Le principali novità in materia di interpello

Francesco Pistolesi
12 Settembre 2024

Il regime degli interpelli è andato incontro ad alcune modifiche in occasione della riforma fiscale. Tra gli obiettivi della riforma vi è era quello di contrastare l'eccessivo e indebito ricorso agli interpelli da parte dei contribuenti. 

La consultazione semplificata

La riforma della disciplina dell'interpello nasce dall'esigenza di contrastare l'eccessivo e spesso indebito ricorso a questo istituto, cui si è assistito recentemente.

Le ragioni della proliferazione delle domande di interpello sono molteplici, ma tre sono probabilmente quelle più significative: l'esigenza sempre più spiccata dei contribuenti di ottenere conforto alle proprie soluzioni interpretative e applicative delle norme tributarie, la (purtroppo) frequente scarsa chiarezza di queste ultime e la non tempestività ed esaustività dell'attività interpretativa di carattere generale che stimola la proposizione delle istanze di interpello e rende più ardua l'attività degli organi chiamati a rispondervi.

La soluzione che il legislatore ha ideato per dare attuazione alla delega recata dall'art. 4, lett. c), n. 3, della l. n. 111/2023 (secondo cui la razionalizzazione della disciplina dell'interpello doveva tradursi nel «subordinare, per le persone fisiche e i contribuenti di minori dimensioni, l'utilizzazione della procedura di interpello alle sole ipotesi in cui non è possibile ottenere risposte scritte mediante servizi di interlocuzione rapida, realizzati anche attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale») consiste nella consultazione semplificata, il cui regime normativo è dettato dall'art. 10-novies della l. n. 212/2000.

Essa è rivolta alle persone fisiche e ai «contribuenti di minori dimensioni di cui al comma 2», ossia società di persone e società e associazioni ad esse equiparate ex art. 5 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (d.p.r. n. 917/1986 – in seguito, solo TUIR), «che applicano il regime di contabilità semplificata».

La richiesta deve sempre riguardare casi concreti e, sebbene manchi l'aggettivo “personali” che si rinviene nell'art. 11, comma 1, della l. n. 212/2000 sull'interpello, è indubbio che tali debbano essere le fattispecie oggetto di consultazione semplificata, anche in ragione degli effetti che la risposta è destinata a produrre.

Siccome secondo il comma 4 dell'art. 10-nonies, questo servizio «è condizione di ammissibilità ai fini della presentazione di istanze di interpello», ogni quesito suscettibile di essere proposto attraverso la domanda di interpello può essere avanzato attraverso la consultazione semplificata.

Quindi, v'è perfetta sovrapponibilità fra la consultazione semplificata e l'ambito oggettivo dell'interpello.   

Il servizio di consultazione semplificata è gratuito e consiste nell'accesso a una apposita banca dati che «contiene i documenti di cui all'art. 10-sexies, le risposte a istanze di consulenza giuridica e interpello, le risoluzioni [giustamente rammentate] e ogni altro atto interpretativo».

Ovviamente, finché detto servizio non verrà attivato, i contribuenti “di minori dimensioni” potranno continuare a proporre le istanze di interpello.

La banca dati, grazie all'apporto della cd. “intelligenza artificiale”, «consente l'individuazione della soluzione al quesito interpretativo o applicativo esposto dal contribuente».

Dunque, la consultazione semplificata è volta a evitare, da un lato, la presentazione di domande di interpello destinate a essere dichiarate inammissibili per carenza della condizione di obiettiva incertezza in ordine al quesito posto e, dall'altro, a fornire l'indicazione interpretativa già enunciata dall'amministrazione.

In sintesi, la consultazione semplificata consiste in un “filtro” rispetto alla presentazione della domanda di interpello per le persone fisiche e i contribuenti “di minori dimensioni” sopra indicati.

Tant'è vero che, quando «la risposta al quesito non è individuata univocamente», la banca dati informa il contribuente, che può così proporre l'istanza di interpello.

La risposta produce – esclusivamente nei confronti del contribuente istante – gli effetti di cui all'art. 10, comma 2, della l. n. 212/2000, ossia l'affidamento in essa riposto consente solo la disapplicazione delle sanzioni e degli interessi, a meno che non ci si trovi al cospetto di tributi unionali per i quali ricorrano i requisiti prescritti nel medesimo comma 2, consistenti nella modifica dell'orientamento interpretativo dell'amministrazione finanziaria conforme «alla giurisprudenza unionale ovvero ad atti delle istituzioni unionali» per effetto di un mutamento di tali giurisprudenza o atti.

La disciplina – appena tratteggiata – della consultazione semplificata dimostra, anzitutto, come la norma delegata sia stata rispettosa dell'art. 4, lett. c), n. 3, della l. n. 111/2023.

Ciò nonostante, la consultazione semplificata presenta almeno due significative criticità.

In primo luogo, il contribuente che ottiene un responso dalla banca dati non ha una tutela completa dell'affidamento, com'è quella che discende dalla risposta alla domanda di interpello. Si ha l'impressione che il legislatore non si sia fidato pienamente della banca dati e della “intelligenza artificiale” che ne rappresenterà il supporto, riducendone l'attitudine a fondare il legittimo affidamento del privato.

Risulta, comunque, innegabile che la tutela dell'affidamento delle persone fisiche e dei ricordati contribuenti “di minori dimensioni” sia inferiore – salve le particolari ipotesi, contemplate dall'art. 10, comma 2, della l. n. 212/2000 e concernenti i tributi unionali – rispetto a quella che costoro finora potevano conseguire ottenendo risposta alle istanze di interpello. E, sebbene si possano comprendere le ragioni sottese all'introduzione della consultazione semplificata, non è condivisibile la minore tutela riservata a coloro che devono avvalersene.

Inoltre, come anticipato, se la banca dati non “ammette” il contribuente alla presentazione della domanda di interpello o non fornisce alcuna risposta, costui non ha accesso al relativo istituto.

Cosa accade se la risposta ottenuta non è soddisfacente poiché – per esempio – palesemente non pertinente rispetto al quesito oppure contraddittoria o, ancora, immotivata? Senz'altro il responso non è impugnabile in via giurisdizionale poiché non rientra, nemmeno operando un'interpretazione estensiva, fra gli atti censurabili dinanzi al giudice tributario.  

Per risolvere il problema, occorre allora individuare una soluzione pragmatica, anche perché l'efficienza della banca dati potrà affinarsi ed evolvere positivamente nel tempo grazie agli sviluppi tecnologici in materia di “intelligenza artificiale”. In altri termini, non si può affatto escludere che la banca dati – auspicabilmente, nel più breve tempo possibile – possa essere in grado di fornire risposte pienamente adeguate e soddisfacenti rispetto alle richieste ricevute.

Ad ogni modo, qualora dovesse verificarsi l'evenienza sopra prospettata del responso del tutto inidoneo, al contribuente dovrà consentirsi di presentare la domanda di interpello, ivi illustrando le ragioni per le quali la risposta ottenuta appare inadeguata.

Spetterà, poi, all'ente impositore competente confermare o meno la soluzione enunciata dalla banca dati, magari chiarendone adeguatamente la motivazione. Ed è auspicabile che tale ente adotti tale contegno, senza “trincerarsi” dietro una scontata pronuncia di inammissibilità dell'istanza di interpello, perché altrimenti non assolverebbe il compito di diffondere la corretta conoscenza delle norme tributarie, che le incombe in forza degli artt. 6 e 10-sexies della l. n. 212/2000, e non darebbe prova di rispettare il precetto recato dall'art. 97 Cost.

Dalla lettura dell'art. 10-novies, oltre alle perplessità testé sottolineate, emerge la constatazione che il ricorso all'interpello non è più, com'era finora, una facoltà concessa alla generalità dei contribuenti.

Il successo dell'istituto in oltre venti anni di applicazione ha comportato la contrazione del diritto di accedervi per chiunque sia portatore di un caso concreto e personale caratterizzato da condizioni di obiettiva incertezza interpretativa o riconducibile alle altre fattispecie di interpello.

Tant'è che la razionalizzazione dell'istituto, predicata dall'art. 4, lett. c), della l. n. 111/2023, si è risolta, in concreto e per quanto concerne i destinatari della consultazione semplificata, nell'indubbia riduzione della tutela dell'affidamento nelle indicazioni interpretative fornite dall'amministrazione finanziaria.

Allora, si sarebbe forse potuto seguire un diverso percorso per contenere il numero delle richieste di interpello. Ossia si sarebbe potuto offrire a tutti i contribuenti l'accesso gratuito alla consultazione semplificata, configurandola sempre come una condizione di ammissibilità alla presentazione dell'istanza di interpello, ma non escludendo la facoltà di accedervi e prevedendo solo il versamento di un contributo per quanti, a seguito della risposta ricevuta dalla banca dati, volessero comunque presentare la domanda di interpello, lasciando invece gratuita la proposizione dell'istanza quando tale banca dati non fosse stata in grado di fornire una risposta univoca.

Così, con ogni probabilità, sarebbe stato possibile ridurre il numero delle domande di interpello, senza creare una discriminazione in pregiudizio delle persone fisiche e dei contribuenti minori poc'anzi rammentati.

Il nuovo regime di interpello

Le novità più importanti della riforma dell'interpello possono essere sintetizzate nei termini che seguono.

In prima battuta, gli interpelli probatori per accedere a determinati regimi fiscali (in tema di società non operative, prosecuzione del consolidato nazionale, accesso al consolidato mondiale, regime delle cd. Controlled Foreign Company, cessioni di partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari) sono riservati ai soli contribuenti che aderiscono all'adempimento collaborativo di cui agli artt. 3 e seguenti del d.lgs. n. 128/2015 e che presentano le istanze di interpello riguardanti nuovi investimenti per almeno 15 milioni di euro ex art. 2 del d.lgs. n. 147/2015. 

Poi, è stato introdotto nel testo dell'art. 11, comma 1, della l. n. 212 – attraverso l'inserimento della lett. f) – il richiamo all'istanza di interpello ex art. 24 TUIR per coloro che, acquisendo la residenza italiana, intendono beneficiare dell'imposta sostitutiva prevista dalla medesima norma.

Ancora, si prevede il versamento di un contributo di entità variabile, destinato a finanziare la formazione del personale delle agenzie fiscali, «la cui misura e le cui modalità di corresponsione sono individuate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in funzione della tipologia di contribuente, del suo volume di affari o di ricavi e della particolare rilevanza e complessità della questione oggetto di istanza».

Le risposte a tutte le domande di interpello dovranno intervenire entro 90 giorni dalla relativa presentazione.  

Viene introdotta la sospensione dei termini dal 1° al 31 agosto di ogni anno e ogni volta in cui sia obbligatorio chiedere un parere preventivo ad altra pubblica amministrazione; peraltro, se detto parere non viene reso entro 60 giorni dalla relativa richiesta, l'ente impositore è comunque tenuto a risponde all'istanza di interpello.

Si è qualificato come “annullabile” l'atto impositivo e/o sanzionatorio difforme dalla risposta resa all'istanza di interpello.

Infine, nessuna risposta è impugnabile, mentre finora si poteva ricorrere, ex art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156/2015, avverso la risposta all'interpello disapplicativo unitamente al successivo atto di accertamento.

Alcune delle innovazioni illustrate meritano senz'altro apprezzamento.

Non v'è dubbio, infatti, che la generalizzazione del termine di 90 giorni per le risposte a tutte le istanze sia un elemento di condivisibile semplificazione e coerente con le esigenze di celerità che sempre più spesso caratterizzano le operazioni economiche.

Parimenti corretta, alla luce della nuova disciplina dei vizi degli atti adottati dall'amministrazione finanziaria recata dagli artt. 7-bis, 7-ter, 7-quater, 7-quinquies e 7-sexies della l. n. 212/2000, è la previsione dell'annullabilità del provvedimento difforme dalla risposta espressa o tacita. Non siamo, difatti, in presenza di alcuna delle ipotesi che, alla luce dell'art. 7-ter, consentono di affermarne la nullità.

Appare ben comprensibile, inoltre, che durante il mese di agosto di ogni anno si sospenda – parallelamente all'attività giudiziaria – il termine entro cui l'ente impositore è tenuto a rispondere e che detto termine sia parimenti sospeso laddove sia obbligatorio chiedere un parere preventivo ad altra amministrazione, anche in considerazione del fatto che, se quest'ultimo non viene reso «entro sessanta giorni dalla richiesta», «l'amministrazione risponde comunque all'istanza di interpello».

Per finire, non è più sostenibile l'obbligatorietà dell'interpello disapplicativo, stante l'attuale formulazione del comma 1 dell'art. 11, il quale, più che condivisibilmente, qualifica tutte le istanze come facoltative. Deve ritenersi, pertanto, tacitamente abrogato l'art. 11, comma 7-ter, del d.lgs. n. 471/1997, che comminava una sanzione compresa fra un minimo di euro 1.500 e un massimo di euro 15.000 per la mancata presentazione dell'interpello disapplicativo.

Altre novità, invece, lasciano perplessi.

L'amministrazione finanziaria, con la circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, aveva sostenuto che la disapplicazione del regime delle cd. “società di comodo” (disciplinate dall'art. 30 della l. n. 724/1994) rientrava nell'orbita di applicazione dell'interpello probatorio. Oggi, quest'ultimo è riservato ai contribuenti che aderiscono alla disciplina dell'adempimento collaborativo e che presentano l'interpello per i nuovi investimenti, i quali – di regola – non saranno i soggetti interessati alla disapplicazione della normativa sulle “società di comodo”. Occorrerà, quindi, che l'amministrazione finanziaria riveda la propria impostazione, pena altrimenti un'incondivisibile preclusione all'accesso all'interpello da parte dei soggetti che più vi hanno interesse. La soluzione potrebbe consistere nel ricondurre questa ipotesi al regime degli interpelli disapplicativi di cui all'art. 11, comma 1, lett. d).

In ogni caso, la scelta di consentire alle sole società in regime di adempimento collaborativo o che effettuano significativi nuovi investimenti l'accesso all'interpello probatorio appare comprensibile, ma intempestiva. Per un verso, è ragionevole – eccezion fatta per l'evidenziato caso delle “società di comodo” – che sia riservato ai soggetti dotati di un sistema di gestione e controllo dei rischi fiscali l'accesso a questo interpello, stante la complessità e delicatezza delle materie che ne formano oggetto e in ragione del maggior affidamento che tali soggetti possono assicurare nel rispettare le risposte fornite dall'ente interpellato e nell'interlocuzione con quest'ultimo. Per l'altro verso, però, sarebbe stato preferibile attendere il momento in cui tutti i cd. “grandi contribuenti” potranno aderire all'adempimento collaborativo.  

Ma il profilo più delicato e discutibile è rappresentato dalla “subordinazione” della domanda di interpello al versamento di un contributo.

Tale contributo si presta a essere ricondotto al novero delle prestazioni tributarie, non potendosi configurare quale controprestazione della risposta all'istanza, in quanto l'amministrazione potrebbe non pronunciarsi o dichiararla inammissibile. Consiste, insomma, in una prestazione patrimoniale imposta, avente il fine di realizzare il concorso dell'obbligato al pagamento delle spese pubbliche, nel caso individuate nella formazione del personale delle agenzie fiscali.

Esso ha sicuramente lo scopo di disincentivare la proposizione di domande di interpello, per così dire, “futili” o destinate con buona probabilità a essere dichiarate inammissibili.

Se il contributo sarà quantificato in termini modesti – tali, cioè, da non rendere eccessivamente gravoso l'esercizio di una facoltà del contribuente che ridonda a sicuro vantaggio dell'ente impositore, consentendogli di esercitare le funzioni di indirizzo e controllo degli adempimenti fiscali – e i relativi proventi concorreranno al rafforzamento della preparazione dei funzionari dell'amministrazione finanziaria, l'innovazione potrà forse consentire di raggiungere l'obiettivo della riduzione delle istanze di interpello e di elevare la qualità delle relative risposte.  

Non sarà, ad ogni modo, semplice quantificare detto contributo anche perché i criteri indicati nel nuovo comma 3 dell'art. 11 potrebbero condurre a risultati contraddittori. La «tipologia di contribuente, del suo volume di affari o di ricavi» potrebbe confliggere con la «particolare rilevanza e complessità della questione oggetto di istanza»: in altri termini, una questione di rilevante interesse economico proposta da una società di capitali di modeste dimensioni sconterebbe un contributo superiore rispetto a quello richiesto ad una società di dimensioni maggiori che sottopone all'ente interpellato un tema di minor valore? E, poi, come misurare preventivamente la “complessità” della questione oggetto della domanda? Ancora, nel caso in cui il quesito sia posto – in seguito alla “autorizzazione” della banca dati nel contesto della consultazione semplificata – da una persona fisica o da un contribuente di minori dimensioni quale criterio sarà utilizzabile per determinare il quantum del contributo?

Si tratta di interrogativi di non semplice soluzione, ai quali il decreto ministeriale, che darà attuazione a questa innovazione, dovrà fornire adeguata risposta.

Non solo, perché dovrebbe versare il contributo il soggetto in regime di adempimento collaborativo o comunque chi, avendo adottato un sistema di gestione del rischio fiscale, utilizza l'interpello per segnalare un rischio anche al fine di vedere ridotte a un terzo le sanzioni amministrative o per beneficiare della causa di non punibilità del reato di infedele dichiarazione?

Non sembra ragionevole chiedere un contributo a coloro che si avvalgono di un meccanismo, condiviso con l'amministrazione finanziaria, di gestione dei rischi fiscali e devono ex lege ricorrere all'interpello per conseguire, a seconda dei casi, la disapplicazione o la riduzione delle sanzioni amministrative e la non punibilità del reato di infedele dichiarazione.

Conclusioni

Per concludere, due osservazioni.

Per un verso, secondo l'art. 4, lett. c), n. 1), della l. n. 111/2023, la contrazione delle richieste di interpello si sarebbe potuta conseguire «incrementando l'emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale, anche indicanti una casistica delle fattispecie di abuso del diritto, elaborati anche a seguito dell'interlocuzione con gli ordini professionali, con le associazioni di categoria e con gli altri enti esponenziali di interessi collettivi nonché tenendo conto delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni».

Lo strumento adatto a tal fine può essere rappresentato dagli atti di indirizzo interpretativo e applicativo ex art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 165/2001, che – secondo il comma 3 dell'art. 10-septies della l. n. 212/2000 – vengono adottati, su proposta dell'amministrazione finanziaria, dal Ministro dell'economia e delle finanze o, se nominato, dal suo Viceministro delegato per l'amministrazione finanziaria.

V'è da auspicare che tali atti di indirizzo siano emanati, se del caso anche previa consultazione pubblica con gli ordini professionali e le associazioni sindacali e di categoria. Essi, difatti, fornendo indicazioni interpretative di carattere generale, ridurrebbero il ricorso alle domande di interpello.

Per l'altro verso, resta il rammarico che anche questa riforma non abbia escluso la necessaria “preventività” della domanda di interpello. Grazie al ravvedimento operoso o alla dichiarazione integrativa a favore, i contribuenti potrebbero – anche dopo aver realizzato le condotte sottese al quesito – avere un interesse apprezzabile a conoscere l'opinione dell'amministrazione finanziaria e ad adeguarsi alle relative risposte, favorendo così l'obiettivo di una sempre più diffusa attuazione condivisa dei rapporti tributari. Basta considerare le ipotesi delle identiche fatturazioni che si susseguono nel corso del tempo, dei rapporti che si rinnovano periodicamente, dei cambi di assetto proprietario nelle imprese e delle correlate esigenze di porre rimedio agli illeciti fiscali eventualmente commessi durante le precedenti gestioni, e via discorrendo, per avere l'immediata consapevolezza di quanto sia ingiustificata la proibizione della domanda di interpello “successiva” rispetto alla prima attuazione del rapporto tributario che ne forma oggetto.

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