Tributario

Giudizio di revocazione

Liliana Peruzzu
01 Dicembre 2015

Nell'ambito del processo tributario la revocazione trova una specifica regolamentazione all'interno degli artt. 64 e ss. del D.Lgs. n. 546 del 1992, che tratteggiano una disciplina in parte mutuata dal codice di rito, ma che si distingue rispetto ad essa per alcuni tratti peculiari.
Inquadramento

L'istituto della revocazione, nell'ambito del processo tributario, trova la sua declinazione all'interno dell'art. 64 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ai sensi del quale: “Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell'art. 395 del codice di procedura civile”.

Come emerge dal tenore letterale della normativa in rassegna, la revocazione si propone come un mezzo di impugnazione sussidiario rispetto ad altre forme previste dall'ordinamento (e.g., l'appello), nonché come un rimedio eccezionale che consente, nei casi previsti, di valorizzare profili di fatto rispetto a sentenze che, secondo le regole ordinarie, non sarebbero più impugnabili per valutazioni di merito ovvero in conseguenza alla formazione di un giudicato sulla controversia.

La funzione della revocazione è quindi quella di introdurre un ulteriore grado di giudizio diretto ad eliminare e sostituire la sentenza impugnata (considerata “ingiusta” e non già “illegittima”) con un'altra di pari grado che, però, possa definirsi “giusta” e basata su una corretta ricostruzione degli elementi di fatto della vicenda processuale (ex plurimis RUSSO P., Manuale di diritto tributario – Il processo tributario, II ed., Milano, 2013; MARCHESELLI A., Contenzioso tributario, Assago, 2015; SANTI DI PAOLA N., Trattato del nuovo contenzioso tributario, Rimini, 2013).

La revocazione si propone, inoltre, alla stregua di un gravame a critica vincolata, esperibile entro i limiti meglio definiti attraverso il richiamo alla disciplina civilistica dell'istituto. L'art. 395 cit. prevede infatti la possibilità di elevare il ricorso per revocazione in sei ipotesi tassative:

  1. se la sentenza è l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra;
  2. se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;
  3. se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;
  4. se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Questo errore è rilevabile quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e - tanto nell'uno quanto nell'altro caso - se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;
  5. se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
  6. se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

In ambito tributario è, poi, previsto un ulteriore limite (non espressamente contemplato nel rito civile), ovvero che le sentenze delle Commissioni Tributarie possano essere impugnate unicamente nel caso in cui abbiano ad oggetto giudizi di fatto.

Tale previsione non implica, però, che non possano revocarsi le sentenze di rito, o che possano essere oggetto di revocazione solamente le sentenze di merito. In effetti, come correttamente osservato da alcuni autori (cfr. RUSSO P., op. cit.), le sentenze di rito possono, comunque, involgere questioni di fatto, così come le sentenze di merito possono, potenzialmente, statuire unicamente su questioni di diritto.

In evidenza: casi di esclusione della revocazione
Il ricorso per revocazione non è proponibile in relazione alle sentenze emesse a conclusione del giudizio di ottemperanza, ex art. 70, comma 7, D.Lgs. n. 546/1992. L'azione revocatoria è, altresì, preclusa anche rispetto ad altri provvedimenti quali le ordinanze a contenuto decisorio (e.g., ordinanze di estinzione dei giudizi) e i decreti emessi dal giudice tributario.

Da ultimo il giudizio revocatorio, incardinato a seguito della proposizione della relativa azione, consta in via generale di due fasi, una rescindente e una rescissoria.
Revocazione ordinaria e revocazione straordinaria

A seconda dei motivi dedotti all'interno dell'impugnazione è possibile distinguere tra:

  • revocazione ordinaria: qualora si eccepiscano vizi “palesi” di cui ai n. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c., aventi ad oggetto fatti o giudicati già noti o conoscibili sin dal momento di pubblicazione della sentenza;
  • revocazione straordinaria: nel caso in cui vengano sollevati vizi “occulti” della sentenza, di cui ai punti nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c., non conoscibili al momento di emanazione della medesima.

Tale distinzione rileva sotto il profilo dei termini entro i quali può essere esperita la relativa azione di revocazione.

Nel primo caso, infatti, il ricorso per revocazione si presenta alla stregua di un mezzo di impugnazione “ordinario”, la cui interposizione è preclusa in presenza di un giudicato formale. Nelle ipotesi di revocazione ordinaria, dunque, l'impugnazione deve essere, necessariamente, proposta, secondo la regola generale, entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza, ovvero entro il termine “lungo” di un anno (qualora si tratti di pronunce rese al termine di giudizi incardinati prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge n. 69 del 2009) o di sei mesi dal deposito della stessa (cfr. art. 38, comma 3, D.Lgs. n. 546 del 1992).

Nel secondo caso, invece, l'azione revocatoria si presenta alla stregua di un mezzo di gravame “straordinario”, idoneo ad intaccare la forza del giudicato. Nei casi di revocazione straordinaria, infatti, il termine di sessanta giorni decorre dalla scoperta del dolo o della falsità dichiarata o dal recupero del documento o dal passaggio in giudicato della sentenza.

Sotto questo profilo, assume, dunque, una fondamentale importanza il corretto inquadramento dei vizi dedotti attraverso il ricorso per revocazione. Giurisprudenza e dottrina hanno, pertanto, tentato di fornire alcune indicazioni in ordine alle fattispecie rientranti nella casistica delineata dalla norma civilistica. In particolare, secondo quelli che risultano, allo stato, gli orientamenti consolidati:

  • il vizio di cui al n. 1 dell'art. 395 c.p.c. (i.e., il cd. “dolo revocatorio”) può ravvisarsi in tutti i casi in cui una parte assuma comportamento contrario al dovere di leale collaborazione di cui all'art. 10 della legge n. 212 del 2000, ovvero al dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c., ponendo in essere un'attività intenzionalmente fraudolenta, diretta ad alterare l'equità del processo o tramite artifizi o raggiri, tali da pregiudicare o sviare la difesa avversaria e impedire al giudice l'accertamento della verità (ex multis, Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2008, n. 23866). Non integra, invece, gli estremi del dolo revocatorio la mera scorrettezza o l'affermazione di fatti mendaci, stante il potere/dovere di controparte di contestare quanto addotto ex adverso;
  • il vizio di cui al n. 2 dell'art. 395 c.p.c. (i.e., “prove false”) si concretizza, invece, laddove il riconoscimento della “falsità” della prova emerga in un momento successivo al deposito della sentenza impugnata e qualora la stessa abbia costituito una componente determinante nella formazione del convincimento del giudice (Cass. 5 febbraio 1975, n. 426);
  • quanto al vizio di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c., lo stesso si configura qualora il rinvenimento di documenti decisivi ai fini della soluzione della controversia e preesistenti avvenga in tempi successivi rispetto al deposito della sentenza e riguardi, direttamente, fatti di causa già allegati (Cass. civ., sez. un., 22 novembre 1984, n. 5990). La tardiva produzione dei medesimi non deve, inoltre, essere imputabile alla parte che non ha potuto produrli in corso di giudizio per cause di forza maggiore o fatto dell'avversario;
  • per quanto concerne il motivo individuato al n. 4, avente ad oggetto il cd. “errore revocatorio”, occorre precisare che lo stesso deve presentarsi alla stregua di un “errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività” (Cass. civ., sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267). In altre parole, tale errore deve sostanziarsi in una falsa rappresentazione della realtà rilevabile sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza la necessità di ricorrere all'utilizzazione di argomentazioni induttive e/o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi. Siffatto errore deve, quindi, emergere in relazione ad un atto o ad un documento dedotto nell'ambito del giudizio che ha originato la sentenza e deve essere essenziale, ovvero involgere un profilo decisivo della stessa. Non deve aver costituito un fatto controverso del giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, poiché, in tal caso, il mezzo di impugnazione più appropriato verrebbe a coincidere con il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.;
  • quanto poi al motivo indicato al n. 5 dell'art. 365 c.p.c., è consentito proporre l'azione di revocazione in caso di contrasto tra la sentenza impugnata e un precedente giudicato avente ad oggetto i medesimi presupposti di fatto e di diritto. Anche in tal caso il giudizio di revocazione non ha ad oggetto una questione di rito ovvero un error in procedendo, ma pur sempre una questione di fatto, rispetto all'esistenza stessa di un giudicato precedente alla pronuncia della sentenza. Il "precedente giudicato" a cui fa riferimento l'art. 395, n. 5 deve essere inoltre inteso come un giudicato esterno, perché è rispetto ad esso che si può prospettare la situazione di possibile estraneità al dibattito processuale che giustifica il ricorso al rimedio della revocazione, invece che a quello delle impugnazioni ordinarie (Cass. civ., sez. un., 10 luglio 2012, n. 11508);
  • con riferimento, infine, al motivo indicato al n. 6 dell'art. 365 c.p.c. (i.e., dolo del giudice), dovrebbe escludersi la revocabilità della sentenza qualora si ravvisi che il giudice non abbia deciso sulla base di una ricostruzione dei fatti dolosamente alterata, bensì sulla base del doloso stravolgimento delle norme applicabili e del loro significato coerentemente con la circostanza che il ricorso per revocazione è un mezzo di impugnazione sussidiaria rispetto ad altre forme di gravame come il ricorso per cassazione (che sarà l'unico mezzo utilizzabile nel caso in cui si intenda impugnare la sentenza del di secondo grado per un vizio relativo alla soluzione di una quaestio iuris (RUSSO P., op. cit.).
Revocazione delle sentenze della Commissione Tributaria Provinciale

Le sentenze pronunciate a conclusione del primo grado di giudizio sono suscettibili di essere impugnate, alternativamente, tramite appello ovvero mediante ricorso per revocazione.

I motivi sottesi all'appello tuttavia si pongono in un rapporto di continenza rispetto a quelli posti alla base dell'azione revocatoria, siano essi relativi a vizi “palesi” della sentenza ovvero a vizi “occulti” della stessa, con la conseguenza che, in pendenza dei termini per la proposizione dell'appello, non può essere esperita l'azione revocatoria.

Ciò posto, ne deriva quale logica conseguenza l'impossibilità di proporre, avverso le sentenze del giudice di prime cure, la revocazione ordinaria, per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c., in considerazione del fatto che tale mezzo di impugnazione è utilizzabile solo in pendenza dei termini previsti per l'appello che, come accennato, prevale rispetto al ricorso per revocazione.

La revocazione delle sentenze di primo grado può, dunque, essere richiesta, unicamente, in relazione ai motivi individuati ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c..

In tali casi però le conseguenze giuridiche connesse alla realizzazione della fattispecie che integra il motivo revocatorio possono diversificarsi a seconda della fase processuale in cui vanno ad incasellarsi:

  • se la scoperta del vizio avviene prima della sentenza del giudice di primo grado e, in particolare, prima della chiusura della discussione, la parte può e deve portare all'attenzione del giudice la scoperta ovvero l'esistenza del vizio revocatorio (cfr. RUSSO P., op. cit., p. 327). Ciò comporta, in capo al giudice, l'obbligo di disporre un rinvio oppure di rimettere in termini la parte per consentire un'eventuale e ulteriore attività istruttoria, al fine di permettere una valutazione più compiuta in ordine alla sussistenza e alla rilevanza del vizio addotto (se diversamente la scoperta avviene tra la chiusura della fase di discussione e prima che inizi a decorrere il termine per la proposizione dell'appello, ovviamente, bisogna attendere per proporre l'appello, in luogo della revocazione). Tale ipotesi è riscontrabile solo in relazione ai vizi indicati ai nn. 1, 2 e 3, posto che negli altri casi (individuati al n. 6) la statuizione contenuta nella sentenza è elemento integrativo della fattispecie revocatoria;


  • se, invece, la fattispecie si realizza dopo la pronuncia della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e in pendenza dei termini per la proposizione dell'appello, ai sensi dell'art. 64, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, i termini per l'esperimento di tale mezzo di impugnazione sono prorogati, dal giorno dell'avvenimento, in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso;
  • se, infine, la scoperta del vizio avviene dopo la presentazione dell'appello, occorre distinguere a seconda che:
    1. l'appello involga anche la questione di fatto, rispetto alla quale vengono in rilievo il vizio, i documenti etc...;
    2. l'appello non riguardi il punto di fatto.

Nel primo caso la revocazione dovrebbe essere esclusa, stante la possibilità di dedurre nel giudizio di appello i nuovi elementi emersi sulla questione già assegnata all'esame del giudice del gravame. Nel secondo caso, invece, nulla osta alla proposizione del ricorso per revocazione su un punto della sentenza che non è stato oggetto di impugnazione.

Revocazione delle sentenze dalla Commissione Tributaria Regionale

Contro le sentenze emesse dalla Commissione Tributaria Regionale, la parte soccombente ha la possibilità di esperire il ricorso per cassazione e/o il ricorso per revocazione (ordinaria o straordinaria).

In pendenza dei termini per l'impugnativa è quindi possibile elevare avverso la medesima sentenza, contemporaneamente o alternativamente, entrambi i mezzi di impugnazione, sulla base dei motivi diversi e specifici che caratterizzano ciascun mezzo di gravame. A ben vedere, infatti, sia il ricorso per cassazione che quello per revocazione sono mezzi di impugnazione della sentenza a critica vincolata, esperibili solo nelle ipotesi tassativamente previste dalle norme di legge. La revocazione, in effetti, può essere utilizzata per vizi attinenti al merito della controversia, mentre il ricorso per cassazione involge questioni relative alla violazione o falsa applicazione di norme processuali o sostanziali (i.e., error in procedendo ed error in iudicando).

I rispettivi motivi, dunque, si pongono in un rapporto di complementarità e concorrenza (cd. rapporto di “non interferenza”) e non già di continenza come nel caso dell'appello.

Da ciò ne deriva che, avverso le sentenze del giudice di secondo grado, possono essere proposte sia la revocazione straordinaria che quella ordinaria, posto che le sentenze emesse in secondo grado possono essere impugnate davanti alla Cassazione solo per questioni di legittimità e non in relazione a questioni di fatto che non hanno, dunque, altra tutela, se non quella della revocazione.

Per quanto riguarda invece il coordinamento tra i due mezzi di impugnazione, occorre precisare che, nonostante il carattere pregiudiziale del giudizio revocatorio rispetto quello per cassazione, la proposizione dell'azione di revocazione non comporta, sic et simpliciter, la sospensione dei termini per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza o del relativo procedimento (cfr. art. 398, comma 4, c.p.c.).

Il giudice davanti a cui è proposta la revocazione può tuttavia, su istanza di parte, disporre la sospensione dell'uno o dell'altro termine fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta.

In evidenza: Corte di Cassazione
È ormai consolidato l'orientamento giurisprudenziale che tende a riconoscere alla notifica del ricorso per revocazione contro la sentenza emessa dal giudice di seconde cure l'effetto di far decorrere il termine “breve” di sessanta giorni per la proposizione del ricorso dinanzi alla Suprema Corte (cfr. per esempio Cass. civ., sez. trib., 19 febbraio 2014, n. 3938).

Ricorso e svolgimento del processo

A norma dell'art. 65, D.Lgs. 546/1992, il ricorso per revocazione deve essere presentato e depositato secondo le forme declinate per il ricorso in appello, ovvero secondo le modalità definite dall'art. 53, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, che rinvia a sua volta alle norme dettate per il giudizio di primo grado, ovvero agli artt. 20, commi 1 e 2, e 22, commi da 1 a 3, del D.Lgs. 546 cit.

Il ricorso deve essere dunque presentato dinanzi alla Commissione Tributaria (Provinciale o Regionale) che ha pronunciato la sentenza impugnata e deve contenere, a pena di inammissibilità:

  • gli elementi previsti dall'art. 53, comma 1, ossia l'indicazione della Commissione Tributaria adita, del ricorrente e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l'esposizione sommaria dei fatti e l'oggetto della domanda;
  • l'indicazione specifica del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 del codice di procedura civile e del giorno della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento.

La prova della sentenza passata in giudicato che accerta il dolo del giudice deve essere fornita mediante la sua produzione in copia autentica (anche non congiuntamente al ricorso).

Il ricorso inoltre deve essere sottoscritto a norma dell'art. 18, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, dal difensore del ricorrente con l'indicazione dell'incarico (fatto salvo il caso in cui il ricorso sia sottoscritto personalmente a norma dell'art. 12, comma 5).

Trova, inoltre, applicazione anche nel processo tributario la prescrizione contenuta nell'art. 398, comma 3, c.p.c., ai sensi del quale nel giudizio di revocazione non ha più efficacia la procura rilasciata nel giudizio che ha portato alla pronuncia della sentenza revocanda e ne deve dunque essere conferita una nuova e specifica per il giudizio di revocazione (TESAURO F., Manuale del processo tributario, II ed., 2014, p. 281).

Una volta incardinato il giudizio, le varie fasi sono scandite dalle norme dettate dal legislatore per il procedimento dinanzi alla Commissione Tributaria adita (cfr. art. 66 del D.Lgs. n. 546/1992).

Secondo l'opinione prevalente, coerentemente con le disposizioni recate dall'art. 402, comma 1, c.p.c. (ai sensi del quale la sentenza che pronuncia la revocazione decide il merito della causa), il giudizio revocatorio si articolerebbe in due fasi:

  1. iudicium rescindens
  2. iudicium rescissorium

La prima fase, ovvero quella rescindente, consiste nell'esame dei motivi dedotti a sostegno della domanda e si conclude con una pronuncia di tipo processuale. In tale fase, se il giudice accerta che il vizio non sussiste non procede all'annullamento della sentenza impugnata. Diversamente, laddove valuti la fondatezza della doglianza proposta, annulla la sentenza impugnata.

La seconda fase, avente natura rescissoria, è puramente eventuale e ha lo stesso oggetto della sentenza rescissa, ovvero il rapporto sostanziale controverso. Tale fase si conclude, quindi, con una sentenza che decide la controversia nel merito, sostituendosi alla sentenza impugnata, scevra dal vizio che la invalidava.

Revocazione delle sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione

Il legislatore ha previsto, in deroga al principio fondamentale vigente nel nostro ordinamento per cui le sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione non sono suscettibili di impugnazione, la possibilità, per la parte soccombente, di interporre istanza di revocazione ai sensi degli artt. 391-bis e 391-ter c.p.c..

Più precisamente:

  • l'art. 391-bis c.p.c., ammette la proponibilità dell'azione revocatoria avverso le sentenze pronunciate dalla Suprema Corte, in relazione all'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.;
  • l'art. 391-ter c.p.c., prevede la possibilità di impugnare per revocazione, per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c., le sentenze della Corte di Cassazione che abbiano deciso la causa nel merito.

Quanto agli aspetti procedurali, occorre distinguere tra le due ipotesi di cui supra.

Più precisamente la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso per revocazione per errore materiale, ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., può, alternativamente:

  • dichiarare con ordinanza l'inammissibilità del ricorso;
  • decidere il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.

Nel caso diverso in cui, invece, la Corte sia chiamata ad esprimersi in merito ad un'istanza di revocazione elevata ai sensi dell'art. 391-ter c.p.c. può:

  • decidere nel merito laddove non si ravvisi la necessità di ulteriori accertamenti di fatto;
  • ovvero, disposta la revocazione, può rinviare la causa al giudice che abbia pronunciato la sentenza oggetto di giudizio in Cassazione.

In ogni caso, ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., la proposizione dell'azione revocatoria non osta al passaggio in giudicato della sentenza che abbia respinto il ricorso per cassazione. Secondo alcuni autori, dovrebbe quindi ritenersi che passi in giudicato anche la sentenza di cassazione che accolga il ricorso senza rinvio ex art. 384, comma 1, c.p.c. Inoltre, a seguito della proposizione dell'azione revocatoria, non è ammessa la sospensione dell'esecuzione della sentenza passata in giudicato, né tantomeno è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo.

Tali disposizioni sono applicabili, per effetto del rinvio di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, anche al processo tributario (CONSOLO C. - GLENDI C., Commentario breve alle leggi del processo tributario, III ed., Padova, 2012, 784).

Mezzi di impugnazione

L'art. 67, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che, avverso la sentenza che decide il giudizio di revocazione, siano esperibili gli stessi mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione

La norma riproduce i contenuti di cui all'art. 403 c.p.c. senza però escludere la possibilità di proporre un nuovo ricorso per revocazione avverso la sentenza pronunciata nell'ambito del giudizio revocatorio. Il principio revocatio revocationis non valet, contenuto nell'art. 403 c.p.c., sembrerebbe, quindi, secondo opinione diffusa, non applicabile al processo tributario: come argomentato da alcuni autori, infatti, le disposizioni del codice di procedura civile sono trasponibili nell'ambito del processo tributario nella misura in cui vi sia una lacuna, circostanza che, nel caso di specie, posta la formulazione dell'art. 67 cit., non sembrerebbe sussistere.

In evidenza: contrasto di giudicati
Non sembrerebbe, invece, possibile la revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione per contrasto di giudicati (rectius, in relazione al motivo di cui al n. 5 dell'art. 395 cit.). La possibilità di proporre il rimedio della revocazione sulla base di tale motivo, sebbene riconosciuta da parte della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. I, 22 agosto 2006, n. 18234), è, infatti, negata dalle più recenti pronunce della medesima Corte (cfr., Cass. civ., sez. un. 10 luglio 2012, n. 11508).


Le novità introdotte dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156

Con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, il Legislatore delegato è intervenuto (in attuazione dell'art. 10, co. 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23; c.d. delega fiscale), in modifica di diversi istituti processuali, declinati dal D.Lgs. n. 546 del 1992, tra cui figura, tra l'altro, anche la revocazione delle sentenze tributarie.

In particolare, la “novella” normativa ha interessato il testo degli artt. 64 e 65 del D.Lgs. n. 546/1992, recanti, rispettivamente, la disciplina delle “Sentenze revocabili e dei motivi di revocazione” nonché la proposizione della relativa impugnazione.

Quanto all'art. 64 cit., il Legislatore ha proceduto, ad una “riformulazione” di detta disposizione, eliminando l'inciso che limita la revocazione alle sentenze delle Commissioni Tributarie che “involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate” e prevedendo, più semplicemente (e analogamente a quanto disposto dall'art. 395 c.p.c.) che (dal 1° gennaio 2016): “Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado dalle Commissioni Tributarie possono essere impugnate ai sensi dell'art. 395 del codice di procedura civile”. Ciò, al fine precipuo di “eliminare le incertezze interpretative a cui aveva dato luogo il testo vigente” (cfr., relazione illustrativa di accompagnamento al decreto).


Per quanto concerne, invece, il menzionato art. 65, il Legislatore delegato ha, poi, proceduto, in attuazione degli obiettivi di “generalizzazione” ed “uniformazione” degli strumenti di tutela cautelare, all'aggiunta di un nuovo comma (i.e., comma 3-bis) che riconosce, espressamente, un'estensione della tutela cautelare al giudizio di revocazione della sentenza tributaria.


A partire dal 1° gennaio 2016, dunque, sarà possibile, per il contribuente richiedere:

  • la sospensione dell'esecutività della sentenza revocanda, previa dimostrazione della sussistenza di “gravi e fondati motivi” (analogamente a quanto previsto dall'art. 283 c.p.c.);
  • ovvero, la sospensione dell'esecuzione dell'atto, previa dimostrazione dell'esistenza di un “danno grave e irreparabile” (così come richiesto dall'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992).

A sua volta, anche l'Amministrazione finanziaria potrà chiedere la sospensione dell'esecuzione della sentenza di condanna, in tema di rimborso delle imposte già pagate dal contribuente.
In ogni caso, la relativa richiesta dovrà essere presentata nelle forme e nei modi previsti per la proposizione dell'istanza di sospensione in grado di appello (ai sensi del modificato art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992).

Si è, infatti, ritenuto preferibile, con precipuo rifermento al processo tributario, applicare la tutela cautelare prevista per l'appello (dall'art. 52 cit.), non ostandovi ragioni per la più limitata tutela di cui all'art. 62-bis (contenente la disciplina specifica del procedimento cautelare in pendenza di giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione), tenuto conto, sul punto, che la revocazione, differentemente dal ricorso per cassazione, è decisa nel merito dalla stessa Commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Riferimenti

Normativi

D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156

art. 64, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

art. 395 c.p.c.

Giurisprudenza

Cass. civ., sez. VI-T, 4 gennaio 2016, n. 1

Cass. civ., sez. trib., 19 febbraio 2014, n. 3938

Cass. civ., sez. un., 10 luglio 2012, n. 11508

Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2008, n. 23866

Cass. civ., sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267

Cass. civ., sez. I, 22 agosto 2006, n. 18234

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario