Uso aziendale: l’indennità corrisposta per anni integra una pratica datoriale avente efficacia e vincolatività di un contratto collettivo aziendale
18 Settembre 2024
Massima La reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale. Ed esso, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Il caso Prassi aziendale in ordine all'indennità mensile di maneggio di denaro Il Tribunale di Milano, prima, e la Corte di Appello, poi, si erano trovate ad accertare il diritto al mantenimento dell'indennità mensile di maneggio di denaro per un lavoratore dipendente della Milano Se. – Milano T. S.p.a., con mansioni in origine di esattore e, solo successivamente, di addetto al monitoraggio centralizzato di tratta. In particolare, la Corte di Appello di Milano aveva ritenuto che la pacifica attribuzione, per circa quattro anni, dell'indennità in questione a tutti i lavoratori non più addetti alle mansioni di esattore ma destinati al monitoraggio centralizzato di tratta, aveva integrato un uso aziendale che esulava dal contratto di lavoro individuale e costituiva la fonte di un obbligo di carattere collettivo. Avverso detta sentenza, la società Milano Se. - Milano Tangenziali Spa proponeva ricorso per cassazione che si concludeva con l'ordinanza in commento. La questione Definizione di uso aziendale Ci si domanda se, per individuare un uso aziendale, occorra, oltre a dare importanza all'elemento materiale del comportamento osservato reiteratamente, anche indagare l'intento datoriale, ovvero l'espressa intenzione che, dal proprio comportamento, derivino effetti obbligatori in favore dei dipendenti. Le soluzioni giuridiche L'uso aziendale come fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo L' uso aziendale non è altro che un comportamento favorevole posto in essere dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, costante e generalizzato, che si traduce in un trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali o collettivi). L'uso aziendale può, ad esempio, interessare le gratifiche, i premi e le indennità corrisposte ai lavoratori. La Corte di cassazione, con l'ordinanza in commento, si trova ancora una volta ad esaminare, e lo fa puntualmente, la nozione e i limiti di tale istituto. Prima di tutto, l'uso aziendale trova la propria origine in un comportamento spontaneo del datore di lavoro che attribuisca a tutti i suoi dipendenti o a determinate categorie di essi, per liberalità, un trattamento economico non previsto né dal contratto individuale né dal contratto collettivo. L'attribuzione spontanea di tale trattamento deve essere poi generalizzata; se lo stesso dovesse riguardare solo alcuni dipendenti al più potrebbe dare origine ad un trattamento di fatto ma non di certo ad un uso aziendale. Il predetto comportamento non deve consistere in un comportamento isolato: se un datore di lavoro si trovasse ad effettuare, per una sola volta, a tutti i suoi dipendenti una erogazione patrimoniale non prevista dal contratto individuale e da quello collettivo, ciò non sarebbe sufficiente alla nascita del relativo diritto e i lavoratori non potrebbero pretendere la stessa indennità al verificarsi della medesima situazione. Certo è che se tale erogazione venisse ripetuta per un determinato periodo di tempo, allora essa diventerebbe usuale e quindi entrerebbe a far parte della retribuzione dovuta per il lavoro svolto in quella determinata azienda (Cass. n. 9690/1996). Inoltre, è bene precisare che gli usi aziendali possono essere idonei a derogare soltanto in "melius" la disciplina collettiva, non avendo invece alcuna rilevanza la ripetizione nel tempo di una disciplina peggiorativa della condizione del lavoratore (Cass. n. 12156/2000; Cass. n. 31204/2021). In generale, è poi discusso se occorra ad integrare l'istituto in esame anche l'elemento soggettivo dato dal convincimento del datore di lavoro. Secondo parte della giurisprudenza, è rilevante che sussista uno specifico intento negoziale del datore di lavoro volto a regolare anche per il futuro determinati aspetti del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 11 luglio 2007, n. 15489). L'uso aziendale, secondo tale prospettiva, non costituirebbe semplicemente una mera reiterazione di comportamenti. Altra giurisprudenza (cfr. ad esempio Cass. 8 aprile 2010, n. 8342) ha invece rimarcato che, una volta accertata la reiterazione costante e generalizzata del comportamento, alla modifica in melius del trattamento dovuto ai lavoratori non si debba applicare la disciplina civilistica sui contratti escludendo, in siffatta maniera, un'indagine sulla volontà del datore di lavoro. Il protrarsi nel tempo di comportamenti aventi carattere generale in quanto applicati nei confronti di tutti i dipendenti dell'azienda con lo stesso contenuto, comporta ex se la configurabilità di un vero e proprio uso aziendale, rendendo irrilevante l'indagine su quale possa essere la volontà del datore di lavoro e ciò in quanto l'origine dell'uso aziendale deriva dal mero fatto del comportamento spontaneo del datore di lavoro, di natura non contrattuale (così Cass. sez. un. 30 marzo 1994, n. 3134). Sul punto, vi è da osservare che, secondo l'ordinanza in commento, l'elemento soggettivo, viene calibrato con riguardo al complessivo comportamento datoriale e all'atteggiamento dell'altra parte, che, se non rileva in astratto, nel senso che nessuna indagine va effettuata in ordine alla conoscibilità dell'altra parte circa il vero intento del soggetto erogante, però potrebbe avere efficacia se si considera la inequivoca, obiettiva e documentata conoscenza del beneficiario quanto alla inesistente volontà datoriale di gratificare i dipendenti, ed anzi la palese manifestazione di un intento contrario. In conclusione, la Corte di cassazione riconduce l'uso aziendale al novero delle cosiddette fonti sociali (insieme al contratto collettivo ed al regolamento d'azienda), che, seppur non costituendo espressione di funzione pubblica, tendono a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda. Pertanto, l'uso aziendale agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (cfr. Cass. 25 marzo 2013, n. 7395). Osservazioni Uso aziendale e trattamento di fatto L'attribuzione spontanea del trattamento, per come detto, deve essere generalizzata. Infatti, se l'emolumento riguardasse solo alcuni lavoratori (e non altri) non sorgerebbe un uso aziendale, ma semmai un trattamento di fatto, che potrebbe essere configurato come un mutamento unilaterale delle condizioni contrattuali, tacitamente accettato dal beneficiario. È comunque sufficiente che la prassi generalizzata riguardi i dipendenti di una sola azienda; infatti, l'accertamento dell'esistenza degli usi prescinde dalla circostanza che essi siano stati o meno applicati in tutte le aziende del settore merceologico al quale appartiene l'impresa (Cass. S.U. 17 marzo 1995, n. 3101). L'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda viene raggiunta se si considera l'uso aziendale quale scaturente da fonti sociali. In questa sede, è appena il caso di ricordare che il richiamo alla categoria delle fonti sociali per quanto concerne gli usi aziendali è stato oggetto di critiche da parte della dottrina, che ne ha sottolineato l'ambiguità e la relativa incerta collocazione nell'ambito di fonti di regolazione del rapporto di lavoro così strutturalmente diverse come il contratto collettivo ed il regolamento di azienda (S. Liebman, Comportamenti unilaterali dell'imprenditore, usi aziendali e teoria delle fonti di regolamentazione del rapporto di lavoro, in Mass. Giur. Lav., 2000, 596; P. Ichino, Il contratto di lavoro, in Tratt. Dir. Civ. Comm., I, Giuffrè, 2000, 251-254). |