuto ammissibile il sequestro conservativo in mani proprie del datore di lavoro su somme da lui dovute al prestatore di lavoro, a tutela di un suo contro-credito (Trib. Milano 12 dicembre 2003, in Orient. Giur. Lavoro, 2003, I, 1015).

La giurisprudenza più risalente appariva invece orientata in senso contrario, rilevando che l'assenza di una normativa che vada a disciplinare l'esecuzione del sequestro conservativo a mani proprie del debitore, che, a sua volta, assuma essere creditore del proprio creditore, dimostra che tale tipo di sequestro debba essere considerato estraneo al vigente ordinamento processuale (Pret. Foggia 29 gennaio 1988, in Foro it., I, 1317 e Trib. Ancona, 15 ottobre 1985, in Giust. Civ., 1986, I, 1175, con nota di MARTINO).

Revoca

Il debitore può ottenere, ai sensi dell'art. 684 c.p.c., la liberazione del bene dal vincolo del sequestro conservativo offrendo idonea cauzione per il credito e le spese.

Poiché la previsione della revoca del sequestro in conseguenza della prestazione di idonea cauzione e nel commisurare quest'ultima all'ammontare del credito e delle spese (anche se in ragione delle cose sequestrate), realizza pur sempre - mediante il trasferimento del vincolo ai beni assertivi alla cauzione - la funzione primaria di garantire l'adempimento del credito azionato (cfr. Cass., sez. I, 18 gennaio 1995, n. 520), si determina, piuttosto che una revoca del provvedimento, una conversione dell'oggetto del sequestro, analoga a quella prevista rispetto al pignoramento dall'art. 495 c.p.c.

In ragione di ciò, ad esempio, se è comunemente ammessa la possibilità che la cauzione sia prestata anche mediante garanzia fideiussoria (cfr. Trib. Trapani 8 aprile 1992, in Riv. dir. proc., 1993, 918, con nota di ZIINO), è nulla la clausola con la quale sia apposto un termine di durata della garanzia, quando detto termine scada prima dell'accertamento in via definitiva del credito principale (Cass., sez. III, 30 novembre 2006, n. 25481, in Banca borsa tit. cred., 2008, n. 3, 288, con nota di CUCCOVILLO).

Già con riguardo all'assetto antecedente alla novella del 1990, la S.C. aveva più volte ribadito il principio in forza del quale la revoca del sequestro conservativo disposta ai sensi dell'art. 671 c.p.c. su istanza del debitore e previa prestazione di idonea cauzione, incide solo sulle modalità di esecuzione della misura cautelare, sostituendone l'oggetto, e non esclude l'esigenza del giudizio di convalida del provvedimento cautelare, che rimane necessario, sempre che il sequestro sia stato autorizzato ed eseguito anteriormente all'entrata in vigore della predetta riforma, nonostante la sopravvenuta abrogazione dell'art. 680 c.p.c., che imponeva tale fase (Cass., sez. II, 30 agosto 2007, n. 18278).

Tale orientamento resta valido anche nell'assetto attuale, pur dovendosi fare riferimento al giudizio di merito sul diritto cautelando poiché la “revoca” del sequestro conservativo non è altro, come rilevato, che una conversione dell'oggetto della misura cautelare (cfr. Trib. Napoli, 28 marzo 2006, in Dir. maritt., 2008, n. 3, 979, con nota di MEDICA).

Se l'istanza di revoca del sequestro viene proposta nella pendenza del termine per l'introduzione del giudizio di merito (Trib. Roma, 26 aprile 1993,in Foro it., 1993, I,1991), la competenza a decidere sulla stessa spetta al giudice della cautela, mentre se la richiesta è formulata nel corso del giudizio di merito deve essere indirizzata al giudice istruttore (ovvero al collegio se la misura è stata pronunciata dal tribunale in composizione collegiale: Trib. Modena, 27 luglio 1998, in Giur. Merito, 1999,11).

L'art. 684 c.p.c. prevede che la revoca è disposta con ordinanza “non impugnabile”: in sede applicativa è stato ritenuto inammissibile il rimedio del reclamo cautelare, evidenziando che non può tributarsi natura cautelare al provvedimento (Trib. Lanciano, 26 luglio 2002, in Giur. it., 2003, 920, con nota di FRUS).

La S.C. ha inoltre chiarito che la revoca del sequestro conservativo dietro prestazione di idonea cauzione, costituendo un provvedimento di mera amministrazione della misura cautelare, non ha natura decisoria, e quindi non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., evidenziando che, affinché tale caratteristica ricorra, non è sufficiente, infatti, che il provvedimento incida su diritti soggettivi (ciò accadendo anche per la giurisdizione cautelare o esecutiva e anche per gli atti non giurisdizionali), ma occorre che esso decida una controversia su diritti soggettivi o status, con attitudine al giudicato o, quanto meno, con preclusione pro judicato (Cass., sez. I, 1° dicembre 1994, n. 10254).

Conversione in pignoramento

Gli effetti del sequestro conservativo operano esclusivamente a favore del creditore sequestrante, mentre il pignoramento ha efficacia verso il creditore pignorante e gli altri creditori eventualmente intervenuti nella procedura esecutiva: pertanto, in dottrina il sequestro è definito “vincolo a porta chiusa” in contrapposizione al pignoramento che è un “vincolo a porta aperta” (LASERRA).

Peraltro, quando viene pronunciata la sentenza di condanna nel giudizio di merito ex art. 686 c.p.c., il sequestro conservativo si converte in pignoramento. L'art. 156 disp. att. c.p.c. prevede che il sequestrante che ha ottenuto la sentenza di condanna esecutiva prevista nell'articolo 686 del codice deve depositarne copia nella cancelleria del giudice competente per l'esecuzione nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione, e deve quindi procedere alle notificazioni previste nell'articolo 498 c.p.c.

Secondo l'impostazione prevalente in dottrina come in giurisprudenza tale conversione opererebbe automaticamente, ossia anche a prescindere dal compimento degli adempimenti prescritti dall'art. 156 disp. att. c.p.c., che costituirebbero invero adempimenti successivi alla conversione già operante ed il cui mancato tempestivo compimento può determinare la sola l'estinzione del processo esecutivo per inattività delle parti ex art. 630 c.p.c. (in tal senso cfr., tra le molte, Cass., sez. III, 6 maggio 2004, n. 8615 ed, in sede di merito, Trib. Perugia, 6 luglio 1998, in Rass. giur. umbra, 1999, 390; Pret. Milano, 18 maggio 1998, in Giur. it., 1999, 2085).

Tuttavia, va segnalato che esiste sulla questione, sebbene lo stesso sia minoritario, specie in giurisprudenza (cfr. Pret. Roma, 20 febbraio 1997, in Lav. giur., 1997, 807, con nota di COLLIA), anche un altro indirizzo interpretativo per il quale, nell'ipotesi in cui nei termini previsti dall'art. 156 disp. att. c.p.c. il creditore non ponga in essere gli adempimenti previsti da tale disposizione, il sequestro conservativo diventerà inefficace e tale inefficacia potrà essere fatta valere nell'ambito del procedimento di cui all'art. 669-novies c.p.c.

Inefficacia ex art 675 c.p.c.

L'art. 675 c.p.c., norma “sopravvissuta” all'introduzione delle regole sul procedimento c.d. cautelare uniforme ad opera della legge n. 353/1990 (che pure individuano ulteriori fattispecie nelle quali le misure cautelari diventano inefficaci) prevede che il provvedimento di sequestro diventi inefficace ove non sia eseguito entro il termine di trenta giorni dalla concessione.

Diverse sono le problematiche interpretative sollevate dalla disposizione.

E' controverso, in primo luogo, se ai fini della declaratoria di inefficacia occorra aver riguardo a quanto previsto dall'art. 669-novies c.p.c.In particolare, secondo un primo e minoritario orientamento, la perenzione del sequestro ai sensi dell'art. 675 c.p.c. opera automaticamente, senza necessità della declaratoria giudiziale di cui all'art. 669-novies c.p.c.,secondo comma, e non preclude la riproposizione dell'istanza cautelare (Trib. Viterbo, 9 febbraio 1996, in Dir. e giur. agr., 543, con nota di PETROLATI). Appare nondimeno prevalente la tesi contraria in omaggio alla quale sebbene l'art. 669-novies c.p.c. non menzioni espressamente l'art. 675 c.p.c., l'analogia della fattispecie disciplinata da tale ultima norma con quelle previste dal comma primo dell'art. 669-novies c.p.c., atteso che nell'uno e negli altri la perdita di efficacia consegue ad un'inerzia della parte interessata, ed il carattere di previsione generale della norma introdotta dalla novella sul rito cautelare uniformeper disciplinare le forme e le modalità della dichiarazione di inefficacia, inducono a ritenere applicabili tali forme e modalità anche al caso dell'inefficacia del sequestro conseguente alla mancata esecuzione nel termine dettato dall'art. 675 c.p.c.(Trib. Reggio Calabria, 8 agosto 2003, in Giur. Merito, 2004, n. 4, 483, con osservazione di FARINA; Trib. Verona, 19 giugno 2003, in Giur. it., 2003, 2067).

Né può trascurarsi che nella recente esperienza applicativa si è ritenuto che per l'individuazione del giudice competente a pronunziare la declaratoria di inefficacia di un sequestro giudiziario concesso ante causam e non eseguito nel termine previsto, occorre distinguere l'ipotesi in cui il sequestrante, oltre a non avere eseguito in termine, non abbia neppure introdotto il giudizio di merito, dall'ipotesi in cui il sequestrante, pur non avendo eseguito in termine, abbia però introdotto il giudizio di merito; ponendo l'accento sulla disomogeneità tra l'ipotesi della mancata introduzione del giudizio di merito, contemplata dall'art. 669-novies, comma secondo,c.p.c. ed il contenuto dell'art. 675 c.p.c., deve concludersi che, nel primo caso, l'inefficacia non può che essere pronunciata dal giudice della cautela, mentre nel secondo caso, essendosi radicato il giudizio di merito, è in esso che devono naturalmente confluire tutte le questioni attinenti all'attuazione del provvedimento cautelare (Trib. Trani, 17 gennaio 2012, in dejure.giuffre.it).

L'art. 675 c.p.c. ai fini della decorrenza del termine di 30 giorni di efficacia del sequestro, fa riferimento al momento della pronuncia dello stesso e non già della comunicazione alla parte onerata dell'inizio dell'esecuzione.

In omaggio alla formulazione letterale della disposizione, nella prassi si ritiene che il termine di trenta giorni previsto dall'art. 675 c.p.c. per l'esecuzione del sequestro, decorre dalla data di deposito del provvedimento, non già da quella della sua comunicazione (Trib. Ivrea 8 settembre 2004, in dejure.giuffre.it; Trib. Roma 23 gennaio 1995, in Gius, 1995, 355).In effetti, una più risalente decisione aveva ritenuto non manifestamente infondata - in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 675 c.p.c., laddove non prevede che, nel caso di provvedimento di sequestro emesso fuori dall'udienza, il termine di trenta giorni stabilito a pena di inefficacia, per eseguirlo, decorre anziché dalla pronuncia del provvedimento, dalla comunicazione alla parte e quindi dalla conoscenza, di esso (Trib. Palermo, ord. 1° ottobre 1982, in Giur. Cost., 1983, II, 799). La questione è stata ritenuta manifestamente infondata da Corte Cost. n. 386/1988, in Giust. Civ., I, 1384 (posizione ribadita, anche rispetto ad altri parametri invocati, da Corte Cost. n. 237/1995, Resp. civ. e prev., 892, con nota di DE CRISTOFARO). Nonostante la posizione assunta più volte dalla Corte Costituzionale appare evidente la violazione del diritto di difesa del beneficiario della misura cautelare.Ai fini della verifica del termine di trenta giorni dovrà aversi riguardo al momento nel quale è iniziata l'esecuzione forzata: ad esempio quello dell'effettuazione del pignoramento per l'espropriazione e la notifica del preavviso di rilascio per l'esecuzione ex artt. 605 c.p.c. e seg. (v., peraltro, con riguardo all'esecuzione per rilascio, Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13775).In ogni caso, è consolidato, anche in sede di legittimità, il principio per il quale al fine di evitare l'inefficacia del sequestro sancita dall'art. 675 c.p.c. è sufficiente dare inizio all'esecuzione entro il termine di giorni trentae ciò anche se l'esito sia infruttuoso e venga quindi redatto un verbale negativo di sequestro, restando sempre ferma la possibilità di compiere successivamente ulteriori atti di esecuzione (Cass., sez. II, 14 aprile 1999, n. 3679).

E' stato poi precisato che il profilo di inefficacia del sequestro riguarda il solo caso della mancata esecuzione del sequestro, cui consegue, ex art. 675 c.p.c., un effetto riflesso sulla stessa efficacia del provvedimento di autorizzazione del sequestro,mentre, allorché il sequestro abbia avuto una esecuzione tempestiva e si discuta della inammissibilità di ulteriori atti esecutivi posti in essere dopo il termine di cui all'art. 675 c.p.c., deve ritenersi esclusa l'inefficacia del provvedimento (Trib. Monza, 24 giugno 2002, in Giur Merito, 2003, 473).

Riferimenti
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