Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE nel diritto tributario
Gianluigi Morlini
23 Ottobre 2024
Muovendo dalla premessa che il rinvio pregiudiziale trova nel diritto tributario una delle sue materie elettive, il contributo chiarisce i rapporti tra rinvio stesso, interpretazione unionalmente orientata e disapplicazione della norma interna incompatibile; si sofferma sui dati statistici relativi all'utilizzazione dell'istituto, tratteggiando i parametri per la redazione dell'ordinanza di rinvio; evidenzia la relazione tra rinvio pregiudiziale e rimessione alla Corte costituzionale; traccia un parallelo tra giudizio della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Rinvio pregiudiziale anche in tributario
Come è noto, in applicazione dell'articolo 19 comma 3, lettera b), TUE (Trattato dell'Unione Europea), l'articolo 267 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea), attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dei trattati (lettera a), nonché sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti da istituzioni, organi ed organismi dell'Unione (lettera b), in seguito alla richiesta di un organo giurisdizionale di uno stato membro.
Poiché il rinvio può essere disposto da qualunque giudice nazionale, purché si tratti di organo giurisdizionale di uno Stato membro, ed in qualunque fase processuale, nessun dubbio vi è mai stato in ordine al fatto che esso possa essere disposto anche dalle vecchie Commissioni Tributarie, oggi Corti di Giustizia Tributaria, oltre che dalla Sezione Tributaria della Cassazione: la natura di organo giurisdizionale anche delle vecchie Commissioni Tributarie è infatti sempre stata pacifica e mai revocata in dubbio.
Secondo il chiaro dettato normativo dell'articolo 267 TFUE, quando la questione è sollevata davanti a un organo giurisdizionale, esso “può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione”, ma se la questione “è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte”.
Discende che vi è possibilità per le attuali Corti di Giustizia Tributaria (in quanto organi non di ultima istanza) ed obbligo per la Cassazione sezione Tributaria (in quanto organo di ultima istanza), di attivare la procedura di rinvio ai sensi dell'art. 267 TFUE.
La violazione dell'obbligo di rinvio da parte del giudice di ultima istanza espone lo Stato alla responsabilità per danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto dell'Unione (cfr. sentenza Kobler, Corte Giust. UE, 30 settembre 2003 causa C-224/01; successivamente, Corte Giust. UE, 24 novembre 2011 causa C-379/10, proprio contro lo Stato italiano), oltre che alla possibilità per la Commissione di attivare un ricorso per infrazione a carico dello Stato membro per violazione dell'art. 267 comma 3 TFUE.
Alla stregua dei princìpi generali elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, l'obbligo di rinvio da parte del giudice di ultima istanza non è configurabile in soli tre casi: questione materialmente identica ad una già decisa dalla Corte su fattispecie analoga; questione irrilevante per dirimere la controversia; questione che non alimenta alcuna problematica interpretativa, perché «la corretta interpretazione del diritto dell'Unione s'impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi» (giurisprudenza consolidata sin dalla sentenza Cilfit caso C-283/81 del 6 ottobre 1982; più di recente, cfr. sentenza 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, nonché Corte Giust. UE, Grande Sezione, 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi s.p.a. c.Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., Caso C-561/19).
Il parametro di più delicata individuazione è all'evidenza l'ultimo, e cioè quello relativo alla cosiddetta teoria dell'atto chiaro, che non necessita di interpretazione poiché non pone dubbi interpretativi: infatti, l'evidenza della soluzione deve essere tale presso tutti gli stati membri (così come richiesto dalle citate sentenze Cilfit al punto 16 ed RFI al punto 40), con conseguente assenza di ogni minimo dubbio interpretativo (punto 51 sentenza Association France Nature Environnement), tenendo altresì conto che «l'assenza di dubbi in tal senso necessita di prova circostanziata» (punto 52 sentenza Association France Nature Environnement).
La giurisprudenza di legittimità ha osservato che, inevitabilmente, spetta al Giudice nazionale il compito di valutare se la corretta applicazione del diritto dell'Unione si imponga con un'evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio, e di conseguenza di decidere se astenersi dal sottoporre alla CGUE una questione di interpretazione del diritto dell'Unione (Cass. Sez. Un. n. 24107/2020).
In ogni caso, è sempre il giudice nazionale il dominus e protagonista della procedura, perché ad egli solo spetta, su stimolo delle parti o d'ufficio, in qualunque grado del giudizio, decidere se la causa faccia sorgere questioni che richiedano un'interpretazione o un esame della validità delle disposizioni del diritto dell'Unione essenziali ai fini della soluzione della controversia: è quindi in linea di principio escluso sia che la decisione di attivare o non attivare il rinvio possa di per sé essere soggetta a scrutinio in successive fasi del giudizio nazionale, sia che la Corte di giustizia possa sindacare la motivazione del provvedimento di rinvio e la pertinenza delle questioni ivi contenute.
A seguito del rinvio, la Corte adita è quindi tenuta a decidere, salvo le seguenti eccezioni: controversie fittizie; questioni puramente ipotetiche; questioni non obiettivamente necessarie al giudice nazionale per risolvere la controversia pendente; indicazioni troppo scarne in fatto e diritto nell'ordinanza di rinvio per definire l'oggetto della controversia; atto di cui è richiesta l'interpretazione non configurabile come atto adottato da istituzioni od organi dell'Unione; norme dell'Unione oggetto di rinvio non applicabili alla fattispecie concreta (ex pluribus, cfr. Corte Giust. UE, 10 maggio 2017, causa C-690/15, Wenceslas de Lobkowicz).
A livello descrittivo può poi ritenersi che la Corte, se pronuncia sulla interpretazione dei trattati (lettera a. articolo 267 TFUE) ha una funzione sostanzialmente nomofilattica, mentre invece se pronuncia sulla validità degli atti compiuti dalle istituzioni (lettera b. articolo 267 TFUE) ha una funzione sostanzialmente di vaglio di legittimità, con effetto equivalente all'annullamento dell'atto nel caso di accoglimento.
Rinvio pregiudiziale soprattutto in tributario
Se il rinvio costituisce una procedura incidentale non contenziosa, finalizzata ad una applicazione del diritto dell'Unione uniforme in tutti i paesi membri, in modo che esso abbia ovunque la stessa efficacia, svolgendo altresì in maniera indiretta un controllo sulla compatibilità delle norme nazionali con il diritto dell'Unione, massimo è allora il rilievo dell'istituto nel diritto tributario.
La legislazione tributaria dell'Unione ha infatti la finalità di favorire la libera circolazione di servizi, beni, imprese, lavoratori e capitali, eliminando le distorsioni della concorrenza.
Pertanto, pur se non sono (ancora) disciplinate dal diritto unionale le imposte sui redditi, sul patrimonio e più in generale tutte quelle indirette non armonizzate, molteplici sono comunque le imposte (già) disciplinate da direttive unionali, tra le quali accise, conferimenti di capitali nelle società, veicoli industriali ed uso infrastrutture stradali, esenzioni relative all'imposizione di società collegate con sede in diversi stati membri, franchigie fiscali transnazionali in materie quali importazione temporanee di autoveicoli e trasferimento di residenza.
È però notoriamente l'IVA l'imposta armonizzata per eccellenza e sulla quale la giurisprudenza unionale ha sviluppato innumerevoli arresti, tra i quali particolare menzione meritano certamente l'insegnamento sulla non vulnerabilità del principio di neutralità, nonché quello sulla tutela del contraddittorio endoprocedimentale a pena di invalidità dell'atto.
Così, da una prima angolazione la Corte di Giustizia in sede di rinvio ha statuito che il principio di neutralità non può essere vulnerato da sanzioni eccessive per violazioni formali, le quali non devono pregiudicare il diritto alla detrazione, ma possono al più comportare una sanzione pecuniaria proporzionata all'inadempimento, posto che l'articolo 178, lettera a) della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, che ha modificato la cd. sesta direttiva n. 77/388 del 17/5/1977 ed anche il suo articolo 18, indica il possesso della fattura come unico requisito per l'esistenza del diritto a detrazione (cfr. ex pluribus sentenza Ecotrade 8 maggio 2008 causa C 95-6/07, resa proprio contro l'Agenzia delle Entrate italiana; sentenza 12 luglio 2012 causa C-284/11; sentenza Idexx 11 dicembre 2014 causa C 590/13, a seguito di rinvio da parte della Corte di cassazione). Pertanto, la giurisprudenza nazionale ha gradualmente superato la precedente restrittiva tesi della Cassazione, che per anni aveva ritenuto che il diritto alla compensazione IVA fosse irrimediabilmente travolto dalla violazione dell'obbligo formale dell'omessa presentazione della dichiarazione IVA exart. 8 d.p.r. n. 322/1998, ed ha invece aderito all'opposto principio unionale relativo all'affrancazione del diritto alla detrazione dal rispetto degli obblighi dichiarativi (tra le prime pronunce in tal senso, cfr. Cass. n. 11671/2013; ora il principio è convalidato anche dalle Sezioni Unite, a composizione del conflitto, con la pronuncia n. 17757/2016).
Da una seconda angolazione poi, la Corte di Giustizia, sempre in sede di rinvio pregiudiziale, ha affermato l'esistenza del generale diritto del contribuente al contraddittorio endoprocedimentale, a pena di invalidità dell'atto impositivo, nel caso di tributi armonizzati, quali appunto l'IVA, così superando la precedente tesi della Corte di cassazione relativa all'inesistenza nell'ordinamento nazionale di una norma generale di tutela del contraddittorio e della partecipazione. La giurisprudenza nazionale ha così dovuto prendere atto dell'esistenza del generale diritto al contraddittorio per i tributi armonizzati, anche al di fuori della specifica norma di cui all'articolo 12 l. n. 212/2000, che si riferisce ai soli accertamenti effettuati mediante accessi nei locali aziendali; pur se ha limitato la rilevanza concreta del principio, onerando il contribuente della prova di resistenza, e cioè subordinando la statuizione sull'invalidità dell'atto di accertamento alla enunciazione delle ragioni che si sarebbero fatte valere nel contraddittorio omesso ed alla valutazione di non pretestuosità di tali ragioni (giurisprudenza consolidata a partire da Cass., sez. un., n. 24823/2015).
A livello processuale, mette conto segnalare che il Giudice tributario, a seguito del rinvio pregiudiziale, disposto con ordinanza, deve sospendere il processo ex articolo 295 c.p.c., trattandosi di norma che, anche in ragione del generale rinvio di cui all'articolo 1 comma 2 d.lgs. n. 546/1992, s'applica al processo tributario (Cass. n. 21765/2017, Cass. n. 22673/2015, Cass. n. 16615/2015, Cass. n. 1867/2012, Cass. sez. un. n. 14814/2008).
Invece, il processo tributario non può essere sospeso in attesa della definizione di una questione sottoposta alla Corte di Giustizia nell'ambito di una diversa controversia: ciò non è infatti possibile né ai sensi dell'art. 39 comma 1 d.lgs. n. 546/1992, che regola i rapporti tra processo tributario e processi non tributari, cd. pregiudizialità esterna, e prevede la sospensione solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione sullo stato o sulla capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio; né ai sensi dell'art. 39 comma 1-bis d.lgs. n. 546/1992, che regola esclusivamente i rapporti tra processi tributari, cd. pregiudizialità interna.
Per tali motivi, il Giudice del procedimento tributario, laddove debba affrontare una questione già oggetto di rinvio alla CGUE da parte di altro organo giurisdizionale, può solo o disporre nuovo e ulteriore rinvio pregiudiziale, o disporre rinvio d'udienza (Cass. n. 999/2016).
Rinvio pregiudiziale… ma non solo
Come osservato da autorevole Dottrina, nel contrasto tra la normativa nazionale e quella unionale, il giudice tributario deve dare la prevalenza a quest'ultima, anche disapplicando il diritto nazionale ove non sia possibile una interpretazione unionalmente orientata della normativa interna, interpretazione che deve sempre essere preferita rispetto alla disapplicazione della normativa statale.
Quindi, in via prioritaria il giudice tributario deve interpretare la norma interna in modo conforme al precetto sovranazionale, e se ciò non è possibile deve in subordine disapplicare la normativa confliggente con il diritto europeo (cfr. Corte Giust. UE, 5 ottobre 2004, C-397/01 e C-403/01, Pfeiffer; Corte Giust. UE, 24 gennaio 2012, C-282/10, Dominguez; Corte Giust. UE, Grande sezione, 17 aprile 2018, C 414/16, Egenberger), consentendo la immediata trasposizione del diritto unionale nel diritto interno, in base ai principi ormai consolidati della preminenza del primo sul secondo, sanciti anche a livello costituzionale dagli articoli 11 e 117 comma 1: solo in caso di dubbio sulla reale portata di una norma può, o deve se giudice di ultima istanza, chiedere chiarimenti alla Corte di Giustizia in ordine all'interpretazione della stessa (cfr. Cass. n. 12108/2018 in ordine alla necessità di valutare la possibilità di disapplicare la norma interna prima di operare il rinvio; cfr. Cass. n. 299/2020 per un concreto caso di interpretazione di una norma in conformità al diritto unionale di cui alla Direttiva 2008/6/CE del 20 febbraio 2008, nonché Cass. n. 24297/2019 per un ulteriore concreto caso di interpretazione di una norma in conformità al diritto unionale di cui alla Direttiva del Consiglio 2003/49/CE).
Infatti, già dalla celebre sentenza Simmenthal 9 marzo 1978 causa C-106/77, la Corte di Giustizia ha sancito l'obbligo del giudice nazionale di garantire la piena efficacia del diritto europeo, «disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere od attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale»; e parimenti con la sentenza Francovich nelle cause riunite C-6/90 e C-9/90, la Corte ha affermato come non sia prerogativa assoluta dei giudici della CGUE quella di interpretare ed applicare le norme eurounitarie, bensì «è compito dei giudici nazionali, incaricati di applicare, nell'ambito delle proprie competenze, le norme del diritto comunitario, garantire la piena efficacia di tali norme e tutelare i diritti attributi ai singoli».
Anche la Corte Costituzionale, a partire dalla notissima sentenza Granital n. 170/1984, ha affermato la necessità per il giudice, in presenza di contrasto fra norma interna e norma eurounitaria, di disapplicare la prima, applicando direttamente la norma eurounitaria provvista di effetto diretto; il tutto facendo salva la teoria dei cosiddetti ‘controlimiti' all'ingresso di norme in contrasto con i princìpi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, teoria per la prima volta accennata da Corte Cost. n. 183/1983 e successivamente sviluppata nel cd. caso Taricco da Corte Cost. n. 24/2017, secondo cui «il diritto dell'Unione e le sentenze della Corte di giustizia, che ne specificano il significato ai fini di una uniforme applicazione, non possono interpretarsi nel senso di imporre allo stato membro la rinuncia ai princìpi supremi del suo ordine costituzionale».
Consegue che il giudice nazionale, nella sua qualità di giudice unionale, partecipa ad ogni effetto alla costruzione del diritto dell'Unione.
Pertanto e conclusivamente sul punto, il primato e l'efficacia diretta del diritto dell'Unione vanno sanciti in via principale con un'interpretazione del diritto interno in conformità ai precetti del diritto unionale; in via subordinata disapplicando, ovvero non applicando, il diritto interno incompatibile con il diritto unionale; solo in caso di dubbio, chiedendo con rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia quale sia la corretta interpretazione delle norme unionali.
Rinvio pregiudiziale: qualche numero
Con un icastica espressione è stato detto che il rinvio pregiudiziale è divenuto “vittima del suo successo”: il vertiginoso aumento delle procedure di rinvio azionate negli anni, da un lato attesta infatti l'oggettivo successo dell'istituto, ma dall'altro costituisce una seria sfida alla sua funzionalità, poiché i tempi di evasione delle istanze sono aumentati sensibilmente e la Corte di Giustizia è chiamata ora ad individuare dei correttivi concreti per rimediare a tale situazione, evitando che i tempi del rinvio pregiudichino il diritto alla ragionevole durata del processo, o sconsiglino il rinvio stresso proprio per evitare di vulnerare tale diritto.
Una lettura della relazione annuale 2023 della Corte di Giustizia relativa all'attività giudiziaria, l'ultima disponibile, conferma l'assunto.
Nella miniera di informazioni offerte, merita almeno un cenno il fatto che, nell'ultimo quinquennio 2019-2023, le domande pregiudiziali rappresentano il 63,1% delle cause promosse avanti alla Corte di Giustizia (grafico II); l'Italia è il secondo paese per numero di rinvii promossi, dietro solo alla Germania, con 266 quesiti nel quinquennio, e nell'ultimo anno tutti gli stati membri, nessuno escluso, hanno proposto quesiti pregiudiziali (grafico V); le cause decise dalla Corte in materia di rinvii pregiudiziale rappresentano il 67,94% del complessivo numero delle definizioni (grafico VII); la durata media delle cause pregiudiziali nel quinquennio è aumentata da 15,5 mesi a 16,8 mesi, pur se resta inferiore a quella dei ricorsi diretti (grafico XIV); correlativamente, le procedure pendenti relative a rinvii pregiudiziali nel quinquennio sono aumentate da 749 a 760 (grafico XV).
Uscendo dalla visuale del solo ultimo quinquennio e rivolgendo uno sguardo al dato storico dell'intera attività della Corte di Giustizia in materia di rinvii pregiudiziali, l'esplosione della diffusione dell'istituto è ancora più agevolmente apprezzabile: il primo rinvio in assoluto è avvenuto nel 1961 da parte di un giudice olandese, ed il primo rinvio italiano è avvenuto nel 1964; i rinvii totali hanno poi superato quota 100 per anno nel 1978, quota 200 per anno nel 1993, quota 300 per anno nel 2009, quota 400 per anno nel 2011, quota 500 per anno nel 2017, quota 600 per anno nel 2019 (grafici XXXI e XXII), con un aumento più geometrico che proporzionale, per poi calare leggermente nel successivo periodo COVID.
Muovendo all'angolo visuale italiano, dei 1770 rinvii finora censiti, 7 provengono dalla Corte Costituzionale, 196 dalla Corte di cassazione, 278 dal Consiglio di stato, 1298 dai rimanenti organi giurisdizionali, a conferma che tutti gli organi giurisdizionali partecipano al cd. "dialogo tra le Corti" (grafico XXIII).
Focalizzando infine l'attenzione sulla specifica materia tributaria, è possibile trarre conferma di quanto più sopra detto in ordine alla sua centralità, posto che su quarantadue settori individuati, la “fiscalità” è la terza per numero, dietro solo a “libertà-sicurezza-giustizia”, “proprietà intellettuale”, relativamente alle domande pregiudiziali proposte (grafico III) ed all'oggetto delle sentenze rese (grafico X).
Rinvio pregiudiziale: qualche suggerimento
Non è necessario indugiare sul concetto, invero autoevidente, dell'importanza di una adeguata e corretta modalità di effettuazione del rinvio pregiudiziale, se non altro perché, come diceva il grande fisico, storico e filosofo statunitense Thomas Kuhn, “le risposte che si ricevono dipendono dalle domande che si fanno”, e perché, parafrasando un noto e raffinato aforisma di Voltaire, occorre giudicare una Corte “dalle questioni che pone piuttosto che dalle risposte che offre”.
Per meglio comprendere come formulare il quesito pregiudiziale, può essere utile però svolgere tre premesse sul ruolo della Corte, sul funzionamento del rinvio e sul rapporto tra giudice nazionale e CGUE.
Va innanzitutto chiarito, da un primo angolo visuale, che la Corte di Giustizia non è autorizzata ad interpretare il diritto nazionale, né a decidere in merito alla sua conformità al diritto europeo, né a risolvere questioni di fatto tra le parti, ma deve solamente determinare, sia pure con efficacia vincolante per il giudice a quo salvo un ulteriore rinvio per sollecitare un ripensamento o un chiarimento, i criteri d'interpretazione delle disposizioni unionali in questione, perché il giudice nazionale possa poi valutare la compatibilità tra la legislazione interna e quella unionale: si parla allora di funzione di interpretazione del diritto, non già di applicazione del diritto, ed il classico dispositivo della Corte è quindi quello a tenore del quale il diritto unionale ‘osta', ovvero ‘non osta', ad una normativa nazionale che prevede una determinata situazione.
In ogni caso, la Corte ha il potere di estrarre da una questione formulata in modo imperfetto dal giudice nazionale, le questioni che riguardano l'interpretazione del Trattato: il principio è infatti stato espresso sin dalla sentenza 6/1964 nel caso Flaminio Costa c. Enel, ove il remittente giudice conciliatore di Milano aveva chiesto di accertare la compatibilità di una normativa interna rispetto al diritto europeo, mentre la Corte si è limitata a fornire l'interpretazione del diritto europeo sul punto; ed è stato più di recente ribadito da Corte Giust. UE, 23 gennaio 2018, C-79/16 F. Hoffmann c. La Rioche Ltd e altri, ove la Corte ha riformulato il quesito proposto dal Consiglio di Stato, così come in passato la riformulazione era stata operata da Corte Giust. UE, 15 luglio 2021 C 709/20.
Inoltre e da un secondo angolo visuale, il "dialogo pregiudiziale" con la Corte è strutturato in modo che la vicenda attivata dal giudice nazionale esce dall'ambito della specifica controversia, non limitandosi nemmeno ad avere rilievo all'interno dei confini nazionali, ma andando oltre, per porsi come tassello della piena, armonica ed uniforme interpretazione del diritto dell'Unione, essendo il principio di diritto esteso a tutta l'UE: per questo l'ordinanza di rinvio non ha solo valenza endoprocessuale, e per questo nel procedimento possono intervenire tutti gli Stati membri e la Commissione.
Da una terza angolazione poi, nel rapporto tra giudice nazionale e Corte di Giustizia, sono residuali i tratti di gerarchia ed è invece centrale la regola dell'integrazione e della cooperazione tecnica tra il giudice del procedimento principale ed il giudice specializzato nell'interpretazione del diritto dell'UE: pertanto, la pronunzia resa in sede pregiudiziale dalla Corte, che ha natura dichiarativa ed effetto normalmente retroattivo, non esaurisce il potere decisorio del giudice nazionale a quo, che è tenuto a coniugare la decisione della Corte UE con il diritto interno, operando secondo i meccanismi dell'interpretazione conforme o della disapplicazione, che la Corte costituzionale preferisce chiamare non applicazione, della norma interna a seguito dell'interpretazione della norma unionale resa dalla Corte. Consegue che, quando termina il ruolo della Corte in sede pregiudiziale, comincia, o meglio ‘ricomincia' quello del giudice nazionale, il quale deve trarre dalla pronunzia resa dal giudice UE le conseguenze concrete.
Tutto ciò premesso, va osservato che la forma del rinvio pregiudiziale è normata dall'articolo 94 del Regolamento di procedura della CGUE, prevedendo semplicemente che esso debba contenere: l'illustrazione sommaria dell'oggetto della controversia e dei fatti rilevanti; il contenuto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie, e se del caso la giurisprudenza nazionale in materia; l'illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull'interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell'Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale.
Queste scarne previsioni sono però state arricchite dalla stessa Corte di Giustizia, la quale ha emanato norme integrative, dapprima chiamate Nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali (aggiornata dal testo pubblicato su GUUE C 160/1 del 28/5/2011) e poi Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (ora aggiornate dal testo pubblicato su GU UE 9/10/2024, C/2024/6008)
Da tale normativa secondaria emerge che il rinvio può essere disposto in qualunque momento procedimentale, ma comunque in una fase nella quale il giudice del rinvio sia in grado di definire con sufficiente precisione il contesto di fatto e di diritto del procedimento principale, nonché le questioni giuridiche che esso solleva (artt. 13 Raccomandazioni e 19 Nota).
La domanda di pronuncia pregiudiziale “può rivestire qualunque forma” (artt. 20 Nota e 14 Raccomandazioni), ma sono ovviamente necessari indicazione del giudice remittente, parti del procedimento, data e firma (cfr. art. 23 Raccomandazioni, Allegato alle Raccomandazioni e articolo 43 Nota); deve essere dattilografata e preferibilmente con paragrafi e pagine numerate (art. 20 Raccomandazioni e 22 Nota); indipendentemente dal fatto che sia sollevata d'ufficio o su istanza delle parti, è opportuno sia effettuata in esito a contraddittorio con le parti (art. 13 Raccomandazioni e 19 Nota); deve contenere il quesito in una parte distinta e chiaramente individuata, in modo autosufficiente rispetto alla motivazione (articoli 19 Raccomandazioni e 24 Nota).
Il rinvio pregiudiziale deve essere fatto con «redazione semplice, chiara e precisa, senza elementi superflui» (art. 21 Nota), tendenzialmente non superando “una decina di pagine” (art. 22 Nota), e può anche indicare sinteticamente il punto di vista del Giudice remittente (art. 18 Raccomandazioni e 23 Nota).
Inoltre, è possibile richiedere il procedimento accelerato o d'urgenza (cfr. artt. 35 Raccomandazioni e 33 e ss. Nota).
Rinvio pregiudiziale e Corte costituzionale
La materia del rapporto tra rinvio pregiudiziale e Corte costituzionale meriterebbe, per complessità e rilevanza, una trattazione a parte.
In questa sede possono però svolgersi almeno due veloci considerazioni.
La prima è che, dopo un iniziale atteggiamento di forte prudenza, da anni ormai la Corte costituzionale ha ritenuto di potere sollevare essa stessa questioni pregiudiziali, e come più sopra visto lo ha già fatto più volte.
Da questo angolo visuale, notissimo ed inequivoco è il pronunciamento di C. cost. nn. 102/2008 e 103/2008, le prime pronunce che, discostandosi dal precedente orientamento di segno contrario, hanno ritenuto che anche il giudice delle leggi è tenuto a ricorrere allo strumento del rinvio pregiudiziale, così inaugurando un nuovo corso nell'interpretazione dei rapporti tra diritto nazionale e diritto dell'Unione europea: infatti, argomenta la Corte costituzionale che qualora non si ritenesse legittimata al rinvio nei giudizi in via d'azione, si provocherebbe «un'inaccettabile lesione del generale interesse all'uniforme applicazione del diritto comunitario quale interpretato dalla Corte di giustizia».
La seconda considerazione prende le mosse dalla nota pronuncia di C. Cost. n. 269/2017, oggetto di serrate critiche dottrinali, la quale ha ritenuto, sia pure in sede di obiter, che il giudice nazionale, allorquando sia in discussione il preteso contrasto fra una norma interna e un principio fondamentale immediatamente precettivo contemplato dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea riproduttivo di un valore costituzionale (cd. doppia pregiudizialità), possa sollevare questione di legittimità costituzionale per ottenere la caducazione della norma interna ritenuta contrastante con la Carta.
Ad oltre sette anni dalla sentenza, può dirsi che il timore che la pronuncia impedisse al giudice comune di disapplicare la norma interna contrastante con la Carta UE, è stato superato dai successivi arresti della Consulta, che hanno mitigato di molto l'interpretazione data alla pronuncia ed hanno invece chiarito come il Giudice abbia la possibilità di percorrere tutte le tre strade astrattamente possibili, cioè disapplicazione, rinvio alla Corte costituzionale o rinvio alla Corte di Giustizia, verificando in concreto quale sia la strada preferibile, trattandosi di un «concorso di rimedi giurisdizionali» capace di arricchire «gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali» (C. Cost. n. 20/2019, C. Cost. n. 63/2019, C. Cost., n. 117/2019).
Rinvio pregiudiziale e CEDU
A livello descrittivo può essere forse interessante osservare che, pur nella nota differenza strutturale, sostanziale e funzionale, tra la Corte di Giustizia di Lussemburgo e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, anche nella materia del diritto tributario molti dei temi oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sono altresì stati oggetto di pronunce da parte della Corte EDU; e ciò si spiega poiché i princìpi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sono in parte sovrapponibili a quelli della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Così, in particolare, la Corte di Strasburgo si è occupata di tributario con riferimento ai princìpi di proporzionalità delle sanzioni, ne bis in idem, tutela del diritto di proprietà e giusto processo, tutti temi classici nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo.
Ad esempio e con riferimento alla proporzionalità delle sanzioni, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha riconosciuto la violazione dell'art. 1 Protocollo 1 della Convenzione che tutela il diritto di proprietà, per la sproporzione della sanzione integrata dal cumulo di confisca ed ammenda, irrogata a seguito della mancata denuncia di una somma di denaro al passaggio della frontiera, condannando lo Stato francese al risarcimento del danno (Corte EDU 26/2/2009, Grifhorst c. France); e come detto, il principio della proporzionalità delle sanzioni è sancito anche dalla Corte di Giustizia (cfr. Corte Giust. UE, 26 novembre 2015, C-487/14).
Con riferimento invece al ne bis in idem, il pensiero va innanzitutto al noto caso italiano Grande Stevens, ove si è statuito che il principio, previsto dall'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione, impedisce l'applicazione di una sanzione penale e di una sanzione afflittiva, sebbene qualificata come amministrativa dall'ordinamento nazionale, a carico dello stesso soggetto e per una condotta sostanzialmente identica; e si è accertato che vìola il divieto previsto la disciplina italiana in materia di manipolazione del mercato, in quanto le previste sanzioni amministrative possono essere accompagnate da sanzioni penali riguardanti la medesima fattispecie (Corte EDU, sez. II, 4 marzo 2014, n. 18640 Grande Stevens c. Italia).
Come noto, il principio del ne bis in idem è d'altro canto sancito anche dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, ed è quindi tutelato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. Corte Giust. UE, 26 febbraio 2013, C-617/10, Akerberg Fransson; nonché Corte Giust. UE, 5 aprile 2017, C-217/15 e C-350/15, Orsi e Baldetti).
Con riferimento poi al diritto di proprietà, la Corte ha ritenuto violato il precetto tutelato dall'articolo 1 Protocollo 1 della Convenzione, nel caso in cui, disposto un sequestro doganale di un camion, dopo l'esito del giudizio favorevole al contribuente sulla contestata evasione dei dazi e stante l'impossibilità di restituzione del camion a seguito del furto durante la custodia della Dogana, al proprietario è stata riconosciuta solo un'indennità: la Corte ha quindi condannato lo Stato ad un ulteriore risarcimento del danno per coprire il valore commerciale del bene (Corte EDU 17 febbraio 2009, Akan c. Turquie)
Con riferimento infine al giusto processo, la Corte ha statuito che l'assenza di pubblica udienza od il divieto di prova testimoniale nel processo tributario, sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non derivi un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile (Corte EDU 23 gennaio 2006, Jussila c. Finland).
In conclusione
Tutti coloro che operano a vario titolo nel mondo del diritto da più di qualche lustro, ai tempi della loro formazione non hanno svolto adeguati approfondimenti del diritto sovranazionale, che nei piani di studio universitari occupava una parte marginale e quasi di nicchia; ed anche nel mondo dei concorsi pubblici aperti ai laureati in giurisprudenza, compresi i concorsi per l'ingresso in magistratura e per l'abilitazione all'esercizio dell'avvocatura, il diritto sovranazionale non è mai stato una materia centrale.
Ora non è più così. E non può più essere così.
Basta un semplice sillogismo per provarlo: se oggi, innegabilmente, il sistema giuridico è multilivello e caratterizzato da una pluralità di fonti; se oggi il giudice è un giudice europeo e primo garante dell'attuazione del diritto unionale; consegue necessariamente che oggi per il Giudice e per l'Avvocato una profonda conoscenza del diritto unionale è necessaria.
E questo è ancora più vero per il giudice tributario e per tutti i giuristi che si occupano della materia tributaria, perché le fonti normative unionali sono sempre più numerose e precettive, e perché la giurisprudenza unionale è sempre più precisa e conformante: come anche più sopra si è cercato di evidenziare, discettare di IVA, e più in generale di tributi armonizzati, senza rapportarsi con il diritto UE, è semplicemente velleitario, prima ancora che profondamente sbagliato.
Il piano di discussione delle tematiche giuridiche, massimamente quelle di diritto tributario, richiede una piena conoscenza di questioni che non possono più essere inquadrate con la prospettiva meramente interna o meramente unionale, richiedendo invece un esame congiunto e complementare nel quale i due plessi giurisdizionali sono chiamati a dialogare, a confrontarsi, a collaborare in quanto parte di un unico sistema; e l'orizzonte è quello nel quale i partecipanti a questo sistema proteiforme, id est i giudici nazionali ed i giudici sovranazionali, non siano collocati su un binario di supremazia dell'uno sull'altro, ma su un binario di cooperazione e collaborazione costruttiva.
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