Il rugby è un'attività pericolosa?

28 Ottobre 2024

Il rugby praticato all'interno di una struttura scolastica nell'ora di educazione fisica può ritenersi attività pericolosa?

Massima

Non è riconducibile ad un'attività pericolosa ex art. 2050 c.c. l'infortunio sportivo subito da uno studente all'interno della struttura scolastica nel corso della lezione di educazione fisica, durante la quale era stata simulata una fase del gioco del rugby, non trattandosi di una partita, bensì di esercizi di approccio a tale sport, dei quali vanno rilevati - conformemente alla ratio dell'art. 33, ult. comma Cost. (introdotto dalla l. Cost. n. 1/2023) - gli aspetti intrinsecamente educativi (oltre che ludici) di valorizzazione del gioco di squadra e della fiducia nei compagni, di attenzione alle regole e al rispetto dell'avversario, di accrescimento nei giovani della sicurezza di sé per il raggiungimento di obiettivi.

Il caso

Una studentessa conveniva in giudizio un istituto scolastico ed il Ministero dell'Istruzione e dell'Università della Ricerca perché ne fosse riconosciuta la responsabilità solidale, con conseguente condanna al risarcimento, nella causazione del danno da lei subito a seguito di un infortunio durante la lezione di educazione fisica, in occasione della quale, mentre stava eseguendo un esercizio consistente nel giocare a rugby con i compagni di scuola in un cortile interno della palestra, a seguito di una colluttazione con la squadra avversaria, che cercava di sottrarle la palla di mano, veniva strattonata cadendo rovinosamente all'indietro e sbattendo la nuca contro il pavimento in cemento.

Il Tribunale rigettava la domanda e la sentenza era confermata anche dalla Corte di Appello.

Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità hanno confermato la decisione di seconde cure, rilevando che l'attività sportiva non è - in linea generale - una attività pericolosa, potendo essere considerata tale solo là dove abbia caratteristiche intrinseche di pericolosità ovvero presenti passaggi di particolare difficoltà, caratteristica esclusa nella fattispecie esaminata, trattandosi di esercizi di approccio all'attività del rugby durante l'ora di educazione fisica a scuola, cui sono connessi aspetti intrinsecamente educativi.

La questione

Il gioco del rugby può ritenersi attività pericolosa?

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità hanno riconosciuto la presunzione di colpa nell'esercizio di attività pericolose ( Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2016, n. 10422).

La forma di responsabilità di cui all'art. 2050 c.c. si è sviluppata in particolar modo nell'ambito dell'attività d'impresa. La maggior parte delle attività imprenditoriali, infatti, comporta rischi che gravano su un numero potenzialmente indeterminato di soggetti. L'alternativa che si prospetta è, pertanto, la seguente: rimuovere i suddetti rischi, impedendo l'esercizio delle attività da cui originano oppure consentirne lo svolgimento, prevedendo che i danni eventualmente prodotti vengano sopportati da chi le esercita.

Pertanto, l'alta probabilità di cagionare danni connessa all'attività “pericolosa” giustifica il particolare regime di imputazione della responsabilità previsto dall'art. 2050 c.c.

La fattispecie normativa, infatti, si discosta dai generali canoni della responsabilità aquiliana e viene considerata «aggravata per colpa presunta» o, in base agli orientamenti attualmente prevalenti, una responsabilità «per colpa lievissima» o «oggettiva», in ragione dell'unica (e onerosa) prova liberatoria che l'art. 2050 c.c. consente di offrire, consistente nella dimostrazione di avere adottato «tutte le misure idonee a evitare il danno».

Per delimitare i confini della applicabilità dell'art. 2050 c.c.,  si devono prendere in considerazione solo quelle di per sé potenzialmente dannose in ragione della pericolosità ad esse connaturata ed insita nel loro esercizio, a prescindere dal fatto dell'uomo.

In via di principio si osserva, in conformità a una giurisprudenza assolutamente pacifica, che costituiscono attività pericolose ai sensi dell'art. 2050 c.c. non solo le attività che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche le diverse attività che comportino la rilevante probabilità del verificarsi del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi usati, non solo nel caso di danno che sia conseguenza di un'azione, ma anche nell'ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell'attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza.

In altri termini, agli effetti dell'art. 2050 c.c.,  è da reputarsi “pericolosa” l'attività che venga cosi qualificata dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali (attività pericolosa tipica), nonché quella che (attività pericolosa atipica), per sua stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati o per la sua spiccata potenzialità offensiva, comporti la rilevante possibilità di un danno (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2010, n. 22822). 

Dalle attività pericolose devono essere tenute distinte quelle normalmente innocue, che possono diventare pericolose per la condotta di chi la esercita o organizza o per errori o colpe nell'uso dei mezzi adoperati e che comportano una (eventuale) responsabilità secondo la regola generale dell'art. 2043 c.c. ( Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2004, n. 7916). In altri termini, nel caso di una condotta pericolosa si tratta di verificare il grado di diligenza o di perizia dell'operatore: diversamente, nel caso di attività pericolosa, dovrà aversi riguardo alla natura della medesima o al grado di efficienza dei mezzi utilizzati (Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 2005, n. 20357).

La presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa e, cioè, con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: pertanto non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo possa produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisca elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate (Cass. civ., sez. VI, 19 maggio 2022, n. 16170: in applicazione del suddetto principio, la S.C., con riguardo all'infortunio occorso al cliente di una vetreria in conseguenza della caduta di una cassa di vetro, ha escluso che la condotta asseritamente posta in essere dalla vittima – consistente nel posizionare, al di sotto della suddetta cassa, alcuni pezzetti di legno per evitarne la caduta – fosse idonea ad assorbire l'eziologia dell'evento, atteso che il danneggiante non aveva fornito la prova di aver adottato tutte le precauzioni necessarie ad evitare il ribaltamento della cassa, segnatamente di averla appoggiata sull'apposito cavalletto di sostegno).

Quanto all'attività sportiva, per la Corte di cassazione per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile, si deve verificare se vi sia o meno un «collegamento funzionale» tra gioco ed evento lesivo:

  • tale collegamento è escluso se l'atto esorbita dalle caratteristiche concrete del gioco ed è compiuto al solo scopo di ledere l'incolumità dell'avversario;
  • sussiste sempre la responsabilità dell'agente per atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se, per assurdo, non vengono violate le regole dell'attività svolta;
  • la responsabilità non sussiste se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività, a meno che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolge in concreto o con la qualità delle persone che vi partecipano;
  • perché sorga la responsabilità in capo al precettore per il danno prodotto all'allievo durante lo svolgimento di una gara scolastica è necessaria la prova dell'illiceità del fatto che ha cagionato il danno, compresa la colpa del danneggiante (Cass. civ., sez. III, 8 agosto 2002, n. 12012).

Osservazioni

La pratica dell'attività sportiva, anche se svolta a livello amatoriale o ludico, comporta sempre un pericolo di subire una qualche lesione.

La scuola, che nei suoi programmi di educazione fisica include la pratica sportiva e lo svolgimento di gare tra contrapposte squadre di studenti, nel caso in cui uno studente si faccia male nel corso della partita, può andare incontro a responsabilità contrattuale o a responsabilità da fatto illecito.

Queste forme di responsabilità presuppongono la colpa della scuola, salve le diversità che si presentano nei due casi a proposito della distribuzione dell'onere della prova.

Esemplificando, il danno si può considerare imputabile a colpa della scuola se quest'ultima non cura di assicurare che la gara si tenga su un adatto campo di giuoco; che gli studenti siano precedentemente istruiti sulle regole da osservare e sul dovere di tenere un comportamento in primo luogo leale, quale si confà ad un'attività prevalentemente ginnica e non agonistica; che i contendenti siano provvisti dell'abbigliamento e di quanto serve ad evitare che derivi loro un danno fisico dagli incidenti che più frequentemente si verificano in tali gare; che la partita si svolga in presenza di un insegnante, che sappia e sia posto in condizioni non solo di arbitrarla, ma di controllare e dissuadere da comportamenti troppo esuberanti o cattivi.

Per contro, se pure anche in occasione di gare tra studenti si possono verificare degli incidenti, non è possibile considerare questo tipo di programma di educazione fisica alla stregua di una attività caratterizzata dal pericolo di danni alla persona e che perciò richiami il diverso tipo di responsabilità previsto dall'art. 2050 c.c.

La pronuncia in commento non riconduce l'attività sportiva riferita al gioco del rugby nell'alveo di una attività pericolosa, in ragione della natura della disciplina, che privilegia l'aspetto ludico, pur consentendo, con la pratica, l'esercizio atletico, così da essere normalmente praticata nelle scuole di tutti i livelli come attività di agonismo non programmatico finalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico, tanto da rimanere irrilevante, ai fini della possibile responsabilità dell'insegnante di educazione fisica e dell'istituto scolastico, anche ogni indagine volta a verificare se la medesima attività faccia, o meno, parte dei programmi scolastici ministeriali (relativamente all'attività calcistica v. Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1197; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20982: l'attività sportiva riferita al gioco del calcio non può ricondursi ad un'attività pericolosa rilevante nei termini di cui all'art. 2050 c.c., poiché trattasi di una disciplina che privilegia l'aspetto ludico, pur consentendo, con la pratica, l'esercizio atletico. Quanto innanzi trova conferma nell'ulteriore circostanza che tale sport viene normalmente praticato all'interno delle scuole di tutti i livelli come attività di agonismo non programmatico, finalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico. In tal senso, pertanto, l'infortunio occorso al giocatore nel corso di una partita di calcio, in assenza di qualsivoglia elemento idoneo a dimostrare la violazione di obblighi e cautele da parte della società sportiva, ovvero il verificarsi di un'azione anomala e/o in contrasto con le regole del gioco, deve ricondursi ad un normale incidente di gioco determinato da caso fortuito, in relazione al quale nessuna responsabilità può attribuirsi alla predetta società sportiva ovvero al danneggiante).

In particolare, l'attività sportiva del rugby non è considerata, in sé per sé, una attività pericolosa, ossia tale da presentare connotati tipici di pericolosità eccedenti il livello del normale rischio connesso all'ordinario esercizio dell'attività medesima, da rilevarsi in base a dati statistici, ad elementi tecnici ed alla comune esperienza (Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 1992, n. 13530; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2002, n. 10551).

Nel caso di specie, tenuto conto che l'azione dannosa si è consumata nel corso di una gara sportiva, la Corte di cassazione ha valutato il contesto in cui l'azione viene in essere, che è appunto quello di una gara sportiva, sia pure connotata da quegli essenziali e prevalenti aspetti ginnici, anziché agonistici.

Ai fini della responsabilità è necessario che questa azione sia almeno colposa, mentre la relativa condotta non può essere considerata illecita, se è stata tenuta in una fase di giuoco quale normalmente si presenta nel corso dello svolgimento della partita e rappresenta un mezzo usualmente praticato per risolverla, senza danno fisico, in favore di quello dei contendenti che se ne serve né è stato concretamente caratterizzato da un grado di violenza ed irruenza incompatibili col contesto ambientale e le persone che partecipano al giuoco, come appunto nell'odierna fattispecie.

In conclusione, in un allenamento di rugby, una strattonata per impossessarsi della palla ovale è un evento tutt'altro che imprevedibile, ma non per questo risulta evitabile: neppure una serrata sorveglianza potrebbe conseguire il risultato di calibrare la potenza ed orientare la direzione di ciascun placcaggio da ciascuno dei minori affidati all'allenatore.

Né si può contestare che per dei minori il momento ludico sia connaturato con la pratica sportiva. Insomma, non vi è responsabilità in incidenti come quello dell'odierna fattispecie nell'ambito di un rischio che non può essere evitato nella normale alea insita nella pratica sportiva anche di un minore.

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