Crediti di lavoro: interessi e rivalutazione, previdenza e assistenza

20 Settembre 2024

Il contributo approfondisce e confronta il regime degli accessori (interessi e rivalutazione monetaria) per i crediti di lavoro privati, di lavoro pubblico e derivanti da rapporti di previdenza e assistenza, sottolineando la funzione della giurisprudenza, costituzionale e di legittimità, nell'individuare e temperare eventuali disparità di trattamento tra le categorie di lavoratori.

Premessa

La regola dell'automatica cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria, posta dall'art. 429, comma 3 c.p.c., è applicabile ai soli crediti di lavoro azionati dal lavoratore e si traduce in plurimi elementi di differenziazione e vantaggio, sia sotto il profilo processuale che sostanziale.

Gli interessi, al saggio legale, e la rivalutazione secondo indici ISTAT decorreranno dalla data di maturazione del singolo rateo di credito periodico, sino al saldo effettivo.

Gli accessori dei crediti dei dipendenti pubblici non sono soggetti a tale disciplina, ma trovano regolamentazione nell'art. 22, comma 36, l. n. 724/1994, ispirata a esigenze di tutela della finanza pubblica, dichiarata parzialmente incostituzionale e oggetto di interpretazione particolarmente estensiva. Quanto ai crediti derivanti da rapporti previdenziali e assistenziali, trovano regolamentazione nell'art. 16, comma 6, l. n. 412/1991 che prevede il diritto ai soli interessi legali a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda, prevedendo altresì un meccanismo di detrazione degli interessi erogati dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito (cd differenziale inflazionistico).

Gli accessori nei crediti di lavoro

L'art. 429 c.p.c., norma cardine che regolamenta la fase decisoria del processo del lavoro, contempla, all'ultimo comma, la regola di disciplina sostanziale in tema di accessori dei crediti da lavoro, stabilendo che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro debba determinare, oltre agli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore in ragione della diminuzione di valore del credito azionato, condannando al pagamento della relativa somma con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto, sino al saldo effettivo.

Due sono gli aspetti che balzano immediatamente all'attenzione del commentatore.

La disposizione è, innanzitutto, di esclusiva applicazione ai crediti vantati dal lavoratore, non applicandosi a quelli eventualmente azionati dal datore di lavoro, in via principale o riconvenzionale, rispetto ai quali tornerà a farsi applicazione delle regole ordinarie.

La ratio di tale tutela differenziata, ispirata in evidenza al principio del favor preaestatoris, si rinviene nelle argomentazioni della Corte costituzionale (​Corte Cost., 2 novembre 2000, n. 459), secondo cui ai crediti di lavoro va conferita una tutela differenziata rispetto a quelli comuni, in quanto l'idoneità della retribuzione ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa si pone in funzione non solo del suo ammontare, ma anche della puntualità della sua corresponsione, parimenti essenziale al soddisfacimento delle esigenze quotidiane di vita del lavoratore e dei suoi familiari.

In secondo luogo, alla luce della locuzione utilizzata, riferita all'organo giudicante (« deve determinare »), non vi sono dubbi in ordine alla circostanza che il riconoscimento di interessi e rivalutazione debba costituire oggetto di un automatismo, dovendo il giudice provvedere d'ufficio, anche in assenza di una domanda di parte (cfr. ex pluribus Trib. Chieti, sez. lav., 26 gennaio 2016, n. 30), diversamente dai crediti pecuniari metalavoristici (rectius ordinari, in considerazione della ridetta inapplicabilità a quelli azionati dal datore di lavoro), rispetto ai quali la riconoscibilità ex officio concerne esclusivamente gli interessi compensativi e risarcitori nei danni da responsabilità extracontrattuale e la rivalutazione monetaria (Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2021, n. 39376), mentre gli interessi moratori, corrispettivi o compensativi possono essere attribuiti solo su espressa domanda di parte, che ne indichi la fonte e la misura, nel rispetto dei canoni individuati negli artt. 99 e 112 c.p.c. (​v. Trib. Bari, 23 novembre 2004).

Ulteriori elementi di differenziazione sotto il profilo sostanziale e, correlativamente, di vantaggio per il lavoratore, riposano, in primis, nella circostanza che gli accessori contemplati dalla norma decorrono dal giorno della maturazione del credito, o dal diverso momento di esigibilità dello stesso, senza necessità della costituzione in mora ex art. 1219 c.c., consistente nella richiesta o intimazione per iscritto al debitore (mora ex persona), fatti salvi i casi di produzione automatica degli effetti della mora (mora ex re), laddove il debito derivi da fatto illecito, il debitore abbia dichiarato per iscritto di non voler eseguire la prestazione, o sia scaduto il termine e la prestazione debba essere eseguita al domicilio del creditore.

Inoltre, laddove la somma riconosciuta consista in un maggior credito, situazione estremamente frequente stante la ricorrenza di richieste di differenze retributive, la decorrenza degli accessori sul credito andrà riconosciuta dalla maturazione dei ratei del minor credito effettivamente percepito e non dalla determinazione giudiziale del differenziale, diversamente che nei casi ordinari, in cui l'illiquidità del credito determina il riconoscimento degli accessori dalla data della pronuncia giudiziale, nella quale è contenuta la sua liquidazione (Cass. civ., sez. lav., 20 settembre 2007, n. 19467).

Non rileva, infine, ai fini della decorrenza degli accessori, la colpa del debitore, essendo l'indicizzazione caratteristica intrinseca del credito (Cass. civ., sez. lav., 4 aprile 2002, n. 4822), né occorre fornire prova del danno, fatta salva la possibilità di cumulo con l'eventuale ulteriore maggior danno subito ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c. di cui, tuttavia, il lavoratore ne faccia espressa istanza e fornisca prova dello stesso (Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2023, n. 3662).

Da ultimo, in ordine all'ambito di applicazione della norma, la locuzione « crediti di lavoro », in assenza di specificazione, deve ritenersi particolarmente ampia, sia sotto il profilo della tipologia del credito, estendendosi ai crediti pecuniari in qualche modo connessi al rapporto di lavoro, ovvero sinallagmaticamente avvinti alla prestazione di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 2 luglio 2020, n. 13624) ivi inclusi, pertanto, quelli di natura risarcitoria (Cass., sez. lav., 12 agosto 2022, n. 24749) o indennitaria (Cass., sez. un., 27 agosto 2014, n. 18353).

Analogamente, il riferimento al rapporto di lavoro, in assenza di ulteriore specificazione tipologica, ha indotto ad estendere l'ambito di applicazione della disciplina speciale anche ai lavoratori parasubordinati (​Cass., sez. II, 14 settembre 2022, n. 27067) ed agli agenti di commercio (Cass., sez. II, 16 febbraio 2015, n. 3029).

Decorrenza e misura degli accessori

Questione di preminente rilievo nella pratica è l'oggetto dell'indicazione giudiziale, contenuta nella pronuncia di condanna accessoria resa ai sensi dell'art. 429, comma 3 c.p.c.

Con assoluta frequenza, difatti, i giudici si limitano all'utilizzo di formule dal tenore generico circa la decorrenza degli accessori, come, ad esempio: « dalla data di maturazione al saldo effettivo », che pongono problemi di non poco conto in sede di esecuzione forzata. Al contempo, la natura di credito a maturazione periodica della retribuzione rende non percorribile la strada della circostanziata indicazione della decorrenza per ciascuno dei ratei (ribadendo, ancora una volta, che la decorrenza degli accessori si appunta alla maturazione dei ratei del minor credito effettivamente percepito, e non dalla determinazione giudiziale del differenziale, cfr. Cass. civ., sez. lav., 20 settembre 2007, n. 19467).

Appare sufficiente, dunque, in un'ottica di contemperamento delle esigenze delle parti, l'indicazione della decorrenza degli accessori «dalla data di scadenza di ciascun rateo al saldo effettivo», lasciando alle parti ed ai loro consulenti il computo della misura degli stessi.

L a misura degli interessi va determinata sulla base del saggio legale , di cui all'art. 1284, comma 1, c.c.

Questione controversa, e di assoluta attualità è quella dell'applicabilità, alle controversie di lavoro, della norma di cui all'art. 1284, comma 4 c.c. che prevede che, dalla data della domanda giudiziale, vada applicato il saggio degli interessi previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali .

Secondo un primo orientamento (Trib. Roma, 22 giugno 2020, n. 3577; Trib. Lucca, 2 marzo 2023, n. 75), l'art. 1284, comma 4 c.c. non sarebbe applicabile ai crediti di lavoro, perché derogato dalla disciplina speciale prevista dall'art. 429, comma 3, c.p.c. che prevede, come noto, un regime di favore per i crediti del lavoratore.

Secondo altro orientamento, invece, non sussisterebbero ostacoli di sorta all'applicazione della disciplina dell'art. 1284, comma 4 c.c. ai crediti di lavoro, posto che l'art. 429, comma 3 c.p.c., nella parte in cui prevede che sui crediti di lavoro debbano essere applicati gli interessi nella misura legale, opererebbe un rinvio all'art. 1284 c.c. nella sua interezza (Trib. Perugia, 15 marzo 2022, n. 53; Trib. Venezia, 19 gennaio 2023, n. 29; Trib. Venezia, 16 marzo 2023, n. 176).

L'esistenza di contrastanti formanti giurisprudenziali ha indotto una corte di merito (Trib. Parma, sez. lav., 3 agosto 2023) a disporre rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c.

La questione resta, tuttavia, ad oggi irrisolta, posto che le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. civ., sez. un., 13 maggio 2024, n. 12974) hanno dichiarato la sopravvenuta inammissibilità del rinvio, per il venir meno della condizione della necessità che la questione di diritto definisse anche parzialmente il giudizio a quo, a seguito dell'intervento di altra pronuncia su rinvio pregiudiziale (Cass. civ., sez. un., 7 maggio 2024, n. 12449) che aveva enunciato il principio secondo cui, ove il giudice disponga il pagamento degli « interessi legali » senza alcuna ulteriore specificazione, debba intendersi la corrispondenza della misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, al saggio previsto dall'art. 1284, comma 1, c.c.

In merito, infine, alla misura della rivalutazione monetaria, la stessa non può che coincidere con l'indice ISTAT in vigore alla data di deposito della sentenza.

Il rinvio alla scala mobile per i lavoratori dell'industria, operato dall'art. 150 disp. att. c.p.c., risulta difatti anacronistico, risultando l'istituto abrogato da oltre un trentennio.

Gli interessi e la rivalutazione monetaria nei crediti dei pubblici dipendenti

Gli accessori dei crediti dei dipendenti pubblici non sono soggetti alla disciplina speciale di cui all'art. 429 comma 3 c.p.c., trovando originaria regolamentazione nell'art. 22, comma 36, l. n. 724/1994, ispirata a evidenti esigenze di tutela della finanza pubblica e, pertanto, contenente una regolamentazione meno favorevole rispetto a quella dei crediti maturati in ambito privatistico.

Secondo tale norma, gli emolumenti di natura retributiva, pensionistica e assistenziale, per i quali non fosse maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici in attività di servizio o in quiescenza, erano assoggettati alla disciplina dell'art. 16, comma 6, l. n. 412/1991 che, nel disciplinare misura e decorrenza degli interessi in materia previdenziale, escludeva il cumulo con la rivalutazione monetaria. Veniva, inoltre, previsto che l'importo dovuto a titolo di interessi fosse portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito.

La Corte costituzionale (Corte. Cost., 2 novembre 2000, n. 459), chiamata ripetutamente a pronunciarsi sulla conformità dell'art. 22 ai parametri costituzionali, ne ha dapprima dichiarato la parziale incostituzionalità, per contrasto con l'art. 36 Cost., nella misura in cui ne aveva previsto l'applicazione anche ai dipendenti privati, in servizio o quiescenza, oltre che a quelli pubblici escludendo, successivamente, la sua incostituzionalità, nella versione rimaneggiata dal precedente intervento, sotto il profilo della violazione degli artt. 2, 3, 4, 35 e 26 Cost. (Corte. Cost. 27 marzo 2003, n. 89), in ragione delle peculiarità della Pubblica Amministrazione sotto il profilo della conformazione della condotta, cui essa è tenuta, al rispetto dei principi di legalità, razionalità e buon andamento, cui è estranea ogni logica speculativa.

Conseguentemente, secondo il ragionamento seguito dalla Corte, non vi sarebbe necessità di predisporre, per il datore di lavoro pubblico, le medesime remore all'inadempimento previste per il datore privato, dovendosi escludere l'omogeneità di situazioni, anche in ragione delle regole diversificate e di maggior favore rispetto ai crediti comuni, stabilite dalla disciplina censurata per gli accessori dei crediti di lavoro pubblico.

L'interpretazione conservativa della Corte delle leggi trova, in evidenza, stura nelle ragioni di contenimento della spesa pubblica , significativamente pregiudicate dalla piana applicazione al settore pubblico dell'art. 429, comma 3, c.p.c. Le medesime esigenze hanno, nel tempo, giustificato un'interpretazione particolarmente ampia della disposizione in commento che è stata ritenuta estensibile ai dipendenti statali o di enti pubblici non economici, benché legati agli enti di appartenenza da rapporti privatistici, cioè conclusi nell'ambito del soggetto pubblico (Cass. civ., sez. lav., 17 agosto 2018, n. 20765), nonché ai crediti di natura risarcitoria (Cass. civ., sez. lav., 2 luglio 2020, n. 13624).

Crediti di natura previdenziale e assistenziale

Va, da ultimo, affrontato il tema degli accessori dei crediti di natura previdenziale e assistenziale. All'estensione del precetto ex art. 429, comma 3 c.p.c. osta l'inequivoco tenore letterale della norma, riferita ai soli crediti di lavoro, categoria nella quale non possono essere inclusi i crediti di natura previdenziale e assistenziale.

L'opzione, in ragione della incomparabilità delle due tipologie creditorie è stata, inizialmente, ritenuta giustificata e conforme ai parametri costituzionali (Corte Cost., 29 dicembre 1977, n. 162), salvi alcuni sporadici tentativi (v. Cass. civ., sez. un., 3 maggio 1986, n. 3004, Corte cost., 1° aprile 1988, n. 408), nel periodo successivo di temperare il rigore del principio, sulla base delle categorie del «modesto consumatore» e del «differenziale inflazionistico», sulla cui base ipotizzare, in via presuntiva, l'esistenza di un pregiudizio connesso al maggior costo in termini monetari, a causa del fenomeno inflazionistico, dei beni di consumo. Attraverso tale strada si è ritenuto che la prova del danno, per i creditori previdenziali, potesse essere dedotta in via presuntiva, a condizione che il credito non fosse di considerevole ammontare.

Una svolta epocale si registra, nella materia, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale (Corte cost., 12 aprile 1991, n. 156) che ha dichiarato l'illegittimità, per violazione degli artt. 3 e 38 cost., dell'art. 442 c.p.c., nella parte in cui non prevedeva che il giudice, nella sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, dovesse determinare, oltre agli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito, applicando l'indice dei prezzi calcolato dall'ISTAT per la scala mobile nel settore dell'industria e condannando al pagamento della somma relativa, con decorrenza dal giorno in cui si erano verificate le condizioni legali di responsabilità dell'istituto o dell'ente debitore per il risarcimento.

Le immediate ambasce circa il riflesso della pronuncia costituzionale sulla finanza pubblica si sono tradotte nell'intervento normativo di cui all'art. 16, comma 6, l. n. 412/1991, che ha previsto la corresponsione dei soli interessi legali sulle prestazioni dovute dagli enti gestori di previdenza e assistenza (v. Corte. cost., 27 aprile 1993, n. 196) a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda, prevedendo altresì un meccanismo di detrazione degli interessi erogati dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito.

Esclusa, dunque, l'automatica cumulabilità tra interessi e rivalutazione monetaria, il creditore previdenziale e assistenziale può eventualmente fornire prova del maggior danno subito per la diminuzione del valore del suo credito, in conseguenza del ritardato adempimento dell'ente ma, in tal caso, dall'eventuale risarcimento conseguito sarà portata in detrazione la somma liquidata a titolo di interessi legali dal dovuto al saldo effettivo (cd differenziale inflazionistico).

Quanto al meccanismo, la norma prevede la maturazione degli interessi automatici sul credito e la loro decorrenza dalla scadenza del termine di centoventi giorni dalla presentazione della domanda, coincidente con lo spatium deliberandi contemplato dall'art. 7 l. n. 533/1973, ovvero da momento antecedente, fatta salva la decorrenza anticipata dal momento in cui è intervenuto il provvedimento di rigetto della domanda amministrativa.

La domanda amministrativa presuppone, come statuito espressamente dalla norma, la completezza in tutti i suoi elementi, anche documentali, in assenza della quale gli accessori decorrono dalla data del suo perfezionamento.

Sotto il profilo della competenza per materia, l'art. 7, comma 3, n. 3-bis, c.p.c., devolve al Giudice di pace la cognizione in ordine agli accessori delle prestazioni previdenziali e assistenziali, con applicazione del rito previsto dagli artt. 311 e ss. c.p.c. e radicamento della competenza per territorio sulla base dei criteri ordinari di cui all'art. 19 c.p.c.

In conclusione

Il confronto tra il regime degli accessori (interessi e rivalutazione monetaria) rispettivamente contemplato per i crediti di lavoro privati, di lavoro pubblico e derivanti da rapporti di previdenza e assistenza rende, da un lato, manifesta l'evidente benevolenza legislativa nei confronti del lavoratore in ambito privato al quale, dall'art. 429, comma 3 c.p.c., è riservato un trattamento di favore che, attraverso l'automatica cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria, investe la sfera processuale, esonerandolo da oneri di allegazione e prova tipici del principio dispositivo, e quella sostanziale, assicurando regole più favorevoli relativamente, ad esempio, a decorrenza degli accessori e regime della mora.  

Ciò, come detto, trova fondamento nell'esigenza di conferire ai crediti di lavoro una tutela differenziata rispetto a quelli comuni, in ragione del precetto costituzionale ex art. 36 Cost. e nella coerenza funzionale della puntualità dell'adempimento del datore di lavoro e conservazione del valore di acquisto del credito all'obiettivo dell'esistenza libera e dignitosa, per sé e per la propria famiglia, che la retribuzione deve garantire.

Se tale regime differenziato, nell'ambito dei crediti privati derivanti da rapporto di lavoro, nell'accezione ermeneutica più ampia, resa dalla giurisprudenza, appare giustificabile nell'ottica di tutela dell'effettività e pienezza della tutela costituzionale, più complessa appare l'analisi del regime assicurato ai crediti di lavoro pubblico e a quelli di natura previdenziale e assistenziale, rispetto ai quali si è registrata, fin dai primi interventi legislativi, il ruolo antagonista delle esigenze di tutela della finanza pubblica, in considerazione della natura pubblica del datore di lavoro o dell'ente gestore.

La funzione correttiva della giurisprudenza, costituzionale e di legittimità, ha in parte temperato gli evidenti profili di disparità di trattamento, che nel caso dei crediti di lavoro pubblico non necessitano di particolare analisi, partecipando gli stessi dell'identica funzione di garanzia dell'esistenza libera e dignitosa, di cui all'art. 36 Cost.

Quanto ai crediti di previdenza e assistenza, se da un lato appare innegabile la diversità strutturale e funzionale rispetto ai crediti di lavoro, essi nondimeno, come nel caso degli arretrati sul trattamento pensionistico, rivestono l'innegabile funzione di concorrere al soddisfacimento di bisogni di natura primaria, giustificando quantomeno il reperimento di soluzioni di compromesso rispetto all'esigenza di contenimento della spesa pubblica.

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