Il danno da illecita dispersione delle ceneri del congiunto
30 Settembre 2024
Massima L’illecita dispersione delle ceneri del congiunto – in quanto impedisce la possibilità di compiere atti di culto e di pietà verso la salma, ledendo il diritto secondario di sepolcro – appare fonte di un danno non patrimoniale (il quale riveste natura sia dinamico-relazionale che morale) risarcibile in capo al familiare, che va quantificato con mero criterio equitativo ex art. 1226 c.c Il caso Del tutto peculiare appare l'illecito sul quale è chiamato a pronunciarsi il tribunale di Milano, in una vicenda che appare per certi versi romanzesca. Ad agire in giudizio è una donna che lamenta l'illecita dispersione delle ceneri del padre, attuata – da parte della propria madre - in assenza di volontà espressa in tal senso dal defunto. Di tale circostanza la figlia viene a conoscenza con molto ritardo, in quanto per oltre una ventina d'anni la madre le aveva fatto credere che l'urna contenente le ceneri fosse custodita presso la propria abitazione. In tal luogo la donna – residente in altra città – si reca più volte all'anno per onorare le spoglie del padre; dopo una decina d'anni la madre, trasferitasi presso altra abitazione, non consente l'accesso alla medesima al fine di onorare l'urna del defunto, salvo poi confessare che le ceneri non erano mai state conservate all'interno della stessa, ma erano state bensì da lei disperse. Una simile condotta, tale da impedire l'attività di culto e pietà nei confronti delle spoglie del defunto padre, viene considerata dalla figlia fonte di un danno non patrimoniale, del quale chiede il relativo risarcimento. La questione Il tribunale è chiamato a verificare se la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, avanzata a fronte dell’illecita dispersione delle ceneri del proprio caro, integri i presupposti previsti dal sistema restrittivo applicabile ai pregiudizi non aventi carattere economico. Le soluzioni giuridiche A fronte dell'inedita fattispecie che è chiamato a dirimere, il tribunale meneghino affronta le distinte questioni dell'an deabeatur e (una volta sciolta la prima in senso positivo) del quantum debeatur. 1. La risarcibilità del danno non patrimoniale Dopo aver ricostruito in maniera minuziosa l'intera vicenda, il giudice considera acclarato che la madre della ricorrente abbia disperso le ceneri del defunto marito, facendo credere alla figlia che le stesse fossero contenute nell'urna custodita presso la casa familiare, salvo rivelare a vent'anni di distanza la mistificazione messa in atto. Il tribunale – una volta riconosciuto come la dispersione delle ceneri sia avvenuta in violazione della normativa in materia, tale da integrare gli estremi del reato di cui all'art. 411 c.p. – rileva che tale illecito comportamento ha determinato «la lesione del diritto secondario di sepolcro», che permette al relativo titolare di accedere alla tomba per compiere gli atti di culto e di pietà verso le salme dei propri congiunti. A tale riguardo, il giudice osserva che «il culto dei defunti è una parte fondamentale della vita personale di ciascuno, con rilevanza ai sensi dell'art. 2 Cost.; la pratica del culto dei defunti è manifestazione di profondo radicamento antropologico e culturale e di millenaria consuetudine e, pertanto, costituisce inalienabile ed intangibile estrinsecazione della umana personalità». Posto che la dispersione delle ceneri impedisce irreversibilmente di onorare le spoglie mortali del defunto, risulta leso il «diritto inviolabile di compiere gli atti di culto e di pietà verso la salma del proprio congiunto». Nel caso di specie, tale lesione viene ritenuta particolarmente grave, in considerazione delle particolari circostanze acclarate: connotate dalla violazione della volontà del defunto, dalla falsità dell'urna cineraria, dal ruolo delle persone coinvolte e dai riflessi negativi prodotti dalla vicenda all'interno delle relazioni familiari. 2. Il quantum del pregiudizio A fronte dell'accertata lesione di un interesse costituzionalmente protetto, il tribunale ritiene di poter senz'altro riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale dalla stessa scaturito. Quest'ultimo investe entrambe le componenti del pregiudizio: in particolare, il danno dinamico-relazionale viene ritenuto comprovato dai ripetuti spostamenti compiuti dalla figlia per poter onorare il defunto padre. Quanto alla sofferenza interiore, sulla stessa influiscono vari elementi: la mancata possibilità di accesso all'urna protrattasi per anni, l'avvenuta conoscenza di aver onorato un'urna vuota, la consapevolezza della irredimibile perdita delle ceneri. Trattandosi di una fattispecie del tutto inedita, il giudice meneghino si affida all'utilizzo del mero criterio equitativo, approdando a liquidare a favore della ricorrente la somma complessiva di 50.000 euro. Osservazioni Il tribunale milanese si ritrova - una decina d'anni dopo aver affrontato una vicenda altrettanto peculiare (v. Trib. Milano 10 settembre 2013, n. 11401, in Resp. civ. prev. 2013, 1968, relativa alla mutilazione di cadavere avvenuta per omessa sorveglianza dei locali dell'obitorio) – ad esaminare un'inedita fattispecie ove la vittima lamenta un danno non patrimoniale correlato alla lesione del diritto inviolabile al rispetto e alla pietas verso la salma del congiunto. Nessuna esitazione emerge, da parte del giudice, quanto alla qualificazione in termini di diritto inviolabile della posizione colpita - ricostruito quale diritto secondario al sepolcro – in vista del radicamento della stessa in seno all'art. 2 Cost. La rilevanza del diritto leso rimane, per certi versi, a margine dell'analisi effettuata dal giudice, essendo questa rivolta piuttosto a esaminare minuziosamente i contenuti della posizione colpita, con l'obiettivo di porre in luce come gli stessi siano stati negativamente incisi dal comportamento illecito tenuto dalla convenuta. Più articolate, in punto di rilevanza costituzionale del diritto violato, appaiono le indicazioni espresse dalla S.C. in una sentenza (Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2023, n. 370) richiamata dal giudice ambrosiano: la quale – in relazione al diritto secondario al sepolcro – afferma che «l'interesse dei parenti ad avere un luogo per onorare il defunto, e l'interesse a che tale luogo non sia trasformato, è esplicazione di un diritto della personalità, o di una manifestazione del diritto alla personalità (ove si acceda alla tesi monistica) posto che il culto dei defunti è parte della vita personale di ciascuno, e dunque momento di sviluppo della personalità, cui concede rilevanza l'art. 2 della Costituzione». Nella pronuncia in esame l'applicabilità dell'art. 2059 c.c. viene data per acquisita, in ragione della valenza costituzionale della posizione colpita (precisandosi, a tale riguardo, che nella fattispecie oggetto della controversia si sarebbe potuta, altresì, ravvisare la ricorrenza di un caso esplicito previsto dalla legge, in considerazione dell'astratta ricorrenza degli estremi di un reato che il tribunale non ha mancato di evocare). Va altresì sottolineato che il tribunale non si interroga - nel rifarsi all'interpretazione costituzionalmente orientata della norma - sull'applicazione dell'ulteriore filtro riguardante la tollerabilità del pregiudizio: alla luce del quale si tratta di accertare, ai fini del risarcimento, la gravità della lesione e la serietà del pregiudizio dalla stessa scaturito. Sembra, in buona sostanza, che il superamento di tale soglia sia dato per scontato, in considerazione – da un lato – della particolare riprovevolezza del comportamento della convenuta, e - dall'altro lato – della rilevanza dell'attività compromessa in capo alla vittima, cui risulta definitivamente impedita la possibilità di compiere atti di culto e pietà nei confronti del defunto padre. Il pregiudizio non patrimoniale – che coinvolge entrambi i profili riconducibili a tale area – è rimesso per la sua quantificazione a una valutazione di carattere puramente equitativo, considerato che la peculiarità della vicenda esclude la possibilità di riferirsi a casi analoghi. Un termine di riferimento, al fine di valutare la congruità della somma risarcita, può - peraltro - essere ricavato da alcuni precedenti in cui è avvenuta un'illecita dispersione delle ceneri. Vediamo, a tale riguardo, che il tribunale di Busto Arsizio (Trib. Busto Arsizio, 31 gennaio 2005, in Resp. civ. prev., 2007, 1431) ha liquidato un importo di 15.000 euro ciascuno a tre fratelli, per il danno morale e relazionale patito a fronte dell'avvenuta trafugazione e dispersione delle ceneri dei propri genitori durante le operazioni di handling aeroportuale. In un caso di smarrimento della salma da parte del Comune, avvenuta nella fase di riesumazione, il tribunale di Treviso (Trib. Treviso, Sez. Castelfranco Veneto, 24 febbraio 2012, in Resp. civ. prev., 2013, 627) ha riconosciuto alla vedova e ai figli del defunto un danno non patrimoniale, la cui quantificazione viene calcolata in ragione dell'intervallo di tempo per il quale verrà a manifestarsi il mancato esercizio dell'attività di culto, correlato alla permanenza di vita dei danneggiati. In un altro caso di dispersione dell'urna della madre in fase di esumazione, le due figlie hanno ottenuto dai responsabili, a titolo di danno morale, la somma di 20.000 euro ciascuna (della relativa pronuncia del tribunale di Venezia dà conto Il Gazzettino,16 settembre 2022). La maggior consistenza della somma riconosciuta nella vicenda in esame – che emerge dal confronto con questi precedenti - può ben giustificarsi alla luce della peculiarità dei fatti. L'elaborata mistificazione messa in atto dalla convenuta evidenzia una particolare riprovevolezza del suo comportamento, la quale finisce inevitabilmente per riflettersi in una maggior sofferenza della vittima. |