L'imputabilità come presupposto per l’irrogazione di una sanzione

02 Ottobre 2024

Come è noto, il sistema sanzionatorio tributario ha subito significative modifiche durante la riforma fiscale. Nel presente contributo vengono illustrate le diverse posizioni della Cassazione e del legislatore riguardo alla punibilità dei contribuenti inadempienti che versano in situazioni di liquidità a causa di mancati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione.

La buona fede come causa di esenzione dalla punibilità

Preliminarmente occorre evidenziare che la previsione di un sistema sanzionatorio assolve ad una funzione general-preventiva, la quale si traduce nel dissuadere i consociati dal commettere atti contra ius.

In concreto, la sanzione rappresenta una punizione per una condotta assunta da un soggetto, sia esso consociato se si tratta di reati penali o contribuente in caso di violazione fiscali. La punizione, tuttavia, presenta quale presupposto una condotta sorretta dal dolo (volontà e consapevolezza di cagionare un danno) o, nella forma meno grave di responsabilità, dalla colpa. In particolare, il diritto tributario è caratterizzato da un sistema normativo a carattere precettivo-sanzionatorio (le norme contengono un precetto e in caso di violazione, sarà irrogata una sanzione). Tale meccanismo, tuttavia, risulta affievolito quando il contribuente assume delle condotte contra legem o fiscalmente rilevanti per ragioni a lui non imputabili.

Diversi sono i casi di esenzione da responsabilità del contribuente.

Si pensi all'ipotesi in cui una norma sia oggettivamente poco chiara oppure quando l'amministrazione abbia fornito la risposta ad un interpello, ma abbia adottato una condotta contraria (venire contra factum proprium).

In quest'ultimo caso, il contribuente che, nel seguire le indicazioni fornite dall'ufficio, si ritrovi ad assumere una condotta fiscalmente rilevante non può essere punito, in quanto la violazione non è addebitabile ad una sua responsabilità. Stesso discorso, in effetti, può essere effettuato in caso di overruling: i mutamenti di orientamento giurisprudenziale non possono produrre effetti pregiudizievoli nei confronti di quel contribuente che ha rispettato il decisum (per una disamina generale si rinvia a M. Helfer, Per una pena pecuniaria presente nell'ordinamento giuridico. Uno sguardo all'esperienza tedesca e austriaca, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2024, 45, 1).

Verso un fisco “amico”

Quanto detto assume rilevanza, in particolare, in un periodo storico caratterizzato da una forte spinta verso la solidarizzazione del rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Da intendersi non più solo come dovere del contribuente di corrispondere una somma di denaro a titolo di “contributo”, ma anche come diritto del contribuente a veder tutelata la propria situazione giuridico soggettiva e a non subire conseguenze pregiudizievoli per una condotta a lui non imputabile.

D'altronde la riforma fiscale ha rafforzato questa considerazione del fisco dai “tratti umani” introducendo una serie di istituti. Si pensi alla tassazione consensuale sotto forma di concordato preventivo biennale, all'adempimento collaborativo, al bonus in favore di donne e lavoratori disoccupati.

Sono tutte manifestazioni della volontà di ridurre le distanze tra fisco e contribuente. Apparirebbe, allora, anacronistica l'idea di sanzionare un contribuente per una condotta a lui non imputabile.

Il decisum della Corte di Cassazione

Induce ad un'attenta riflessione l'ultimo orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, Sez. Trib. del 9 maggio 2024 n. 12078, che ha asserito che “il ritardo nel pagamento da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti del contribuente che versi in crisi di liquidità non è causa di esclusione dalla punibilità”.

In concreto, se il contribuente versa in stato di liquidità, a causa dei mancati pagamenti da parte della P. A. che lo rendono inadempiente ai propri obblighi tributari, non è “scusato” dall'ordinamento giuridico. Come si legge nella sentenza, i giudici di massimo grado sottolineano che sono cause di esclusione della punibilità la causa di forza maggiore o il caso fortuito da intendersi come eventi imprevedibili e fuori dal controllo umano.

Non vi rientrerebbero, allora, i mancati pagamenti della PA in quanto “situazioni ricorrenti”. I giudici, dunque, fanno appello alla consuetudine come ragione giustificatrice per attribuire la responsabilità al contribuente. Quanto detto significa che il contribuente dovrebbe accantonare dei risparmi per i casi di “consuetudinario ritardo” nei pagamenti da parte della P.A.

I giudici riconducono al rischio di impresa tale obbligo dell'imprenditore il quale dovrebbe prevedere tali condotte e adoperarsi per risultare collaborativo in termini economici con lo Stato. Si richiederebbe al contribuente una condotta inesigibile.

Tale orientamento è apparso subito in controtendenza rispetto alla volontà di ridurre le distanze tra le parti e favorire un adempimento spontaneo. Il contribuente, punito, per cause a lui non imputabili sarà sicuramente meno indotto ad adempiere spontaneamente.

La riforma fiscale

Merita una particolare menzione il nuovo comma 3-bis, dell'art. 10, introdotto dalla riforma fiscale all'interno del d.lgs. n. 74/2000, dal d.lgs. n. 87/2024, il quale dispone che: “I reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell'autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”. Al fine di fornire la prova liberatoria, il contribuente deve dimostrare il mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte della Pubblica Amministrazione. L'onere della prova, dunque, è posto a carico del contribuente, il quale è chiamato a dimostrare l'inadempimento o il tardivo adempimento della P.A.

È stata, dunque, introdotta una casistica comprendente le cause di non punibilità facendovi rientrare anche “il mancato pagamento di crediti certi ed esigibili” (in generale si rinvia a F. Martin, Causa di non punibilità e reati tributari: inammissibile l'interpretazione analogica, in questo Portale, 15 maggio 2024; G. Durante, Sanzioni tributarie più leggere per chi evade il fisco, finalmente equiparati agli standard europei. Penalizzata la recidiva, in questo Portale, 28 febbraio 2024).

Una casistica che si rivela fondamentale in un sistema tributario che, come detto in premessa, è caratterizzato da una normativa precettivo-sanzionatoria. Si cerca, in tal modo, di circoscrivere le ipotesi di non colpevolezza del contribuente. Si rammenta, inoltre, che l'intero sistema sanzionatorio è stato interessato dalla riforma fiscale che ha ridimensionato la gravità delle sanzioni da infliggere al contribuente cercando di attuare il principio di proporzionalità. L'obiettivo è l'armonizzazione dell'ordinamento giuridico e, come risulta dagli ultimi decreti attuativi, creare un Testo Unico che entrerà in vigore il 1 gennaio 2026.

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