Il funzionamento della c.d. Russian Roulette clause e la validità della clausola nell’ordinamento giuridico italiano
La questione, recentemente sottoposta al vaglio del Tribunale di Milano, consente di approfondire un tema di estrema rilevanza in ambito societario, ossia il funzionamento della clausola della c.d. Russian Roulette e la sua validità nel nostro ordinamento.
Come accennato, la Russian Roulette clause, di derivazione anglosassone, attribuisce al socio (ad uno, ad alcuni o a tutti i soci), nel caso di conclamato stallo decisionale dell’assemblea, la facoltà di proporre all’altro (o agli altri) la vendita della sua partecipazione ovvero l’acquisto della propria, ad un determinato prezzo.
Il presupposto per l’attivazione del meccanismo, dunque, è la sussistenza di una situazione di stallo suscettibile di riflettersi sulla continuità aziendale.
Ricevuta l’offerta, il socio oblato può accettarla e vendere la propria partecipazione al prezzo proposto dal socio proponente, oppure può decidere di acquistare la partecipazione altrui al medesimo prezzo.
La previsione di tale clausola produce effetti estremamente significativi nella compagine sociale, poiché di fatto determina l’exit di uno dei soci: al fine di risolvere una situazione di impossibilità deliberativa, infatti, viene operata una riallocazione delle partecipazioni all’interno della società.
Sulla legittimità della clausola nel nostro ordinamento, pur muovendo da interpretazioni parzialmente diverse, si sono espressi positivamente il Consiglio del Notariato di Milano, il Consiglio del Notariato di Firenze, nonché, in una recente pronuncia, la Corte di Cassazione.
Con riferimento alla posizione assunta dal Consiglio del Notariato di Milano nella Massima n. 181/2019, le clausole statutarie come la Russian Roulette, pur legittime, configurano un exit forzato del socio e, pertanto, dovrebbero soggiacere al principio di “equa valorizzazione”, che si rinviene nelle norme in tema di recesso legale (artt. 2437-ter e 2473 del c.c.), di riscatto convenzionale (art. 2437-sexies c.c.) e di esclusione (art. 2473-bis c.c.). Tale principio imporrebbe di offrire al socio forzato alla vendita un riconoscimento minimo, coincidente con il valore che gli spetterebbe in caso di recesso.
Più recentemente, il Consiglio del Notariato di Firenze nella Massima n. 73/2020, in parziale superamento dell’orientamento assunto dal Notariato di Milano, ha affermato come sia la clausola stessa, per come è strutturata, a garantire un equo prezzo. Essa, quindi, deve ritenersi “legittima indipendentemente dalla previsione di un meccanismo di predeterminazione del prezzo della partecipazione oggetto del trasferimento”, e la sua validità “non soggiace alla condizione che siano indicati criteri da seguire per la determinazione del prezzo e che quest’ultimo sia almeno pari al valore di liquidazione della partecipazione spettante al socio receduto ai sensi degli artt. 2437-ter e 2473 c.c.”.
Quanto, infine, alle conclusioni formulate nella sentenza n. 22375 del 2023, i giudici di legittimità hanno focalizzato il loro esame sulla struttura bilaterale della clausola, ritenendola idonea ad escludere ogni arbitrio del proponente nella determinazione del prezzo della compravendita, basandosi su un meccanismo intrinsecamente equilibrato.
La Corte ha, dunque, riconosciuto - confermando - la validità della disposizione contrattuale sul presupposto della meritevolezza degli interessi che la stessa tende a perseguire. Ed invero, “è proprio nell’esigenza di superare una difficoltà obiettiva di blocco o stallo societario che potrebbe portare alla liquidazione societaria per l’impossibilità di perseguirne gli scopi statutari che si rinviene la meritevolezza degli interessi perseguiti, avendo il meccanismo strutturalmente imprevedibile di esito dello stallo proprio la funzione, indiretta, di spingere i due partner a collaborare nel perseguimento dell’impresa comune”.
In particolare, nella sentenza in commento i giudici hanno rilevato come sia l’oblato a “decidere quale posizione societaria assumere all’esito del meccanismo antistallo, in quanto se il prezzo dichiarato fosse minore del valore di mercato della partecipazione, allora potrebbe guadagnare acquistando con uno “sconto” l’altrui partecipazione, mentre nell’ipotesi inversa, in cui il primo offerente indicasse un sovrapprezzo, potrebbe comunque lucrare vendendo vantaggiosamente la propria partecipazione”.
In questa prospettiva, il meccanismo bilaterale della clausola “impedisce di concludere che la fissazione del prezzo corrisponda al “mero arbitrio” del primo dichiarante, il quale dovrà invece tenere conto di una serie di considerazioni di carattere oggettivo e, soprattutto, si espone al rischio della decisione finale della controparte”, in quanto “la determinazione di una parte trova un riequilibrio nei poteri contrattuali riconosciuti alla controparte”.